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Il Vaticano apre la strada agli anglicani che rientreranno nella Chiesa di Roma

Dicembre 08
18:03 2009

Con una nota informativa del 20 ottobre 2009, la Congregazione

per la Dottrina della Fede ha annunciato l’imminente promulgazione di una Costituzione

Apostolica che consentirà agli anglicani, che lo desiderassero, di entrare nella

piena e visibile comunione. con la Chiesa Cattolica.

 Da tempo cova da parte dei

tradizionalisti anglicani un certo disagio verso l’arcivescovado di Canterbury, l’ecclesiastico

più importante per la comunità Anglicana. La Traditional Anglican 

Communion aveva esplicitamente criticato l’apertura di Canterbury, datata

1993, al sacerdozio femminile e all’ammissione tra il clero di uomini dichiaratamente

omosessuali. Ma prima di questa data già si era avvertito il fenomeno di

anglicani che passavano individualmente nelle fila della Chiesa di Roma, tanto che

già nel 1982 Giovanni Paolo II, con un meno impegnativo ‘provvedimento pastorale’,

aprì le porte della Chiesa Cattolica a singoli fedeli che avessero deciso di

lasciare la .confessione della corona. È pur vero che agli anglicani era stata lasciata

aperta una bella porta sin dall’inizio, perché, se è vero che storicamente la

Chiesa Anglicana nasce nel 1534, allorché Enrico VIII aprì una controversia più

personale che politica nel momento in cui Roma non volle annullargli il matrimonio,

è anche vero che l’influsso delle chiese riformate su quella anglicana si limitò

sostanzialmente al comune rifiuto del primato petrino. Recentemente, già nel decreto

conciliare sull’ecumenismo (n.13), si menziona in modo esplicito la vicinanza

con la Chiesa Anglicana, in qualche modo distinguendola dal riferimento alle

Comunità separate dalla Chiesa Cattolica nel tempo della Riforma. La recente nota

informativa della Congregazione fa anche esplicito riferimento al Movimento di

Oxford che a metà del XIX secolo mostrò un rinnovato interesse per gli aspetti

cattolici dell’anglicanesimo e all’opera del Cardinale Mercier, il quale, in Belgio,

intraprese un percorso pubblico con gli anglicani all’insegna del motto «riunire ma

non assorbire». Prima d’oggi vi sono stati molti esempi di anglicani, anche organizzati

in gruppi, ‘convertiti’ al cattolicesimo, il più celebre dei quali è, forse, quello scaturito dal

movimento anglo-cattolico il cui massimo esponente è stato John Henry Newman,

poi convertitosi al cattolicesimo e divenuto cardinale.

Diciamo che, nonostante le apparenze, l’unica vera insormontabile differenza

dottrinale riguarda proprio l’infallibilità del papa e il primato petrino, perchè anche le

differenti posizioni sull’eucarestia sembra siano state molto sfumate nel corso

degli ultimi decenni. La liturgia anglicana, al contrario, potrebbe essere uno dei

grimaldelli utilizzati da Benedetto XVI per riformare quella cattolica. In effetti,

i luterani hanno visto evolversi una loro liturgia dal modello tridentino, ma

senza scostarsene troppo. L’eucarestia è generalmente ricevuta in ginocchio,

ma sotto le due specie (pane e vino, corpo e sangue); i canti, lontani dalle

attualizzazioni che poco piacciono a Ratzinger, conservano una propria solennità estetica e chiari sapori rinascimentali. Il rito, però, è celebrato in inglese.

Sul portale http://antoniodipadova.blogspot.com si trovano alcuni significativi

video riguardanti liturgie anglicane, celebrate negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.

Si nota che, spesso, il celebrante volge le spalle ai fedeli ed è evidente l’estrema

enfasi con la quale si celebrano i riti. Nel caso della Costituzione Apostolica

che sarà promulgata a breve, a quanto apprendiamo dalla comunicazione della

Congregazione, presieduta dal Cardinal Levada, non saranno esplicitamente

trattati temi dottrinali, essendo genericamente richiesto che gli anglicani accettino

i contenuti del Catechismo della Chiesa Cattolica. Quello che sta succedendo

tra cattolici e anglicani non è proprio conforme ai precedenti storici.

La mente corre al caso più recente, che ha riguardato i lefreviani e la Fraternità

sacerdotale San Pio X, per i quali Benedetto XVI emanò un motu proprio che

sostanzialmente accoglieva i tradizionalisti nel rito cattolico, cancellando nei

fatti lo scisma. Al contrario, oggi, sembrerebbe che la Costituzione Apostolica

preparata per gli anglicani rivesta il carattere di una particolare solennità, vista

anche la forma con cui sarà dato vita al provvedimento, e offra «un unico

modello canonico per la Chiesa universale, adattabile a diverse situazioni locali». Insomma, se per i tradizionalisti seguaci di Lefevre si è trattato di un gesto

unico di politica ecclesiale, in questo caso siamo di fronte a un evento che farà

dottrina e si costituirà anche come modello futuro.

Particolare autonomia viene garantita a coloro che rientreranno nei ranghi. Attraverso

L’Ordinariato Personale, molto simile per costituzione canonica agli Ordinariati

militari già esistenti, gli anglicani avranno una sorta di autogoverno, dal momento che

i titolari dell’Ordinariato saranno di norma

scelti all’interno del clero anglicano.

Ma, sebbene la Chiesa Cattolica

accetterà i sacerdoti già sposati e consentirà loro di continuare la vita coniugale

nel sacerdozio, l’Ordinariato potrà essere attribuito soltanto a sacerdoti celibi:

«Ragioni storiche ed ecumeniche non

permettono l’ordinazione di uomini sposati

a vescovi sia nella Chiesa Cattolica

come in quelle Ortodosse». Si presume,

quindi, che tali sacerdoti non possano

sposarsi, o perdano il titolo una volta sposati.

Fin qui i fatti. Ci saremmo aspettati una reazione negativa da parte della Chiesa

Anglicana, invece si constata che l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams,

abbia dato in contemporanea con la conferenza del Cardinal Levada, l’annuncio

del provvedimento vaticano, addirittura attraverso una nota congiunta firmata

assieme all’arcivescovo cattolico di Westmister, Vincent Gerard Nichols.

Voci non ufficiali parlano di un gesto dettato dal dovere e dala convenienza di fare

buon viso a cattivo gioco, ma al momento non appaiono dichiarazioni negative da

parte della Chiesa Anglicana. Ai vaticanisti, al contrario, non è sfuggito il fatto che

la partita sia stata condotta dal Cardinal Levada, il capo dell’ex Sant’Uffizio, mentre

alla conferenza di presentazione del provvedimento sia stato assente il cardinale

Kasper, capo del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani,

ufficialmente impegnato altrove. Proprio qualche giorno prima della conferenza

stampa, rispondendo a una domanda sulla confluenza nella Chiesa Cattolica di gruppi

anglicani, il titolare di quello che possiamo chiamare il Ministero all’ecumenismo

aveva escluso tale possibilità: la conversione – aveva detto – «è una questione personale.

Ogni persona che singolarmente vuole convertirsi al cattolicesimo sarà accolta,

ma non gruppi. Non facciamo proselitismo». Imbarazzate alcune dichiarazioni

di Levada, che avoca a sé il provvedimento, escludendo la competenza di altri

organismi vaticani: «,le questioni di eresia e di scisma anche quella di espressione

della fede cattolica competono alla Congregazione per la Dottrina della Fede… Come

si dice da queste parti: excusatio non petita».

Naturalmente, entusiastiche le dichiarazioni dei tradizionalisti anglicani, i quali,

attraverso un comunicato di Forward in Faith, la principale associazione anglocattolica

che raccoglie aderenti in tutto il mondo anglicano tradizionale, esprimono

soddisfazione per il riconoscimento della speranza «più volte espressa dei

cattolici anglicani di essere messi in grado in qualche modo di entrare in piena

comunione con la Sede di Pietro pur mantenendo la propria integra identità in

ogni aspetto del retaggio anglicano che non è in contrasto con l’insegnamento

della Chiesa Cattolica». Le perplessità che suscita la svolta vaticana possono

essere riassunte in due punti. Il primo: in realtà l’accezione dell’ecumenismo che

trapela dalla futura Costituzione Apostolica è quella del «ritorno all’ovile», seppure

temperata da uno statuto molto simile a quello concesso alle chiese orientali di

rito cattolico. Oltre un secolo di dialogo è stato cancellato da una scelta che tiene

ben distanti la Chiesa Anglicana e quella Cattolica, ma che apre le porte ai singoli

individui o ai gruppi che vogliano entrare in quest’ultima. Insomma, non si

parla esplicitamente di ‘conversione’ ma siamo molto più vicini a questo concetto

che a quello di svolta ecumenica. Il fatto che l’atto che si prepara, la Costituzione

Apostolica, sia un atto molto alto nella gerarchia delle fonti di diritto

canonico, e che espressamente venga indicato come modello per il futuro, non

può che confermare l’ipotesi che questo provvedimento rivesta per Roma un

modello di carattere generale, con il quale affrontare il rapporto con le altre chiese

cristiane: una resa con onore, e qualche concessione in termini di autonomia, per

i gruppi che volessero tornare sulla ‘retta via’.

Il secondo punto riguarda un nodo di politica interna vaticana: il Papa rafforza la

schiera degli integralisti in qualche modo lontani dalle riforme conciliari e rafforza

sul piano liturgico alcune sue posizioni spesso apertamente ignorate dal clero e

dalle comunità locali. La liturgia potrebbe essere il tavolo sul quale l’attuale pontefice

giocherà le sue carte, nella sfida con i più strenui difensori della svolta conciliare

e il rito anglicano potrà dargli un piccolo aiuto. Il fatto che ci si troverà dinanzi ad

alcuni preti sposati non turbi più di tanto, c’è il precedente dei fedeli di rito orientale

e poi questi sacerdoti eserciteranno il loro ministero nella loro comunità di provenienza,

senza alcuno scandalo, quindi, per i cattolici romani.

 

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