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Elisa da dimenticare

Ottobre 22
17:07 2010

“Che cielo bianco!E se venisse la neve? Penso con il naso all’insù Dovrei rimandare la mia partenza per Venezia.
Neve a Venezia? Dovrebbe essere uno spettacolo fantastico! Cade il cucchiaino del caffè,
anche il nero risveglio liquido, si versa sulla tavola.
La giornata è iniziata all’insegna della sbadataggine più completa., ironia a mille per il mio solito”savoir faire” visto al contrario, che non si smentisce mai. Treno, treno, l’idea fissa cattura il cervello di nuovo. Devo prenderlo. non posso saltare un impegno così importante. Asciugo le macchie e bevo in fretta mentre cerco di continuare la preparazione del borsone, riflettendo mentalmente, se possa mancare qualcosa, ma ormai sono già fuori la porta di casa e mi avvio alla stazione con un mezzo locale, ingombrata da taccuini, libri e quant’altro.
Il dopo è tutto perfetto, perché non organizzato da me: orario, controllo biglietti, stupide formalità, anche se necessarie. Inavvertitamente pesto un piede ad una signora vestita in modo inappuntabile, salvo l’impronta vistosa sulla sua scarpa lasciata dal mio piede, polvere bianca raccolta da lavori in corso sul gradino di un anonimo e passivo marciapiede.
Non posso provare a spiegare all’espressione dell’investita che vado di fretta, che non sono sempre così sbadata ecc. ecc.
Sotto il cappello ” dell’attempata ” c’è silenzio, un silenzio doloroso, indispettito, rabbioso.
Fuggo, farfugliando un “scusi”, seguita da parolastre varie che si perdono nel caos della folla viaggiante.
La gente, pensa che montare su un treno sia come la domenica andare alla Messa, una scusa, per vestirsi bene, per mostrarsi nella sfilata festiva.
Trovo infine, la mia carrozza, il mio posto e per non pensare più a tante stupidaggini che mi tartassano la testa, mi accoccolo e ascolto musica dall’Mp3, mio compagno di viaggio, che copre il rumore in sordina della partenza.
Davanti a me siede una ragazza giovane: acqua e sapone, non riesco a scovare un filo di trucco in quel bel visino. Veste casual, ha una bottiglia d’acqua fra le mani e la stringe, come fosse consuetudine o paura di doversene separare.
Porta al polso due bracciali di tipo differente: di pelle e d’acciaio, capelli e occhi scuri e due borse
da viaggio incolori.
La ragazza potrebbe passare inosservata, se non si scrutasse bene il suo viso: semplice, ma nel contempo, un volto che potrebbe nascondere tanti segreti belli o meno, il suo sguardo me lo racconta involontariamente.
L’indifferenza per il resto del mondo è palese: credo abbia sonno. Poco dopo la partenza,
infatti accartoccia senza cura il suo giacchetto a mo’ di cuscino e si addormenta al lato della poltrona.
Torno ad osservarla e a chiedermi perché questa ragazza, abbia colpito la mia fantasia di scrittrice
in erba.
La vedo in posa per un quadro moderno, la immagino per la copertina di un libro che parli
dei problemi della gioventù moderna, svolazzare dentro una poesia o in un racconto surreale, dove la realtà è estranea a tutto e a tutti, come il suo atteggiamento schivo e lontano.
Riprendo il mio libro e affondo gli occhi nelle parole e nel racconto di un vero scrittore, che oltre fantasia spiccata, ha uno stile di linguaggio che mi attira. Siamo a Firenze: “piovono cani e gatti”, per citare il diluvio, all’uso inglese.
La ragazza continua a dormire. Non ho mai personalmente provato il piacere di rilassarmi in treno, mi sento poco tranquilla, bah! Quante stranezze, vorrei contarle tutte, ma sarebbero troppe, oppure vorrei avere la serena fiducia della giovane ragazza: Come prendere lezioni di vita da chi è meno esperto di te.
Potrebbe diventare un titolo per un saggio, per questo cerco di imitarla, lasciandomi andare al sonno ristoratore, la pioggia sui vetri lascia ghirigori per sognare.
In una frazione di secondo, sbircio curiosa, “la bella addormentata nel bosco”. Si sveglia. Uno sbadiglio, accenno un sorriso… Mi chiede dove sia la carrozza ristorante con gentilezza, annuisce alla mia risposta e mi regala una fila di denti bianchissimi e regolari. Il mio sonno rinviato.
Quando ritorna ha in mano un’altra bottiglia d’acqua e il portafoglio. Le chiedo se ha avuto difficoltà, poi mi do della scema, non trovo rispondenza, mi sento Michelangelo con il suo Mosè di marmo.
So che il mio modo di cercare un dialogo può spesso dare noia a chi vuole starsene in pace, ma
sono un peperino in questo, la conversazione con gli altri è accattivante e mi arricchisce.
Riprendo il libro, riascolto musica. D’improvviso la ragazza mi chiede se scendo a Venezia.
La mia risposta affermativa, sembra la incuriosisca e la spinga e farmi altre domande. Da parte mia
sono ben felice di soddisfare la sua curiosità e non sono avara di notizie su questa città magnifica
illuminata dal Canal Grande e meta di tantissimi turisti. (frase di senso retorico, ma vera).
Gli occhi cancellano il sonno, si fanno curiosi e attenti alle mie descrizioni approssimative, non da veneziana “doc”, faccio parte della schiera “turisti per caso”.
Pochi commenti da parte sua alle mie domande, che si scontrano con risposte brevi di tipo : “Vado
a trovare un’amica”, “Torno domani”.
Il gelo si rinnova.
All’arrivo neppure un saluto, scompare e io sono impegnata a cercare un mio amico che viene a prelevare la pellegrina stanca e un po’ annoiata, cioè la sottoscritta..
I due giorni a Venezia, passano veloci, la luce che questa città mi regala brilla scaldando gli incontri letterari.
E’ sera, guardo l’orologio, fra due ore sarò di ritorno alla partenza d’origine, una città che potrebbe avere un nome qualunque, oppure l’aria di un paesotto nascosto dai monti. Basta far lavorare la fantasia, fra le immagini che scorrono ad alta velocità.
Dal fondo del corridoio, improvvisamente vedo sbucare la stessa ragazza che due giorni prima avevo incontrato su questo treno. Indossa gli identici abiti, mi guarda, mi sorride e siede accanto al mio posto vuoto. Coincidenza? Destino? Ne sono comunque felice, con sé ha sempre la bottiglia
d’acqua, come stringesse il suo peluche preferito.
Mi dice che sta andando alla carrozza ristorante, per prendere un’altra bottiglia e vuole sapere se
ho voglia di qualcosa.
La sua aria ciarliera e ben disposta, mi stupisce, se dovessi fare un paragone con solo due giorni prima. La ringrazio e le dico che aspetto che torni per fare due chiacchiere. Mentre si allontana, mi dice di chiamarsi Elisa.
Al ritorno trasferisce le sue cose personali accanto a me, borse sciatte comprese.
Iniziamo una conversazione fitta fitta e gradevole, in poco più di mezz’ora so tutto di lei, della sua malattia ai reni, che la costringe a bere acqua senza mai terminare.
La giovinezza vissuta nella precarietà, sfiora e lacera la pelle del mio stomaco, ma Elisa è troppo impegnata a parlarmi del suo “meraviglioso ragazzo” per accorgersi del turbamento umano che mi
aggredisce.
Accompagna con un sorriso qualsiasi affermazione esca dalla bella bocca.
Mi chiede della mia attività. Quanto mi piace parlare e scrutare il volto di chi ascolta con interesse la bellezza della lettura, i commenti da scambiarsi su libri letti in comune. Vuole sapere cosa scrivo… Il tono assume quello di una simpatica e spigliata intervista fra due ragazze, la voglia di conoscere come nasca un racconto o una poesia.
Il vagone sembra vuoto.
Le confesso che scrivere per me è una necessità, più che un lavoro, un soffio che levita e di getto esce tipo geyser con semplicità e con originalità, questo l’elemento a cui tengo di più.
Le dico che avrei scritto qualcosa su di lei, un racconto, una poesia., non so. Sembra entusiasta di questa mia idea e spontaneamente mi dà l’indirizzo di posta elettronica dove potrei mandarle la novella, o e potremo scriverci come amiche di vecchia data… Il giorno dopo le invio una mail, per non perdere quel contatto che ritengo prezioso.
Non ricevo alcuna risposta.
Faccio altri tentativi nei giorni seguenti, pensando di aver sbagliato nel riportare sulla mia agendina quell’esile filo che, ci aveva unito. Vuoto, quel pieno che ci aveva unito al punto da non volerlo lasciare su un sedile come una cosa dimenticata, un libro, una sciarpa, un giornale. Ero diventata proprio questo per Elisa.
Eccomi di nuovo sulla freccia rossa del treno che mi sta portando a Torino per la presentazione di un mio libro. Ripenso a Elisa e alla canzone di Lucio Battisti “Mi ritorni in mente”… Elisa, la semplice. Guardo fra i passeggeri se il caso sia stato così benevolo da farci rivedere.
Nessuna ragazza le somiglia.. Alla stazione, come d’uso viene a prelevarmi uno dei miei amici. Elisa? Dimenticata nel cestino del computer, dentro una mail piena di entusiasmo, ma chiaramente non condiviso.
Quella stessa sera faccio un giro panoramico per la città. A piedi passiamo sotto i portici dove
sfavillano meravigliosi negozi di cioccolata, nelle confezioni più diverse e estrose, ti fanno l’occhiolino e ti invitano ad entrare.
Tentazioni di ogni tipo, avrei preso tutto per regalare, a me la cioccolata non piace, sono uno
dei pochi fenomeni esistenti su questa terra, tutti mi dicono.
Passeggiando, attraversiamo uno spazio breve, dove alcune ragazze vistosamente truccate e vestite parlottano in gruppo. Scene note in tutti paesi del mondo. Immagini di un lavoro logoro, stanco di
essere conosciuto, eppure ancora esistente.
Il mio amico mi invita a non ascoltare il querulo coro di inviti, ma i miei occhi si distraggono per guardare meglio nel buio quasi totale, una giovane molto bella e molto truccata.
Elisa! Chiamo, senza pensare, ciao, ti ricordi di me? Elisa il treno per Venezia, Elisa la tua mail, perché…? Elisa eravamo amiche, il tuo sorriso, che fai qui? Di nuovo la strada vuota. Un dialogo
per due..
La ragazza mi guarda e bisbiglia :”Non era il caso di fare una novella su me, avresti svilito tutto”
Cosa leggo in quello sguardo? Una decisione improba di percorrere una strada già segnata dalla malattia, ma perché ? E il meraviglioso ragazzo, le bugie, dove ti nascondi Elisa?
Tutto era parso vero, trasparente alla mia ingenuità.
Ingenuo come il racconto apparentemente banale. Il solito incontro sul treno, soggetto di migliaia di romanzi e racconti, che diventano parte di noi dei nostri desideri.
Rifletto che il treno stesso avrebbe da raccontare piene di dettagli, più di quanto ne abbiano conosciuti gli scrittori stessi, dettagli, disegni, immagini di un mondo cittadino o periferico, forme e colori diversi dalle pagine di un libro.
Il treno, immagino che soffra della mia stessa semplicità, ascolta, crede, si illude.
Mai paragonare la lucidità personale, sicuri che gli altri siano uguali, sono errori che spesso si fanno, ma necessiterebbero occhiali speciali che ci avvertissero, o quanto meno si adoperassero con me… questo mi passava in testa, mentre il mio amico mi trascinava, chiudendo la sete di risposte.
Il fiato di Luca sul mio viso stravolto: Perché conosci quella ragazza, dove l’hai incontrata?
Perché l’hai chiamata per nome? Elisa??? Ma sei fuori di te?
Non ascolto, non vedo, sento il pianto pungermi gli occhi, accenno un sorriso, dicendo ” Uno sbaglio, uno stupido sbaglio”, da cancellare. Il suo silenzio rispettoso, mi toglie il disagio di istanti prima.
Il giorno dopo, sono un po’ confusa, in verità, l’incontro della sera precedente mi ha scosso oltre che colpito. Sono sola in casa, i miei amici sono usciti per spese.
Gironzolo un po’ e mi dirigo verso la biblioteca, alla ricerca di un libro che mi faccia distrarre.
Ne prendo uno a caso, lo sfoglio, e nella prima pagina mi accorgo che c’è una dedica:
” A Luca, per un sogno da dimenticare, o meglio da cancellare. Elisa per una notte.
Ripongo il libro al suo posto, con estrema cura. Non ho letto neppure il titolo. Non ho mai conosciuto una certa Elisa. Non ho capito la drammaticità del suo male. Non parlo con il mio amico della scoperta. Potrebbe trattarsi di un’altra Elisa, solo uno stupido caso di omonimia da non dover forzatamente abbinare.
Per una frazione di secondo rivedo gli occhi di Luca, la sera prima, il suo viso farsi bianco, un foglio di carta su cui sono scritte una pletora di ricordi… Forse non sono nel giusto.
Abbiamo tutti un’Elisa da cancellare, qualcuno che ci mente spudoratamente o per darci quell’amore che si nasconde fra le mura di una bugia voluta per “scaricarci”, per sottolineare che nella loro vita siamo stati un vento occasionale e nulla di più.
Voglio illudermi, in linea con questa idea che non fosse la stessa Elisa, conosciuta da entrambi.
Un abbaglio a volte è terapeutico, il dolore lo avvolge nella carta stellata quella con cui si fa il presepe a Natale.
Tu che guardi i personaggi e ti chiedi se il pastore faccia davvero il pastore, se la cometa abbia folgorato anche te con la sua luce, per porgerti un sogno da scrivere, davanti alla realtà di un Bambino che sa discernere il vero dal falso e ne conosce il luogo, dove forse si può imparare. Credo che questo luogo possa essere solo inserito nell’ambito di una vita sorprendente.
Lo stupore mi accompagna con la sua musica. Ho sempre bisogno di un suono dolce dopo un dispiacere inutile, che sottolinei la mia amarezza. Più tardi imparerò: questa la mera saggezza a cui mi appiglio, saggezza per un cammino che non lascia scampo, uno spazio enorme, utile per accettare, per umiliarsi, per capire le perlacee stelle. Anche Dante, copiandomi, ha terminato le tre cantiche con la parola stelle…. Rimbalzo su questo mondo claudicante, su un ponte che traballa.
Volto la pagina di storia e di storie che imperturbabili continueranno ad accadere e ad incastrarci.
I personaggi mutano, cambiano i nomi propri di persona, ma solo quelli, innocui innocenti appellativi per saperci chiamare, per saperci distinguere, per riconoscersi quando ci incontriamo per caso.

 

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