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Foreste laziali a rischio e possibili rimedi

Aprile 13
22:00 2011

Altri cent’anni, passati trascurando l’effetto dei cambiamenti climatici, e l’habitat di foreste laziali progressivamente si disgregherà per colpa dall’aumento della temperatura e della siccità. La prima vittima designata da questa potenziale sciagura era stato il Bosco di Palo, nei dintorni di Roma. A questa conclusione erano giunti gli esperti del Dipartimento di Biologia Vegetale dell’Università degli Studi la Sapienza che, nell’ambito del CONECOFOR (CONtrollo ECOsistemi FORestali) avevano diffuso (a partire dal 2008) i dati del progetto BioRefugia, co-finanziato dall’Unione Europea, allo scopo di individuare sia le aree a rischio sia i nuovi siti dove “trasferire” animali e vegetazione, permettendo così all’eco-sistema forestale di riadattarsi. Identificare le zone dove, potenzialmente, gli alberi possano trovare rifugio, è un lavoro importante e costante nel tempo, poiché per far crescere una foresta occorrono migliaia di anni, per perderla, solo 50-100. La buona notizia comunque è che, oltre alle foreste di cerro e di carpino bianco delle aree costiere (Parco Nazionale del Circeo, Bosco di Palo, ecc.), anche i faggi e i castagni delle colline della Tolfa, dei Castelli Romani, Lucretili, Simbruini, potranno rimboscare le aree montane oltre i 1300 metri per salvarsi dall’estinzione. In questo modo, le foreste mediterranee e sempreverdi di leccio e sughera potranno restare nelle zone costiere e occupare anche le aree collinari lasciate libere da faggio e castagno. Le foreste sono il “polmone verde” del nostro Paese: secondo la mappatura della superficie forestale nazionale intrapresa dal Corpo Forestale dello Stato, quasi il 35 per cento del territorio italiano è coperto da foreste. Gli alberi italiani sarebbero in grado di assorbire poco più di 10 milioni di tonnellate della CO2 emessa ogni anno, ovvero circa l’11 per cento delle emissioni che l’Italia si è impegnata a tagliare quando ha sottoscritto il Protocollo di Kyoto. Ma purtroppo non siamo riusciti a tagliare le emissioni del 6,5 per cento rispetto al 1990, anzi le abbiamo incrementate del 9,9 per cento. E gli ecosistemi forestali pagano il prezzo delle nostre promesse non mantenute.

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