Il Vaticano apre la strada agli anglicani che rientreranno nella Chiesa di Roma
Con una nota informativa del 20 ottobre 2009, la Congregazione
per la Dottrina della Fede ha annunciato l’imminente promulgazione di una Costituzione
Apostolica che consentirà agli anglicani, che lo desiderassero, di entrare nella
piena e visibile comunione. con la Chiesa Cattolica.
Da tempo cova da parte dei
tradizionalisti anglicani un certo disagio verso l’arcivescovado di Canterbury, l’ecclesiastico
più importante per la comunità Anglicana. La Traditional Anglican
Communion aveva esplicitamente criticato l’apertura di Canterbury, datata
1993, al sacerdozio femminile e all’ammissione tra il clero di uomini dichiaratamente
omosessuali. Ma prima di questa data già si era avvertito il fenomeno di
anglicani che passavano individualmente nelle fila della Chiesa di Roma, tanto che
già nel 1982 Giovanni Paolo II, con un meno impegnativo ‘provvedimento pastorale’,
aprì le porte della Chiesa Cattolica a singoli fedeli che avessero deciso di
lasciare la .confessione della corona. È pur vero che agli anglicani era stata lasciata
aperta una bella porta sin dall’inizio, perché, se è vero che storicamente la
Chiesa Anglicana nasce nel 1534, allorché Enrico VIII aprì una controversia più
personale che politica nel momento in cui Roma non volle annullargli il matrimonio,
è anche vero che l’influsso delle chiese riformate su quella anglicana si limitò
sostanzialmente al comune rifiuto del primato petrino. Recentemente, già nel decreto
conciliare sull’ecumenismo (n.13), si menziona in modo esplicito la vicinanza
con la Chiesa Anglicana, in qualche modo distinguendola dal riferimento alle
Comunità separate dalla Chiesa Cattolica nel tempo della Riforma. La recente nota
informativa della Congregazione fa anche esplicito riferimento al Movimento di
Oxford che a metà del XIX secolo mostrò un rinnovato interesse per gli aspetti
cattolici dell’anglicanesimo e all’opera del Cardinale Mercier, il quale, in Belgio,
intraprese un percorso pubblico con gli anglicani all’insegna del motto «riunire ma
non assorbire». Prima d’oggi vi sono stati molti esempi di anglicani, anche organizzati
in gruppi, ‘convertiti’ al cattolicesimo, il più celebre dei quali è, forse, quello scaturito dal
movimento anglo-cattolico il cui massimo esponente è stato John Henry Newman,
poi convertitosi al cattolicesimo e divenuto cardinale.
Diciamo che, nonostante le apparenze, l’unica vera insormontabile differenza
dottrinale riguarda proprio l’infallibilità del papa e il primato petrino, perchè anche le
differenti posizioni sull’eucarestia sembra siano state molto sfumate nel corso
degli ultimi decenni. La liturgia anglicana, al contrario, potrebbe essere uno dei
grimaldelli utilizzati da Benedetto XVI per riformare quella cattolica. In effetti,
i luterani hanno visto evolversi una loro liturgia dal modello tridentino, ma
senza scostarsene troppo. L’eucarestia è generalmente ricevuta in ginocchio,
ma sotto le due specie (pane e vino, corpo e sangue); i canti, lontani dalle
attualizzazioni che poco piacciono a Ratzinger, conservano una propria solennità estetica e chiari sapori rinascimentali. Il rito, però, è celebrato in inglese.
Sul portale http://antoniodipadova.blogspot.com si trovano alcuni significativi
video riguardanti liturgie anglicane, celebrate negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.
Si nota che, spesso, il celebrante volge le spalle ai fedeli ed è evidente l’estrema
enfasi con la quale si celebrano i riti. Nel caso della Costituzione Apostolica
che sarà promulgata a breve, a quanto apprendiamo dalla comunicazione della
Congregazione, presieduta dal Cardinal Levada, non saranno esplicitamente
trattati temi dottrinali, essendo genericamente richiesto che gli anglicani accettino
i contenuti del Catechismo della Chiesa Cattolica. Quello che sta succedendo
tra cattolici e anglicani non è proprio conforme ai precedenti storici.
La mente corre al caso più recente, che ha riguardato i lefreviani e la Fraternità
sacerdotale San Pio X, per i quali Benedetto XVI emanò un motu proprio che
sostanzialmente accoglieva i tradizionalisti nel rito cattolico, cancellando nei
fatti lo scisma. Al contrario, oggi, sembrerebbe che la Costituzione Apostolica
preparata per gli anglicani rivesta il carattere di una particolare solennità, vista
anche la forma con cui sarà dato vita al provvedimento, e offra «un unico
modello canonico per la Chiesa universale, adattabile a diverse situazioni locali». Insomma, se per i tradizionalisti seguaci di Lefevre si è trattato di un gesto
unico di politica ecclesiale, in questo caso siamo di fronte a un evento che farà
dottrina e si costituirà anche come modello futuro.
Particolare autonomia viene garantita a coloro che rientreranno nei ranghi. Attraverso
L’Ordinariato Personale, molto simile per costituzione canonica agli Ordinariati
militari già esistenti, gli anglicani avranno una sorta di autogoverno, dal momento che
i titolari dell’Ordinariato saranno di norma
scelti all’interno del clero anglicano.
Ma, sebbene la Chiesa Cattolica
accetterà i sacerdoti già sposati e consentirà loro di continuare la vita coniugale
nel sacerdozio, l’Ordinariato potrà essere attribuito soltanto a sacerdoti celibi:
«Ragioni storiche ed ecumeniche non
permettono l’ordinazione di uomini sposati
a vescovi sia nella Chiesa Cattolica
come in quelle Ortodosse». Si presume,
quindi, che tali sacerdoti non possano
sposarsi, o perdano il titolo una volta sposati.
Fin qui i fatti. Ci saremmo aspettati una reazione negativa da parte della Chiesa
Anglicana, invece si constata che l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams,
abbia dato in contemporanea con la conferenza del Cardinal Levada, l’annuncio
del provvedimento vaticano, addirittura attraverso una nota congiunta firmata
assieme all’arcivescovo cattolico di Westmister, Vincent Gerard Nichols.
Voci non ufficiali parlano di un gesto dettato dal dovere e dala convenienza di fare
buon viso a cattivo gioco, ma al momento non appaiono dichiarazioni negative da
parte della Chiesa Anglicana. Ai vaticanisti, al contrario, non è sfuggito il fatto che
la partita sia stata condotta dal Cardinal Levada, il capo dell’ex Sant’Uffizio, mentre
alla conferenza di presentazione del provvedimento sia stato assente il cardinale
Kasper, capo del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani,
ufficialmente impegnato altrove. Proprio qualche giorno prima della conferenza
stampa, rispondendo a una domanda sulla confluenza nella Chiesa Cattolica di gruppi
anglicani, il titolare di quello che possiamo chiamare il Ministero all’ecumenismo
aveva escluso tale possibilità: la conversione – aveva detto – «è una questione personale.
Ogni persona che singolarmente vuole convertirsi al cattolicesimo sarà accolta,
ma non gruppi. Non facciamo proselitismo». Imbarazzate alcune dichiarazioni
di Levada, che avoca a sé il provvedimento, escludendo la competenza di altri
organismi vaticani: «,le questioni di eresia e di scisma anche quella di espressione
della fede cattolica competono alla Congregazione per la Dottrina della Fede… Come
si dice da queste parti: excusatio non petita».
Naturalmente, entusiastiche le dichiarazioni dei tradizionalisti anglicani, i quali,
attraverso un comunicato di Forward in Faith, la principale associazione anglocattolica
che raccoglie aderenti in tutto il mondo anglicano tradizionale, esprimono
soddisfazione per il riconoscimento della speranza «più volte espressa dei
cattolici anglicani di essere messi in grado in qualche modo di entrare in piena
comunione con la Sede di Pietro pur mantenendo la propria integra identità in
ogni aspetto del retaggio anglicano che non è in contrasto con l’insegnamento
della Chiesa Cattolica». Le perplessità che suscita la svolta vaticana possono
essere riassunte in due punti. Il primo: in realtà l’accezione dell’ecumenismo che
trapela dalla futura Costituzione Apostolica è quella del «ritorno all’ovile», seppure
temperata da uno statuto molto simile a quello concesso alle chiese orientali di
rito cattolico. Oltre un secolo di dialogo è stato cancellato da una scelta che tiene
ben distanti la Chiesa Anglicana e quella Cattolica, ma che apre le porte ai singoli
individui o ai gruppi che vogliano entrare in quest’ultima. Insomma, non si
parla esplicitamente di ‘conversione’ ma siamo molto più vicini a questo concetto
che a quello di svolta ecumenica. Il fatto che l’atto che si prepara, la Costituzione
Apostolica, sia un atto molto alto nella gerarchia delle fonti di diritto
canonico, e che espressamente venga indicato come modello per il futuro, non
può che confermare l’ipotesi che questo provvedimento rivesta per Roma un
modello di carattere generale, con il quale affrontare il rapporto con le altre chiese
cristiane: una resa con onore, e qualche concessione in termini di autonomia, per
i gruppi che volessero tornare sulla ‘retta via’.
Il secondo punto riguarda un nodo di politica interna vaticana: il Papa rafforza la
schiera degli integralisti in qualche modo lontani dalle riforme conciliari e rafforza
sul piano liturgico alcune sue posizioni spesso apertamente ignorate dal clero e
dalle comunità locali. La liturgia potrebbe essere il tavolo sul quale l’attuale pontefice
giocherà le sue carte, nella sfida con i più strenui difensori della svolta conciliare
e il rito anglicano potrà dargli un piccolo aiuto. Il fatto che ci si troverà dinanzi ad
alcuni preti sposati non turbi più di tanto, c’è il precedente dei fedeli di rito orientale
e poi questi sacerdoti eserciteranno il loro ministero nella loro comunità di provenienza,
senza alcuno scandalo, quindi, per i cattolici romani.
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