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«Il Parlamento è sovrano?» No!

Marzo 27
09:35 2012

Sento e leggo con preoccupazione esponenti del Parlamento (per es. Gianfranco Fini) e del Governo (per es. Corrado Passera) i quali affermano continuamente, come un dato di fatto, una nenia soporifera, uno slogan ideologico o un messaggio subliminale: «Il Parlamento è sovrano».

L’ultimo della serie è stato Piero Fassino, il sindaco di Torino, a L’intervista di Maria Latella trasmessa da La7 lo scorso 25 marzo. In nessuna democrazia al mondo il Parlamento è sovrano: lo è semmai nelle plutocrazie, nelle oligarchie, nelle tecnocrazie, nel totalitarismo e in altri sistemi lungi dall’essere «democratici».

Democrazia significa solo una cosa: «governo del popolo», termine che deriva dalla parola greca, formata da “dêmos”, cioè «popolo», e “kràtos”, cioè «governo». «Del», nell’espressione «governo del popolo», non ha lo stesso significato di «governo di qualcosa»: il popolo non è l’oggetto del governo, ma il soggetto, e il «del» indica insieme un possesso e un’autorità: esso vuol dire il popolo «detiene» il governo, è cosa sua e tale suo bene non può essere alienato da alcuno senza che si esca dalla «democrazia». Oltre a questo il «del» è autoriale ed indica un esercizio di governo: il popolo si governa, è l’autore del governo di sé.

È quello che Abraham Lincoln ha sintetizzato nel suo celebre «Discorso di Gettysburg», durante la guerra civile americana, come «government of the people, by the people, for the people» (19 novembre 1863), ossia ‘il popolo che governa il popolo per il popolo‘ o, più letteralmente, ma in maniera meno semanticamente corretta, «il governo del popolo, realizzato dal popolo, per il popolo». Nella democrazia poteri intermedi, paritetici o sovrastanti il popolo non esistono. E le proprietà transitive (del tipo: il Parlamento, in quanto rappresentante del popolo, è esso stesso il popolo) o transitorie (la sospensione temporanea della «sovranità del popolo») non sono date.

L’articolo 1 della Costituzione italiana recita: «La sovranità appartiene al popolo», sempre. I rappresentanti del popolo (i parlamentari) sono persone uguali alle altre in tutto e per tutto, le quali di volta in volta, a proprio piacimento, il popolo sovrano può decidere di cambiare, in quanto tale decisione spetta al popolo che è il solo ad averne diritto, poiché esso è il solo ad avere facoltà di prendere decisioni su ciò che è suo, e di cui non si priva mai. «Sovrano» vuol dire che non c’è nulla al di sopra: nessuna autorità è legittimata a sottomettere il popolo, a meno che attenti alla «democrazia». «Sovrano» vuol dire che il popolo è al di sopra di tutto, che ha «il potere assoluto e perpetuo che è proprio dello stato» del popolo. Della democrazia, appunto.

Alexis de Tocqueville, nel suo oggi classico La democrazia in America (1840), avvertiva dei pericoli delle forme democratiche: «Può tuttavia accadere che un gusto eccessivo per i beni materiali porti gli uomini a mettersi nelle mani del primo padrone che si presenti loro. In effetti, nella vita di ogni popolo democratico, vi è un passaggio assai pericoloso. Quando il gusto pel benessere materiale si sviluppa in uno di questi popoli più rapidamente dei lumi e dell’abitudine alla libertà, arriva un momento in cui gli uomini si lasciano trascinare e quasi perdono la testa alla vista di nuovi beni che stanno per conquistare. Preoccupati solo di far fortuna, non riescono più a cogliere lo stretto legame che unisce la particolare fortuna di ciascuno di loro alla prosperità di tutti. A tali cittadini non sarà necessario strappare i diritti che possiedono: saranno essi stessi a privarsene volentieri» (II, 2, xiv).

Per frenare queste ed altre tendenze degli uomini, i popoli democratici si son dati le Costituzioni, che impediscono alle maggioranze dell’ultima ora di decidere, in nome del popolo, quel che aggrada loro. Il popolo non è fatto solo del corpo elettorale, ma anche di coloro che non hanno diritto di voto. Le maggioranze sono tecniche e formali, esse possono non costituire affatto la maggioranza dei cittadini che formano il popolo, seppure siano chiamate temporaneamente a rappresentarlo in certe attività specifiche. L’Italia, in quanto giovane democrazia che ha in eredità molti secoli di autoritarismo finalmente sfociato nel totalitarismo, è un paese in cui giocare con le parole su questioni quale la «sovranità» è pericoloso, per via di una mancanza di cultura democratica che affondi le radici nei secoli della vita civile.

Le affermazioni sul «Parlamento sovrano» di cui sopra, quand’esse son centellinate da esponenti istituzionali, non vanno sottovalutate. Esse sono legittime quando esprimano un’idea personale, un’opinione, la quale può essere semplicemente sbagliata. Esse sono gravi se a pronunciarle sono figure istituzionali che vogliano dichiarare che il potere è nelle mani di un’istituzione diversa dal popolo che essi, pur temporaneamente e negli stretti limiti delle loro funzioni, sono chiamati a rappresentare. Degne di preoccupazione nella misura in cui palesano una mentalità avulsa dai fondamenta della democrazia: si può trattare di lapsus, ma come tutti i lapsus essi sono pur sempre indicativi d’una forma mentis, più o meno inconscia, radicata nell’abitudine di sentirsi non più uguali agli altri e non più sottomessi al popolo, ma superiori ad esso, facenti cioè parte di un corpo istituzionale «sovrano», e dunque idealmente non «democratico».

L’effetto è quello di far passare per vero nell’immaginario collettivo un concetto che non ha alcun fondamento nello Stato italiano. In Italia non è «sovrano» il Parlamento, né il Presidente della Repubblica, né altre cariche o corpi istituzionalmente legittimati a svolgere certe funzioni. Essi son lì per un solo fine: garantire per un periodo più o meno breve la volontà del «popolo sovrano» che desidera non cedere a nessuno, nell’infinità dei tempi presenti e di quelli a venire, il proprio potere e il governo di ciò che è suo soltanto.

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