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JOURNAL INTIME

Luglio 31
23:00 2007

A’ André Gide , mon père spiritual,
Le premier qui m’as fait aimer la littérature française de tous les temps.
Un Journal intime pour lui rendre grâce et pour croîre encore dans son positivisme .
Aurait-il jamais vécu dans un future si proche comme le mien? On ne sait jamais.

Lento Melodico.
Suoni elettronici di Intro.
Un oggetto metallico che casca e rimbomba per sei o sette volte.
Eco.
Rimbalzo.

Subentrano le strings.
L’orologio in cassa acciaio cade sugli altoparlanti Dallas.
Autochord*.
Assolo di chitarra acustica, trascinante.
Basso incalzante.
Lento approccio al riff emozionale.
Accumuli di bozze e stesure musicali.
È il ritornello, scritto e modificato dall’artista chissà quante volte.
Bellissimo.
Paparapapa… paparapapa…
Autochord** e Vibrato, basso… quanto basso in questo pezzo.
Alba del 13/06 sulle distese dei campi verdi e sereni, che circondano la ormai lontana Latina.
Cielo insospettabile, dopo la giornata di ieri, dopo l’acquazzone di ieri pomeriggio.
Il treno corre veloce verso Roma e mostra agli occhi del viaggiatore le colonne dell’antico acquedotto romano, mentre comincia a farsi giorno tutto intorno.
Sarà una giornata straordinaria, me lo sento.
À la découverte d’un royaume connu à travers l’histoire de nos manuels scolaires. Rome, la ville eterne. Rome et ses secrets.
Una morettina, non poi cosi tanto -ina, viste le sue forme monumentali, nel corridoio del mio stesso compartimento-convoglio, tira un pò su i jeans e mette in ordine il suo top-canottiera noir, ça va comme ça, sans rien dire, n’est-pas?
A guardarla ben bene non è questo granchè: fianchi leggermente sproporzionati, e piedi troppo piatti. No, non fa per me.
Sono molto più belli di lei i murales cubitali verdana, gothic sans sherif, all’ingresso della lunga passeggiatina che si trova a Roma Termini.
KaO§, Gotham Style… Roma domina.
Non ho mai visto niente di simile! Degno della migliore Suburbianville o di Underworld del maestro Peter Conrad.
Zaino in spalla, allegro e leggero: una sola bottiglietta d’acqua e un walkman nel sacco, mentre tutti gli altri si affannano nelle loro striminzite cravatte a raccattare i loro trolleys o a curare, con attenzione, la sempreverde marron-pelle ventiquattrore, regalo della nonna ricca.
Il treno si arresta, il portellone si apre e scendono due signorotti prima di me.
Roma, profuma di mattino.
Les baskettes aux pieds, les shorts et la t-shirt de mon dernier concert passé toujours à Rome, il y a quelques années.
Mi carico veramente di buon umore, di voglia di fare.
Centinaia di persone si affrettano verso i terminal, verso i bus, verso le loro personalissime coincidenze.
Milioni di piedi in corsa… la loro ansia non mi tange minimamente.
Il tabellone termico della stazione ferroviaria di Termini, a cifre giallo catarifrangente, mi ricorda che siamo a +20°C e che probabilmente oggi è scoppiata veramente la tanto attesa estate.
Ho ancora un po’ di sonno tra le palpebre semichiuse da un viaggio in treno un po’ scomodo, sdraiato che ero sui sedili ribaltabili di Trenitalia.
Già a quest’ora, gli americani e le americane si fanno il loro primo sorsetto di birra, in canottiera e mutande.

E Roma è anche questa, oggi. Termini si popola, non solo di me, non solo di noi, gente venuta dal sud con questo splendido tempo, ma di mille voci, di mille colori, di gadgetomania, di vetrine dei negozi addobbate per l’acquisto, di sigarette accese, di giornali appena stampati, di panini appena cotti nel microonde, di videowalls che tormentano con la pubblicità messa a rotazione continua, in wide-screen, twenty-four hours a day.
Passi e corse di gente che sembra rincorrersi, cercarsi e subito superarsi.
Decine di camionette che distribuiscono “Leggo” o “Métro”, o che sono lì per risistemare i carrelli-porta-valigie…
Sept heures moins dix, e mi avvio verso la metropolitana incontrando centinaia di volti che mi guardano… e con i quali scambiamo un anonimo segno di sopracciglia.
Anonimi gli sguardi, sono e resteranno, come le scale che scendo, i corridoi che attraverso…
Chiedo delle informazioni, compro dei biglietti,… non so più cosa sto facendo e dove sto andando…
Quando all’improvviso: C’est quoi ça?
Vétue d’une longue veste noire, droit en face à moi, lévée comme une nonne, un visage sombre juste au milieu du couloir de Via Anagnina… una «Dea perduta dietro i dedali di Roma » …
In questa afosa mattinata, all’improvviso si leva un vento di tempesta che mi sconvolge la visiera del cappellino che porto, e la lunga veste nera di questo strano personaggio…
No please, oggi voglio che sia tutto perfetto, tutto semplice, tutto rilassante come me lo sono prefigurato non appena sono sceso da quel treno.

Con incedere incerto e tremante, avverto che dietro i miei passi ormai si sono fatti solo ricordi i Mc Donald’s e le tabaccherie piene di riviste e di cianfrusaglie dai colori sgargianti…
Distolgo per un attimo lo sguardo da quella visione per seguire con una “sonda” una folta e fluente chioma bionda che mi sorpassa sulla destra e prosegue diritta oltre il corridoio…
Ed ecco che la “chioma”, sentendosi fastidiosamente osservata, si volta verso colui che la sta insinuando…
C’è come una torsione del collo, di quasi 60°, ma non c’è volto dietro quelle splendide méches, ci sono soltanto altri capelli, come quelli di prima, lunghi, lisci, perfetti, squadrati.
Una lunga coda di pendolari (probabilmente), si affretta verso le sbarre d’acciaio della metropolitana romana e mi accingo anche io ad incolonnarmi con loro per non perdere d’occhio la tipa bionda, fasciata in uno strettissimo abito grigio di sole cinture di cuoio.
Ora siamo 20 in attesa, meglio non perdere la priorità acquisita!
«Come si chiamerà mai? Quanti anni avrà e soprattutto… sarà italiana?» – sono queste le domande che mi ronzano per la testa, mentre una monetina da 70 centesimi di euro scatta nel marchingegno elettronico della città capitolina sotterranea e mi svela una nuova Roma.
I binari neri e ferrosi corrono verso l’oscurità delle gallerie, di tunnel e delle tante bellissime Rome da esplorare…
Mi rendo a quel punto conto di aver perso di vista l’oggetto del mio incedere verso questa metropolitana fatta di vagoni rosso magenta e altre scritte fatte con lo spray indelebile sui portelloni.
Tiens les romains, ils sont si formidables! L’art vive dans leurs veins!
Salgo insieme a tanti sulla metro e mentre cerco negli sguardi di un gruppo di britannici già sbevazzati, la “mia” biondina, li sento lamentarsi per la calca: «Damn! What a hell! We feel so stuck! », mi faccio furbo e riesco a trovare un posto a sedere accanto ad una mamma con l’occhio bionico computerizzato che tiene “d’occhio” il figlioletto.
Il tipo avrà avuto 5-6 anni non più, e con tanto di smorfiosaggine, saltella tra i cavi di ferro della metrò (alla francese questa volta), invitando la madre a guardarlo e sfidando con tanto di sorrisetto ad emulare i suoi gesti, un ragazzino di pari età, che tranquillo e placido come me, siede accanto al padre. La cyber-mamma del “piccolo genio” incompreso, preme un pulsante, microchip affianco al suo occhio sinistro… probabilmente, sta soltanto cercando di sintonizzare meglio le frequenze del suo cervello…
All’improvviso le vedo comparire sulle labbra, un mezzo ghigno; di compiacimento o di sfida, non saprei dirlo.
Getto “un occhio” al mio zaino, perché ci sia ancora, non si sa mai!
Non è che contenga chissà quali tesori, questo cimelio del III scientifico che continuo sempre a portarmi dietro, nelle mie trasferte.
Brusca frenata, decine di persone sono costrette ad aggrapparsi come meglio possono, mentre il prodigio di “Via Teulada”, finisce per terra, gambe all’aria. La madre non si scompone e invita il figlio a rialzarsi col semplice uso della telecinesi.
Detto, fatto!
Il bimbo torna in piedi a rompere le palle al ragazzino seduto col padre e anche me che sono qui seduto da 20 minuti e non faccio che continuare a guardarlo.

Ricordo… adesso si ricordo un’altra cosa che ho visto, o che per meglio dire ho vissuto…
Scese le scale della stazione ferroviaria, mi sono fermato in una rosticceria per comprare un panino, qualcosa per stuzzicare l’appetito e tenere qualcosa in fresco per gettare la mia bottiglietta d’acqua ormai troppo “gusto sedili in finto pelle del treno” che mi ha accompagnato fin qui…
Un barista e una collega di un altro esercizio non lontano dal suo…
Lui romano, lei cinese, o pakistana o giapponese, boh valli a capire… fisicamente tutti uguali, ma questa qui con uno spiccatissimo accento italiano di quelli “imparati bene a scuola” o “imparati bene dopo tanti anni di lavoro in Italia”…
Lui: «Ah fiore de loto, che te serve? Sto à riscaldà un panino al ragazzino qua…» – Ragazzino? Io?
Lei: «Scusami ma mi selvile un piccolo plestitino di soldi spiccioli…Hai qualcosina, pel favole?»
Lui: «Ah pupazzì, e so giorni che va avanti sta storia! Eh mo basta! L’altro giorno è venuto l’altro cogli occhi a mandorla a chiedermi la stessa cosa. Che volemo fa? »
– Tutto questo naturalmente, tengo a precisare sorridendo, e instillando preziosi sghignazzamenti anche nel cliente (che poi sarei io), tanto da rendergli la giornata ancora più indimenticabile. Vi dico grazie qui dalle pagine del mio diario. –
Il tipo finalmente le passa i soldi, anche perché anche il mio panino sembra bello cotto a puntino sotto la piastra, e con una abilità che qui non sto a descrivere, il barista, o il signor barista (sarebbe meglio dire) serve entrambi con nonchalance e con grazia dei migliori esercenti nella ristorazione.
Lui: «Senti bellezza, diglielo al tuo collega, occhi a mandorla, al tuo “amichetto” che sta storia deve finì, perché senno da domani vengo pure io a chiedervi la carità al bancone, da “se magna da Er crostaceo” ».
La ragazza sorride e maliziosamente voltandosi gli dice: «Io imparato bene italiano, sai? Sapele benissimo cosa voi intendele pel amichetto,… quello non è “amichetto” mio. Allivedelci».
Lui: «Ah ragazzì, altro da bere? » – ma sorride a questo punto anche lui.
Hai capito gli orientali? Grandiosi.
Mi sa che è ora di scendere. Il bus spot (dopo avermi tempestato di messaggi pubblicitari) mi dice che siamo arrivati a Termini Metro Station.

Consumo il mio paninozzo tutto crauti, maionese e wurstel originali di Roma, sotto il sole di una panchina bollente della ancora capitale italiana, in questo afosissimo pomeriggio del 13 Giugno 2028 e guardo l’orologio: ancora le 13:45. Mancano esattamente 2 ore al mio prossimo treno per il sud.
Un altro viaggio in metropolitana? Ma no… La bionda l’ho cercata per mezza Roma, figurati, tra 60 Milioni di persone che circolano nella capitale se ho la chance di rivederla. E se fosse brutta? Inquietante? Se fosse una di quelle che ci impediscono di avvicinare…?

Zaino tra le gambe raggomitolate al petto, disteso sulla panchina in puro marmo lucido stazione, devo essermi appisolato una mezz’oretta: mi sento svegliato dal tocco delicato di mano di una donna. Sarà stata una bambina, o una poco più che appena adolescente… Occhi azzurro cielo, su uno sfondo di lentiggini americane…
«Is anyone there with you? » – mi chiede questa tipa con un pacco di biscotti alla vaniglia ancora in tatto tra le mani.
«Excuse-me sir» – dice ancora verso di me – «Is this place free? », con quegli occhioni venuti dall’estero.
«Chi? Cos…come… what?» – sarà stato poi solo il sonno interrotto?
Poco più bassa di me, con quello sguardo ancora da 16enne ma con un vocione già da adulta, ha lo sguardo sorridente e pare non capire il mio mezzo italo-americano…
«Do not be scared» – mi viene fuori cosi, non ho ancora capito perché…
«Sure, of course, it’s free… It’s for you! » – le dico, e lei scoppia in una risata “grassa”.
Mi sentisse adesso la mia prof di inglese del liceo. Le farei piangere. È già successo.
Che gran figura di merda con queste lingue. Quando servono, quando hai bisogno di parlarci veramente con uno straniero, la tua, di lingua, ti rimane nascosta nel palato e tiri fuori delle cose assurde, che non hai mai sentito, nemmeno a scuola. Mi succede lo stesso anche con il francese. E l’italiano non ne è escluso quando vuoi fare lo splendido con gli stranieri.
Mentre abbozzo anche io un sorriso e cerco di instaurare un inutile discorso su Roma e sui viaggi con questa bella ragazza ecco che mi viene in mente uno strano pensiero…
Ho girato nella metro alla ricerca del “volto senza nome” per tutta la mattinata e non ho visto nulla di bello da visitare…
Piazza Baldo degli Ubaldi, la Valle Aurelia, i musei Vaticani, San Pietro, il Quirinale, Piazza di Spagna, piazza Venezia e via Barberini, li ho visti si, ma solo come nomi delle fermate principali della linea A della metropolitana…
La mia compagna di chiacchiere poggia i biscotti sul sedile della panchina e all’improvviso scioglie i capelli lunghi, biondissimi e meravigliosi, forse per colpa del caldo, forse perché vuole che qualcuno si accorga di lei che è li, americana, giovanissima e bellissima e unica (perché una così ancora non l’avevo vista).
Volta lo sguardo verso di me. Sguardo che dall’azzurro sembra essersi fatto celestino. Non so descriverlo meglio e forse non ci riuscirei con altre parole.
Abbassa lo sguardo sui suoi biscotti, ormai la scatola è terminata ed è evidentemente finita come mi fa gesto lei in maniera più che eloquente.
Sorride per cosi poco. E si intimidisce proprio adesso. O pare che abbia imbarazzo. Non lo so. Forse né l’una né l’altra cosa. Forse.
La vedo alzarsi e allontanarsi nel suo jeans celeste come gli occhi e nella sua canotta bianca che fa molto estate, molto desiderio di vacanze, di viaggi, di spensieratezza, di una giornata al sole di Roma come questa.
Non la rivedrò più.
Sono le 15.00 e mi risveglio, al tocco di alcuni anziani questa volta che cercano di recuperare un giornaletto che gli è sfuggito di mano per il forte vento che si era appena levato.
È tempo di cominciare a sistemarsi per la partenza. Fare un piccolo giro di ricognizione per sgranchirsi le gambe e per ricordare quegli occhi celesti e quei capelli che all’improvviso si sciolgono al sole come un gelato di questi tempi.
Che bella visione.
Parfume de vanille et c’est tout.
Non la rivedrò più. Ma forse è stato meglio cosi per un sogno che si è materializzato anche solo per pochi minuti.
Non rivedrò nemmeno più quei volti minacciosi della dedalica romana e di quel folto gruppo di capelli biondi perfetti in movimento e senza nome.
KaO§, Gotham Style… Roma domina.
E sono ancora splendide rovine che mi riaccompagnano nel mio viaggio verso Latina e verso il sud…

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