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Il dovere di…non morire

Il dovere di…non morire
Luglio 25
19:23 2011

Beppino Englaro con una foto della figlia EluanaAutoritarismo di Stato e tabù della morte: sono i concetti cardine attorno ai quali l’opinione pubblica italiana si raccoglie in questi giorni, allo scopo di far valere alcuni diritti fondamentali, nella prospettiva di un nuovo referendum. «Accanirsi sul corpo di malati che non possono più far valere il proprio diritto a rifiutare le cure, è una forma di violenza inaudita»: sono state le parole di Beppino Englaro, che ha commentato la modifica dell’art. 3 della legge sul testamento biologico, in discussione al Senato. L’emendamento proposto dal relatore Domenico Di Virgilio, già approvato alla camera, modifica le disposizioni della DAT (Dichiarazione Anticipata di Trattamento, del 2009), togliendo ai giudici il diritto di decidere sul “fine-vita” e obbligando i medici a somministrare trattamenti anche su quei pazienti che, quando erano in condizione d’intendere e volere, avevano espresso la volontà di rifiutare quelle cure utili a conservarne le funzioni vitali in modo artificiale. Ignazio Marino (PD) ha commentato ironicamente: «sarebbe il caso che la maggioranza sancisse per legge il divieto di morire», mentre il padre di Eluana, ricordando che la sentenza del 16 ottobre 2007, invece, aveva rispettato i desideri di sua figlia, parla di una norma palesemente incostituzionale e contraria anche ai principi sanciti al livello europeo dalla Convenzione di Oviedo.
Il nuovo emendamento, infatti, cambia la condizione delle persone in stato vegetativo – spiega Di Virgilio – equiparandola non più a quella di malati terminali ma «a disabili da aiutare». In questo caso, i medici sarebbero obbligati a curare, anche in condizioni irreversibili e di fronte all’impossibilità, per i pazienti, di trarre alcun beneficio dalle cure, non potendo in alcun modo recuperare una qualche minima forma di coscienza. Beppino Englaro, che per 17 anni ha visto medici e infermieri trattare e manipolare il corpo di sua figlia per conservarne le residue funzioni vitali, parla di un’imposizione autoritaria e coattiva dello Stato che, di fronte al tabù della morte, di fatto, espropria i cittadini del diritto all’auto-determinazione e calpesta la dignità di quei malati che hanno perso la capacità di comunicare il proprio “no” a quelle cure, considerate da loro come un’inutile forma di accanimento terapeutico. L’essere “lasciati liberi di morire”, spiega l’uomo, riconduce «a quelle libertà fondamentali che io esercito quando sono capace d’intendere e di volere e che devo poter esercitare anche quando non sono più in grado di farlo, perché i miei convincimenti, sia etici, sia filosofici, sia culturali, sia confessionali, sono sempre gli stessi» e ribadisce: «non poter dire di no all’offerta terapeutica è di una violenza inaudita, poiché l’evoluzione della scienza oggi è in grado di creare delle situazioni di gran lunga peggiori della morte».
D’altre parte, spiega Englaro: «chi vuol essere curato – perché considera “vita” qualunque situazione di non-morte cerebrale – va tutelato e non deve sentirsi abbandonato dalle terapie; ma deve esserci anche la possibilità, per chi consideri questa situazione non tollerabile, di far valere il proprio diritto a non essere trattato medicalmente». Allo stato attuale, la legge italiana infatti concede il diritto di rifiutare le cure a soggetti che hanno la capacità di intendere e volere, ma non assegna lo stesso diritto a coloro che non sono più in grado di esprimersi su questo punto. Beppino Englaro ha vinto la sua battaglia in tribunale solo perché ha potuto dimostrare che Eluana, prima di subire l’incidente che la ridusse in coma, di fronte alla morte di un suo amico e allo sgomento con cui commentò la vicenda del campione sportivo Alessandro David (in coma vegetativo in seguito ad una caduta dagli sci), dichiarò espressamente che lei, mai, avrebbe voluto ridursi a vivere così. Ma, rispetto a quanto stabilisce la legge nel resto d’Europa, dove al malato è garantita la libertà di scegliere, dice Englaro, «l’Italia sarebbe l’unico paese ad imporre il sondino di Stato. La persona incapace d’intendere e volere può far valere la sua volontà, ma la legge lo deve consentire, poiché lo consentono tuttora la Costituzione e la Convenzione di Oviedo». L’articolo 6 della convenzione, infatti, stabilisce che «nessun intervento può essere effettuato su una persona che non ha la capacità di dare consenso, se non per un diretto beneficio della stessa». Mentre la Costituzione italiana, oltre a sancire che la libertà personale è inviolabile (art. 13), non discrimina le persone in base alle proprie condizioni, garantendone la pari dignità e uguaglianza di fronte alla legge (art. 3). La moglie di Piergiorgio Welby – malato terminale che nelle sue lettere chiese che venissero interrotte le cure che lo tenevano in vita, e al quale la chiesa cattolica rifiutò i funerali, considerandolo un “suicida”, perché decise di lasciarsi morire in modo naturale – preannuncia una raccolta di firme per indire un referendum nel caso questa legge dovesse essere approvata. Anche Eugenio Scalfari, dalle pagine di Repubblica, ha invitato la società civile e le forze politiche sensibili ai temi di libertà a «mobilitarsi e lanciare il referendum abrogativo. Subito, prima ancora che il Senato completi l’iter parlamentare della legge». Beppino Englaro si dice fiducioso, perché secondo lui il clima culturale del nostro Paese è cambiato: c’è un “prima” e un “dopo Eluana”, in cui la gente è informata e chiede consapevolmente che sia rispettato un principio di libertà che permetta al singolo individuo di stabilire una propria definizione di “vita” senza che la legge, generalizzando, stabilisca un concetto univoco per tutti, prevaricando le scelte, le convinzioni e le condizioni personali. Gli Stati membri del Consiglio d’Europa, tra i cui firmatari c’è anche l’Italia, con la Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina (1997), hanno stabilito delle misure con lo scopo di tutelare i malati terminali da eventuali forme di accanimento terapeutico e, oltre a regolare la materia del consenso, a garantire un equo accesso alle cure, hanno affermato perentoriamente che: «l’interesse e il bene dell’essere umano debbono prevalere sul solo interesse della società o della scienza». Dunque l’Italia difficilmente potrà contraddire questi principi, anche alla luce di un dibattito annoso e sempre molto difficile, su questo tema.

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