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Il caso Angelica

Dicembre 01
18:38 2009

La sentenza contro Angelica, ragazzina Rom: un accanimento giudiziario che annichilisce i Diritti Umani
Milano, 27 novembre 2009. L’avvocato Cristian Valle (Soccorso Legale Napoli) ci invia gli atti concernenti la decisione del Tribunale per i Minorenni di Napoli in relazione al caso di Angelica V., la quindicenne Rom accusata di aver tentato di rapire una neonata a Ponticelli. Il legale, coadiuvato da organizzazioni per i Diritti Umani italiane e internazionali, ha opposto prove e considerazioni assolutamente ineccepibili, a difesa della ragazzina, ma fin dal primo grado si è trovato di fronte a un muro. “In quei giorni Napoli era in prda a una furia distruttiva contro di noi,” confidò un giovane capofamiglia Rom, nell’estate 2008, a un attivista del Gruppo EveryOne. “I cittadini chiamavano la polizia senza motivo, accusandoci di ogni crimine possibile. E’ da secoli che ci accusano di rapire i bambini. Nel Medioevo ci accusavano anche di mangiarli. Poi però si trovavano di fronte alla realtà, ovvero che nessun Rom è mai stato condannato per quel reato. Migliaia di denunce per rapimento, spesso allo scopo di mandarci via dalle città, e nessuna condanna. Questa volta è partito un ordine dall’alto. In Italia, purtroppo, il razzismo ha raggiunto il potere e qualcuno ha deciso di creare il primo caso di condanna per rapimento. Non servono le prove, non serve il buon senso. Angelica deve essere colpevole, perché solo con una sentenza si potrà creare ancora odio contro noi Rom e paura da parte degli italiani. Per il popolo Rom, che è un popolo religioso, rapire un bambino è uno dei crimini più gravi, perché l’infanzia è sacra, per noi.”. Anche Rebecca Covaciu, la giovanissima artista che conseguì quell’anno il Premio Unicef per l’Arte e l’Intercultura, parla con amarezza di quei giorni a Napoli: “In quel periodo vivevamo a Napoli, dopo essere stati costretti a fuggire dalle violenze contro i Rom che si erano scatenate a Milano e che hanno colpito gravemente il mio papà. I napoletani ci minacciavano, ci insultavano e ci gridavano che ci avrebbero bruciati vivi se non ce ne fossimo andati via. Siamo stati costretti a scappare ancora”. Il Tribunale dei Minori di Napoli, in sede di appello al riesame, ha respinto le motivazioni della difesa, motivando la decisione e il mantenimento del regime di detenzione per la giovanissima con considerazioni ideologiche improntate a un intollerabile pregiudizio razziale: “Emerge che l’appellante è pienamente inserita negli schemi tipici della cultura rom. Ed è proprio l’essere assolutamente integrata in quegli schemi di vita che rende, in uno alla mancanza di concreti processi di analisi dei propri vissuti, concreto il pericolo di recidiva”. Ideologie medievali, che espandono gli effetti i una sentenza iniqua all’intero popolo Rom, che nelle parole del giudice (e di altri giudici, in anni foschi) avrebbe un’indole criminale e sarebbe composto da individui geneticamente asociali e dediti al rapimento di bambini. Nauseante. Eì una sentenza ed è una strategia dell’odio contro cui bisogna battersi in ogni sede. Qui di seguito, il comunicato stampa di Soccorso Legale Napoli, che ringraziamo sentitamente, e gli atti relativi alla sconcertante decisione.
Processi brevi e processi sommari
Napoli, 20 novembre 2009. Angelica V. è la quindicenne rom accusata di aver rapito una neonata a Ponticelli (Na) nel maggio 2008, avvenimento che scatenò la feroce devastazione dei campi rom di Ponticelli. L’accusa contro A.V. fu formulata dalla madre della neonata, unica testimone dell’avvenimento, che fornì una versione dei fatti oggettivamente poco verosimile. Secondo il racconto della madre, infatti, A. V. sarebbe riuscita ad introdursi nella sua abitazione dove, approfittando del fatto che la neonata sarebbe rimasta per pochi attimi sola in cucina, sarebbe riuscita a “rapire” la neonata e ad uscire dall’appartamento, il tutto in pochissimi secondi, senza produrre il minimo rumore e senza provocare il pianto della bambina.
L’Avv. Cristian Valle, difensore della piccola rom, ha messo in evidenza la scarsa verosimiglianza del racconto e la poca attendibilità del teste che ha un precedente di polizia per falsità ideologica.
Nonostante ciò, il Tribunale per i Minorenni di Napoli ha condannato la minore rom a 3 e 8 mesi, fondando la decisione di colpevolezza sul presupposto che la madre della neonata non avrebbe avuto alcun interesse ad accusare la minore rom se il fatto non fosse realmente accaduto.
La difesa della piccola rom ha sempre denunciato la violazione dei diritti fondamentali come, ad esempio, la mancata traduzione degli atti nella lingua conosciuta dall’imputata, questione più volte sollevata ma sempre respinta, nonostante le dichiarazioni della mediatrice culturale che accolse a Nisida la piccola rom, secondo la quale A.V. al momento dell’arresto non comprendeva minimamente la lingua italiana. Ogni richiesta della difesa è stata sistematicamente respinta, perfino la richiesta della messa alla prova e l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, con la motivazione che A.V. potrebbe avere ingenti patrimoni nel suo paese d’origine. Non le è stato concesso alcun beneficio di legge benché la minore risulti incensurata e in stato di abbandono. I familiari di A.V., infatti, sono scappati a seguito della devastazione del campo rom e delle persecuzioni verificatesi a Ponticelli. La sentenza d’appello ha confermato in pieno quella di primo grado e si attende ora la decisione della Corte di Cassazione. Con il processo ancora in corso, la piccola rom si trova in custodia cautelare nel carcere di Nisida da un anno e mezzo. A nulla sono valse le motivate istanze di scarcerazione.

Da ultimo, il Tribunale per i Minorenni di Napoli, in sede di appello al riesame, ha rigettato le richieste della difesa con una motivazione assolutamente sconcertante e che conferma le denunciate violazioni dei diritti fondamentali della piccola rom. Si legge infatti nel breve provvedimento: “Emerge che l’appellante è pienamente inserita negli schemi tipici della cultura rom. Ed è proprio l’essere assolutamente integrata in quegli schemi di vita che rende, in uno alla mancanza di concreti processi di analisi dei propri vissuti, concreto il pericolo di recidiva.” La decisione afferma, quindi, l’esistenza di un nesso di causalità tra l’appartenenza etnica e la possibilità di commettere reati e, ancora più insidiosamente, la tendenza a condotte recidive. Questo assunto, sfacciatamente razzista, si traduce nella decisione di non concedere nemmeno misure alternative alla carcerazione: “Sia il collocamento in comunità che la permanenza in casa risultano, infatti, misure inadeguate anche in considerazione alla citata adesione agli schemi di vita Rom che per comune esperienza determinano nei loro aderenti il mancato rispetto delle regole. Da quanto detto ne consegue il rigetto del proposto appello.”
Il provvedimento di rigetto della richiesta di modifica della misura cautelare afferma a chiare lettere che il collocamento in comunità non è ammissibile in quanto la minore aderisce agli schemi di vita del popolo cui appartiene. In modo assolutamente sconcertante, si afferma l’opzione del carcere su base etnica, e, attraverso la definizione di “comune esperienza”, i più biechi e vergognosi pregiudizi contro la minoranza rom vengono elevati al rango di categoria giuridica.
Questa decisione del Tribunale dei Minorenni – e le stesse parole usate, agghiaccianti quanto spudorate – è perfettamente coerente alle attuali politiche in materia di immigrazione, andandosi a delineare l’esistenza di due distinte giurisdizioni, una per i cittadini e l’altra per gli stranieri.
In un paese che sanziona la clandestinità come reato, l’intera vicenda di A.V. è rappresentativa dell’accanimento giudiziario contro gli “stranieri” che gravemente annichilisce i diritti umani, e della perdita di limiti etici e giuridici oltre i quali le pulsioni più cupe, non incontrando più filtri di alcun genere, si caricano di forza di legge.


Caso Angelica: cerchiamo verità e giustizia
contro le ragioni dell’odio. Lettera del Gruppo EveryOne alla Corte di Cassazione
Roma, 30 novembre 2009
. Illustrissimi magistrati della Corte di Cassazione, il Gruppo EveryOne ha seguito con estrema attenzione le fasi del procedimento giudiziario contro la ragazzina Rom Angelica V., accusata del tentato rapimento di una bambina a Ponticelli, nel maggio 2008, un fatto di cronaca dai risvolti inquietanti, legati a interessi camorristici e intolleranza, come altri episodi riguardanti persone di etnia Rom verificatisi – sollevando allarme sociale – proprio nel mezzo della grande purga etnica che ne ha ridotto la presenza in Italia da 160/180.000 a meno di 45 .000. Abbiamo realizzato un dossier riguardante il caso di Angelica V., che siamo disponibili a inviarvi e che vi potrà essere utile nel giudizio di terzo grado. Riteniamo possa essere importante fornirvi documentazione adeguata in relazione a questo delicato evento giuridico, che a nostro avviso rappresenta un grave caso di persecuzione giudiziaria. Una persona di nostra fiducia, padre di famiglia e uomo di civiltà, ha incontrato la ragazzina in due occasioni, preso il carcere di Nisida. La sincerità di Angelica ha rafforzato le sue convinzioni di totale innocenza di lei. La stesa persona ha rilevato come la giovane Rom avesse bisogno di comprensione e calore umano, sia per la sua giovane età, sia per la sofferenze che una detenzione ingiusta le causava e le causa. Ha proposto di accoglierla a casa sua, in attesa della sentenza, come hanno fatto altre persone di moralità ineccepibile a Napoli. Ad Angelica, tuttavia, il Tribunale dei Minori di Napoli ha negato persino i domiciliari, con una motivazione che inorridisce. Secondo i magistrati che le hanno negato i domiciliari, l’etnia cui appartiene Angelica Rom è motivo bastante per ravvisare un “concreto pericolo di recidiva”. Così la ragazzina resta in carcere. E una dei 3.000 Rom romeni che sono dietro le sbarre, su un totale di 6.000: numeri che dimostrano inequivocabilmente una persecuzione etnica, essendo superiori a quelli che caratterizzavano la condizione dei Rom e dei Sinti negli anni delle leggi razziali in Germania. Durante l’ingiusta detenzione, la crescita umana e le speranze di Angelica si sono interrotte e congelate in un limbo assurdo e crudele. Lei, spaurita e incredula, convinta che il rapimento sia il crimine più orrendo, è stata marchiata con il segno dell’infamia: è lei, per gli intolleranti, la donna che caratterizza le leggende medievali, la “zingara che ruba i bambini”. Roberto Malini, Matteo Pegoraro, Dario Picciau – Gruppo EveryOne

Rom vuol dire criminale
di Emiliano Fittipaldi – da La Repubblica, 30 novembre 2009
Parole choc dei giudici del tribunale dei Minori di Napoli che negano i domiciliari a una minorenne a causa della sua etnia

Se si appartiene all’etnia rom, non si può che delinquere. Lo scrivono, in sintesi, i giudici del tribunali dei minorenni di Napoli, con parole che sembrano, francamente, incredibili. La storia è quella della ragazzina rom di 15 anni, accusata di aver rapito una neonata a Ponticelli nel maggio del 2008. Un fatto di cronaca che scatenò la rabbia dei residenti e la devastazione dei campi del popolare quartiere napoletano.

La ragazzina, A.V., grazie alla testimonianza della madre della rapita, è stata condannata in primo grado e in appello a 3 anni e 8 mesi, e da un anno e mezzo è rinchiusa nel carcere minorile di Nisida. L’avvocato ha chiesto prima dell’estate gli arresti domiciliari, ma il tribunale, in sede di appello al riesame, ha bocciato la richiesta. Con una motivazione sconcertante, destinata a scatenare polemiche infinite.

«Le conclusioni indicate» dicono i giudici «sono sostanzialmente confermate dalla relazione depositata in atti dalla quale, a prescindere dalle cause, emerge che l’appellante è pienamente inserita negli schemi tipici della cultura rom. Ed è proprio l’essere assolutamente integrata in quegli schemi di vita che rende, in uno alla mancanza di concreti processi di analisi dei propri vissuti, concreto il pericolo di recidiva». In sostanza, la razza e l’etnia definiscono il comportamento delinquenziale della piccola. Un ipotesi abnorme, visto che stiamo parlando di giudici dello Stato che lo scrivono nero su bianco, e non di un comizio del più intransigente leghista da stadio. «Un precedente gravissimo» sostiene l’avvocato della bambina Cristian Valle, «che basa sulla razza l’ipotesi di condotte criminose. Non solo sulla possibilità di commettere reati, ma pure sulla tendenza a condotte recidive.

La vox populi con la quale si dice che i rom rubano i bambini, diventa certezza giuridica. E’ assurdo, indegno. Non ho mai visto una decisione così. In un clima da leggi di stampo razziale, anche i giudici si adeguano». In effetti, con la stessa logica, altri giudici potrebbero giustificare le loro decisioni descrivendo gli schemi tipici della cultura ebraica o islamica, e qualcun altro potrebbe spingersi a discettare – per chiunque vive in terre ad alta criminalità – che napoletani, calabresi o siciliani sono tendenzialmente delinquenti perchè inseriti negli «schemi culturali» di quelle zone. La decisione del tribunale e le parole della motivazione sono state prese collegialmente da quattro giudici, tra togati e onorari (un sociologo e uno psicologo): vuol dire che la maggioranza, almeno tre, erano d’accordo con il tono del rigetto.

I magistrati insistono: «Va inoltre sottolineato che, allo stato, unica misura adeguata alla tutela delle esigenze cautelari evidenziate appare quella applicata della custodia in Istituto penitenziario minorile. Sia il collocamento in comunità che la permanenza in casa risultano infatti misure inadeguate anche in considerazione della citata adesione agli schemi di vita Rom che per comune esperienza determinano nei loro aderenti il mancato rispetto delle regole».

Sono parole che sfiorano, dice Valle, la discriminazione razziale, e mettono in pericolo i diritti civili e umani della bambina condannata. «In modo sconcertante» spiega l’avvocato «si afferma l’opzione del carcere su base etnica e, attraverso la definizione di “comune esperienza”, i più biechi e vergognosi pregiudizi contro la minoranza rom vengono elevati al rango di categoria giuridica».

Caso Angelica V.: interrogazione parlamentare dei Radicali in relazione alle motivazioni del giudice che negano i domiciliari

Roma, 1 dicembre. (Apcom) – Una ragazzina di 17 anni si è vista negare, dopo un anno e mezzo di carcere, gli arresti domiciliari dal tribunale dei minori di Napoli perchè rom, e come tale “è concreto il pericolo di recidiva”, non solo, per i giudici in sintesi il carcere è l’unica possibilità perchè i rom non rispettano le regole. Una decisione “sorprendente”, che rischia di creare due giurisdizioni, di cui una più restrittiva ad hoc per gli stranieri, spiega Rita Bernardini, deputata radicale-Pd, componente della Commissione Giustizia, che per questo ha presentato un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia, chiedendo di verificare l’ordinanza del tribunale e se del caso avviare un provvedimento disciplinare. La vicenda è narrata dal settimanale Espresso. Protagonista è Angelica V., una ragazzina rom di quindici anni, accusata di aver tentato di rapire una neonata a Ponticelli nel maggio del 2008 è stata condannata in primo grado ed in appello a tre anni e otto mesi di reclusione; condanna piena senza benefici di legge, nonostante la ragazzina fosse incensurata e in stato di abbandono. La minore da un anno e mezzo è reclusa nel carcere minorile di Nisida, il suo avvocato – Cristian Valle – ha chiesto prima dell’estate, gli arresti domiciliari. Istanza rigettata dal Tribunale per i minorenni di Napoli, in sede di appello al riesame. E nel provvedimento di rigetto – riportato dal settimanale e trascritto in calce nell’interrogazione – si legge: “Emerge che l’appellante è pienamente inserita negli schemi tipici della cultura rom. Ed è proprio l’essere assolutamente integrata in quegli schemi di vita che rende, in uno alla mancanza di concreti processi di analisi dei propri vissuti, concreto il pericolo di recidiva”.


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