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L’immobile al primo piano

Gennaio 22
09:09 2013

Da quando lo spread non è più tra i ricorrenti ritornelli della cronaca, forse anche grazie a una momentanea attenuazione dell’interesse dei grandi speculatori internazionali, è balzato prepotentemente alla ribalta il tema della proprietà immobiliare degli italiani. C’è sicuramente lo zampino della nuova tassa, l’IMU, che sostituisce la vecchia ICI, a mettere in luce l’argomento, ma è anche probabile che qualcuno si sia accorto che il patrimonio immobiliare italiano supera abbondantemente i valori espressi da quello finanziario.

Da sempre, infatti, il mattone rappresenta il grande amore del cittadino italiano e in questi ultimi anni ha costituito l’elemento di maggior peso nelle scelte d’investimento dei risparmiatori, complice la crisi iniziata nel 2008 e ancor oggi in atto. Da quando, infatti, l’altro amore degli italiani, il BOT, ha drasticamente abbassato il rendimento fino quasi ad azzerarlo, gli italiani hanno dirottato i loro investimenti verso il settore immobiliare. Qualsiasi investimento deve avere una sua finalità e motivazione: l’acquisto dell’immobile come abitazione della famiglia (prima casa) è una priorità nelle motivazioni finanziarie di chiunque e quindi da perseguire anche a costo di sacrifici economici. Ma quando la motivazione è dettata da un dirottamento massiccio di denaro che non trova le usuali collocazioni finanziarie e ci si lascia illudere da chissà quali ritorni di canoni locativi, allora balza in primo piano la rischiosità non ponderata e non attentamente valutata. Quanto perseguito negli ultimi 4-5 anni nel settore immobiliare ha avuto un duplice risultato: da una parte lo squilibrio creato da una sempre crescente domanda ha fatto sì che i prezzi lievitassero fino a raggiungere, in alcuni casi, un livello fuori controllo, dall’altra parte ha costituito l’elemento di maggior interesse fiscale di un governo alla ricerca di fonti economiche da poter utilizzare per sopperire a uno squilibrio di bilancio, vero o fittizio, ma richiesto da quelle autorità europee che ci hanno tenuto costantemente sotto controllo e che hanno monitorato l’Italia con la non ben celata speranza di portarla a far compagnia alla Spagna. La normativa da tempo in vigore sulle compravendite immobiliari ha permesso all’acquirente di pagare le tasse sul valore catastale pur in presenza di un esborso dichiarato nell’atto di acquisto superiore. Questo dettato della legge ha permesso di mettere in luce uno squilibrio oggettivamente notevole fra i due valori e da tempo si discute sulla necessità di riequilibrarli innalzando quello catastale, ma nessuna delle forze politiche, come al solito, si assume l’onere di accelerare l’iter verso l’attuazione di una legge, peraltro esistente, assumendosi un impegno elettoralmente non premiante. Siamo di fronte all’ennesima dichiarazione di buoni intenti ai quali non segue alcun fatto. Ecco quindi che l’immobile scalza lo spread e si riprende il suo posto centrale sia nella sfera economica che in quella fiscale e politica della nostra società, testimoniando anche storie grottesche come quella pubblicizzata da un telegiornale e riferita ad un personaggio che si è rivolto ai media per dichiarare di essere sprovvisto di denaro e non poter quindi pagare la nuova tassa sui suoi cinque appartamenti! Ritorna allora prepotente la considerazione sulle motivazioni che spingono a concentrare la propensione all’acquisto immobiliare che è stato a buon merito inserito fra gli strumenti finanziari, ma che proprio per questo dovrebbe seguire la regola che consiglia di non sbilanciarsi troppo verso un solo tipo di investimento e di privilegiare la diversificazione. Una notevole dose di responsabilità su quanto avvenuto nel settore immobiliare è da addossare agli operatori del settore e al loro notevole impegno pubblicitario che ha prodotto, almeno nell’immediato, l’effetto voluto. Ci troviamo, però, oggi a dover fare i conti con il mercato e con le sue dure regole: complice la crisi e la lente d’ingrandimento del fisco, la casa è l’elemento principe di attenzione da più parti, con valutazioni che purtroppo giungono tardive. Una domanda su tutte: che senso ha continuare a costruire migliaia di abitazioni se il mercato è saturo e in giro c’è molto invenduto? La risposta degli operatori del settore e di alcuni economisti è che il settore delle costruzioni rappresenta una delle colonne portanti dell’economia italiana. Non metto in dubbio questa valutazione, ma mi sia consentita una riflessione. Qualche anno fa abbiamo assistito alla catastrofe del terremoto dell’Aquila, dalla quale il settore immobiliare è uscito con le ossa rotte, soprattutto quando si sono appresi metodi di costruzione approssimativi, materiali inappropriati, controlli inesistenti e che ancora oggi si trascina vergognosamente senza soluzioni. La ricostruzione è argomento di continue battaglie su tutti i fronti, ma come al solito non ci si sofferma sull’analisi a largo raggio che dovrebbe portare in primo piano almeno due fattori indiscutibili: la sismicità del territorio italiano e l’endemica abitudine all’intrallazzo. Sul primo c’è poco da sottolineare, è un dato scientifico conosciuto da sempre e da mai affrontato con le giuste misure: si preferisce affrontare il problema di volta in volta piuttosto che dare soluzioni anche impopolari come ad esempio l’obbligatorietà di una polizza assicurativa che copra il rischio sismico. Sul secondo sono stati e ci sarebbero da scrivere fiumi d’inchiostro, ma voglio soffermarmi ad una sola considerazione:qual è la necessità di concedere una sanatoria a chi costruisce senza autorizzazioni e soprattutto senza i necessari controlli, magari in breve tempo per eludere sorveglianze blande e spesso conniventi? Certo una risposta è quella di carattere elettorale, guarda caso, ma per quanto tempo dobbiamo ancora sopportare la presenza di politici arroganti, ignoranti e protesi solo verso i propri interessi economici? La ricostruzione di quelle case spesso abusive ma sanate riguarda tutti, soprattutto quelli che con i soldi delle tasse contribuiscono a pagarne il rifacimento, ma forse è proprio questo il punto dolente: chi le tasse le evade, totalmente o parzialmente, se ne frega. Una soluzione che consenta al settore delle costruzioni di non avere grandi traumi che si riflettano inevitabilmente sull’economia nazionale, stante la sua importanza, è quella di una diversificazione che porti gradualmente ma velocemente a non costruire nuove abitazioni ma a ristrutturare l’esistente, magari abbattendolo e riedificandolo. Questa è una strada da tempo seguita in altri paesi, più attenti del nostro nei confronti dell’ambiente e che permetterebbe di adeguare gli immobili anche ai rischi di una sismicità sempre più attiva.

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