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Il “clandestino” del cinema italiano (2ª parte)

Il “clandestino” del cinema italiano (2ª parte)
Marzo 31
23:00 2009

Gianni BongioanniIl vissuto giovanile di Bongioanni e, per suo tramite, quello di un’intera generazione, si snoda all’incrocio tra grandi sogni e piccole realtà: da una parte il lavoro in radio, la carriera cinematografica, gli orizzonti di gloria e di successo; dall’altra il lavoro manuale, di lima e tornio, e la dura sopravvivenza, la necessità di guadagnarsi la “pagnotta”. Ed ecco, ancora, le “irruzioni” della grande Storia nel quotidiano, come lo spettro delle deportazioni naziste e, per converso, l’opzione della lotta partigiana, nel farsi incerto e vibratile di un destino personale, sullo sfondo di quello collettivo, che prende corpo tra “mille versioni di futuro”, che a loro volta riservano innumerevoli possibilità di riuscita o perdizione: dunque tra “stelle” e “stalle”, che in fondo sono molto più vicine di quanto si creda. Ogni attimo è intriso di morte incombente, per prepararsi alla quale il ventenne Bongioanni lavora a lungo, nel suo spirito agonistico di nuotatore, con veri e propri “esercizi spirituali”. Una vita, la sua, giocata fin da allora tra due passioni furibonde e luminose, chiaramente enucleate alla coscienza: la radio e il cinema.
La radio gli è subito “giocattolo indispensabile”, fin dalla “grossa Phonola” di famiglia: componente aggiunto e valore affettivo (praticamente, una di casa). La radio come strumento di crescita sociale: “ci ha accompagnati, svagati, informati, ci ha avvicinati alla lingua italiana, ha stimolato fantasie”. E, ancora, le emozioni vivide che a questa scatola meravigliosa finisce per sentire veicolate, partecipandovi da speaker, oltre che da fruitore: ad esempio il “cuore in gola al battesimo del fuoco, l’attimo che il tecnico dalla regia fa il fatidico segno di via. Sapermi IN ONDA. Non ci posso ancora credere. La mia voce irradiata da tutta la rete di trasmettitori e ripetitori, udibile in tutta l’Italia non occupata dagli angloamericani”; o lo stupore perché lo pagano per partecipare “a questo stupendo Gioco”, mentre “sarebbe più giusto che fossi io a pagare per avere il permesso di farlo. Mai divertito tanto”.
La radio è anche “scuola di cinema”, per il rispetto dei tempi che impone, per il montaggio dei momenti e la “sacralità” dello spazio che riconosce alla voce umana, questo “grande mistero (…) oltreché irripetibile prodotto di retaggio genetico e culturale”. E poi il cinema, anche e soprattutto: la “droga che mi aiuta a sopportare, ma semina in me un divario fra un’idea grande, ricca, di vita che mi arriva dai film americani (…) e il mio asfittico trantran”. Pure Bongioanni, per questo tramite contagioso, sente che “Hollywood mi ha colonizzato l’anima, che sono mezzo americano anch’io”.
Alla luce di questa temporale esperienza di vita, centellinata in densità di giorni, ore, attimi (come granelli dentro la clessidra, ciascuno unico e particolare), “Qui Radiotevere” si configura – quanto meno ascrivibile – nei termini del “romanzo di formazione”. Il giovane Bongioanni è sveglio e attento, curioso di tutto, motivato dal bisogno di imparare, di crescere umanamente e professionalmente, di mettersi in gioco per sperimentare le proprie potenzialità. Ed è sempre il primo a mettersi sotto esame, duro e addirittura spietato con se stesso, benché consapevole, in fondo, e orgoglioso dei propri talenti. Mostra un atteggiamento analitico, di grande onestà intellettuale, nella lettura delle realtà oggettive e soggettive. Si autodefinisce “cacadubbi”, “spaccatore di capelli”, “illuminista piemontese, cartesiano convinto”. Ma, parallelamente, a questo esprit de géométrie razionalistico si accompagna un esprit de finesse pulviscolare, sul versante degli istinti, degli impulsi, dei moti d’animo, per cui la tessitura gnoseologica dello sguardo – rigorosa e cristallina, benché “aperta” – è attraversata e “nutrita”, per così dire, da calde correnti affettive, mentre il romanzo delinea i movimenti, i tuffi, i palpiti, le scosse sismiche di una sofferta ma emozionante educazione sentimentale, alla scuola della “dama misteriosa”, dagli occhi che “prendono alla gola”, la quale trascina il giovane protagonista nel gorgo estatico di una passione sfrenata, che divampa e si consuma, repentinamente, del suo stesso fuoco. (Continua)

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