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“Il collegio di Santa Lucia” di Ken Russell

“Il collegio di Santa Lucia” di Ken Russell
Gennaio 31
23:00 2009

9984-le-pietrangeliC’è un protratto e strisciante, insito e perverso senso di possessione di cose e persone sedimentato tra le righe delle nuove generazioni, una concitazione filtrata attraverso una cultura pulp, fluido e ritmato repechage nonché epilogo di un Novecento lontano da personificazioni a tinte piene. Il collegio di Santa Lucia per giovinette allevate dai lupi, racconto conclusivo che dà il titolo al libro, riporta ad un’umanità come obiettivo di salvezza, prospettiva di futuro, altrettanto capace di snaturare ogni altra presunta natura più o meno irreale, come quella dei licantropi, nell’ipocrisia. Questo episodio, forse più di altri, dà consistenza all’intera opera unitamente al primo, dove la possessione meglio si palesa nelle amorfe identità di Lussurioso, fantasma di turno. Libro ricco di atmosfere ed archetipi fiabeschi con antropomorfismo diffuso e strettamente connesso ad una circostante e fagocitante natura. Una scrittura caratterizzata da una smaliziata, finanche innocente, giocosa ricerca di parole dove tutto prende forma nel binomio reale-onirico con ironia irriverente, ma sempre ben misurata nel redigere trame che, pagina dopo pagina, avvitano il lettore verso un finale che resta comunque aperto, propenso a ricominciare nella tradizione di Sharazade. Compaiono famiglie sgangherate, talmente inverosimili da stereotipare il tangibile, possibile parodia contemporanea di un certo spaccato di società americana, ma anche tragedia, come quella della sorellina strappata dal mare, e carenze di riferimenti, che troppo spesso si trovano altrove, “a fotografare colonie di sudanesi lebbrosi”. Forse non del tutto a caso, un “cimitero delle barche” diviene metafora per una Ground Zero adolescenziale. Sono narrazioni strutturate da iperboli fantastiche del reale, dove la figura paterna funge da traccia d’indagine, dal mito alla sua disgregazione. Non mancano genitori che allevano coccodrilli e soprattutto isole, quale delimitato e nondimeno evocativo scenario per molte delle ambientazioni. Ma ci sono spazi anche per i corrispettivi opposti, con paesaggi glaciali e nevi artificiali. A Phil Collins viene demandato il ruolo della hit song in una discoteca-frigorifero, con tanto di tempeste artificiali a coadiuvare le danze. Un verbale d’incidente, quello del caso n. 00/422, chiude la saga polare con implicati gli “aeroplani da ghiaccio” e un coro da valanga. Ci si avventura fin dentro ipotizzati centri per “sognatori disturbati”, strutture alimentate da un’enorme lampada-mongolfiera dettagliata nei filamenti, con gerarchie e “post-monizioni” che affondano stravaganti radici nella storia. Almanacco astronomico dei crimini estivi mostra una banda “comico-ironica” col ruolo del bullo in bella mostra, crudeltà adolescenziali e persino contrabbando, quello di tartarughe. E poi La città delle conchiglie e Grossa Rossa che ci finisce dentro, sciogliendo i suoi nodi psicologici attraverso primigeni suoni. Sul Mare c’è Dente di Sega con la sua chiatta, personaggio di palude che tonfa sull’amore e vede Maria Subacquea illuminata di “compassione dipinta”. Ma c’è anche un libro fatale, quello che risveglierà la febbre dell’Ovest in un Minotauro della middle-class americana; del resto, rimanere, equivale già a respirare un’insopportabile aria di crisi.

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