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Il pensiero poetico

Aprile 12
07:56 2012

pucciarelli-Wislawa-SzymborIl primo di febbraio è scomparsa a quasi novanta anni la poetessa polacca Wislawa Szymborska. Nel 1996 aveva ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura, ma era sconosciuta ai più, con l’eccezione degli addetti ai lavori e dei grandi appassionati di poesia. Dopo qualche giorno, è stato Roberto Saviano, in una delle sue apparizioni televisive, che con merito ha rivelato il libro che racchiude praticamente tutte le sue poesie, La gioia di scrivere edito da Adelphi nel 2009.

Szymborska è poetessa grandissima – diremmo parafrasando una delle poesie più note, La cipolla, poeta fino alla poetità – e forse per questo, assurdamente, non ha goduto di ribalte concesse a meno validi scrittori. Molti hanno la convinzione che la poesia consista, per casi estremi, nella rima facile o nel verso complicato al limite dell’inintelligibile, come un mostro sacro. Altri sono invece i canoni della reale poesia e la Nostra li possiede tutti: la semplicità del quotidiano che diventa assoluto, lo stupore del mondo che interroga la coscienza, la musica – liricità propria della scrittura poetica. In un eccellente saggio da poco pubblicato sulla rivista online Chaos e Kosmos, dal titolo Che cosa fa la poesia?, Michele Tortorici coglie tre elementi essenziali. Il primo è “il disvelamento di ciò che è” perché “poesia e filosofia hanno lo stesso oggetto, cioè riflettono entrambe su ciò che è”. Il secondo è “un percepito cambiamento della coscienza” che avviene attraverso un “meravigliarsi/meravigliare” ad opera essenzialmente della metafora che “trasgredisce l’uso proprio” del particolare per tendere all’assoluto. Il terzo è il “cantare senza musica” disponendo versi secondo una musica artificiale in grado di “abbassarsi al grido e alzarsi al canto”. Tutto ritroviamo nella poesia di Wislawa Szymborska. Nella introduzione de La gioia di scrivere il traduttore Pietro Marchesani ricorda le definizioni di “un particolare contributo alla poesia filosofica” o di “una prova di metafisica poetica” e prosegue «La sua riflessione sul senso dell’esistere (…) è caratterizzata da una “semplicità complessa”, e cioè dalla capacità di interrogarsi con formulazioni chiare che non necessitano delle “grandi costruzioni”. (…) “Poesia feriale” – come è stata definita – la sua, senza concessioni al letterario o al sublime, aliena da ogni retorica. (…) a cui si accompagna una notevole dose d’arguzia e ironia». Ancora dalla introduzione «Se il “minimalismo” della Szymborska si traduce nella capacità di vedere “in ciò che è ordinario l’insolito, l’enigmatico, il prodigio” (J. Kwiatkowski), ad esso si accompagna anche un forte senso degli “altri”…» E da In effetti, ogni poesia “… che appaia sotto la mano che scrive/ almeno un’unica cosa/ chiamata cosa altrui…” Dunque minimalismo, una narrazione semplice del normale del vivere che però racchiude tutto il miracolo, il mistero, la pochezza e la grandezza del vivere, la sua relatività e contingenza davanti all’inarrestabile ciclo vitale da affrontare con la coscienza del limite umano. In La fine e l’inizio, dopo una descrizione degli effetti della guerra, sopravviene l’ironia “… Le maniche saranno a brandelli/ a forza di rimboccarle…” e poi la dolente costatazione dello scorrere inevitabile del tempo che tutto ammorbidisce e rigenera “… Ma presto lì si aggireranno altri/ che troveranno il tutto/ un po’ noioso.// C’è chi talvolta/ dissotterrerà da sotto un cespuglio/ argomenti corrosi dalla ruggine/ e li trasporterà sul mucchio dei rifiuti.// Chi sapeva/ di che si trattava,/ deve far posto a quelli/ che ne sanno poco./ E meno di poco./ E infine assolutamente nulla,// Sull’erba che ha ricoperto/ le cause e gli effetti,/ c’è chi deve starsene disteso/ con una spiga tra i denti,/ perso a fissare le nuvole.” Si sente il pensiero, la poesia, il canto della stessa. Ma la liricità ed il canto di questa poesia falso-minimalista si può intendere solo leggendo le pennellate vibranti e che fanno vibrare. Ecco, per finire, La cortesia dei non vedenti “Il poeta legge le poesie ai non vedenti./ Non pensava fosse così difficile./ Gli trema la voce./ Gli tremano le mani.// Sente che ogni frase/ è qui messa alla prova dell’oscurità./ Dovrà cavarsela da sola,/ senza luci e colori.// Un’avventura rischiosa/ per le stelle dei suoi versi,/ e l’aurora, l’arcobaleno, le nuvole, i neon, la luna,/ per il pesce finora così argenteo sotto il pelo dell’acqua,/ e per lo sparviero, così alto e silenzioso nel cielo.// Legge – perché ormai è troppo tardi per non farlo – / del ragazzo con la giubba gialla in un prato verde,/ dei tetti rossi che puoi contare, nella valle,/ dei numeri mobili sulle maglie dei giocatori/ e della sconosciuta nuda sulla porta schiusa.// Vorrebbe tacere – benché sia impossibile – / di tutti quei santi sulla volta della cattedrale,/ di quel gesto d’addio al finestrino del treno,/ di quella lente del microscopio e del guizzo di luce dell’anello/ e degli schermi e specchi e dell’album dei ritratti.// Ma grande è la cortesia dei non vedenti,/ grande la comprensione e generosità./ Ascoltano, sorridono e applaudono.// Uno di loro persino si avvicina/ con il libro aperto alla rovescia,/ chiedendo un autografo che non vedrà.

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