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La bellezza salverà il mondo

Maggio 09
14:36 2011

Su Controluce di marzo 2011 la rubrica L’angolo della poesia ha ospitato la poesia Le rime di Eugenio Montale: «Le rime sono più noiose delle / dame di San Vincenzo: battono alla porta / e insistono. Respingerle è impossibile / e purché stiano fuori si sopportano. / Il poeta decente le allontana / (le rime), le nasconde, bara, tenta / il contrabbando. Ma le pinzochere ardono / di zelo e prima o poi (rime e vecchiarde) / bussano ancora e sono sempre quelle». Personalmente non colgo ove sia la poesia in questo “scritto”, ma questo potrebbe essere un mio limite; quello che invece è a mio avviso inaccettabile è che una “poesia” si rivolga ad offendere, tacciandoli d’indecenza, i poeti che ricorrano alle rime. Tacciare d’indecenza Dante, Ariosto, Boiardo, Pascoli, Carducci, Shakespeare, Baudelaire, Rimbaud – e chi più ne ha più ne metta – appare una mera provocazione pubblicitaria, alla stregua di un «Roma ladrona». Offendere qualcosa di enorme fa tendenza e nella mente degli imbecilli fa indubbiamente anche colpo. Una provocazione di Montale, uno spot pubblicitario che se sottolineato, visti i tempi che corrono e la condizione pietosa nella quale versa la poesia, non può che accentuare il disamore nei suoi confronti e nei confronti di quelle opere quali la Divina Commedia, l’Orlando Furioso, il Canzoniere, I fiori del male ecc. che pure contengono una buona parte della nostra cultura e del nostro pensiero. Ma per fortuna è lo stesso Montale ad ammettere di avere le idee piuttosto confuse su cosa sia la poesia se afferma: «Che cos’è la poesia lirica? Per mio conto non saprei definire quest’araba fenice, questo mostro, quest’oggetto determinatissimo, concreto, eppure impalpabile perché fatto di parole, questa strana convivenza della musica e della metafisica, del ragionamento e dello sragionamento, del sonno e della veglia».¹ Insomma, l’unica cosa di cui è certo rispetto l’arte poetica è che un poeta che voglia apparire decente debba tenere lontana da se la tentazione delle rime. I fiori del male, l’opera principe di Charles Baudelaire, a detta di Friedrich rappresentano «il libro architettonicamente più rigoroso della lirica europea, nel quale viene inseguita l’esattezza matematica». Eppure di li a poco Baudelaire espliciterà un progetto che lo porterà «al di là della poesia» come si evince da questa affermazione che compare ne Les notes nouvelles sur Edgar Poe: «C’e un punto in cui la novella ha una superiorità anche sulla poesia. Il ritmo è necessario allo sviluppo dell’idea di bellezza, che è il fine più grande e nobile della poesia. Ora, gli artifici del ritmo sono un ostacolo insormontabile a quello sviluppo minuzioso di pensiero e di espressioni che ha per oggetto la verità.» Dunque, per Baudelaire il fine più grande e nobile della poesia è lo sviluppo dell’idea di bellezza per il quale il ritmo è fondamentale. Ma se «il bello è lo splendore del vero» (Platone) e se «il ritmo è necessario allo sviluppo dell’idea di bellezza», è paradossale che il poeta a un certo punto rinunci agli artifici del ritmo per meglio ricercare la verità. Sulla ricerca della bellezza attraverso il ritmo fonda il canone della poesia europea che dalla sua origine è rimasto invariato per secoli fin quando la scansione metrico ritmica non sia apparsa coercitiva all’espressione poetica il cui fine ultimo non era più il bello e il vero ma un “sentire individuale” che ne aveva preso il posto. Al poeta rappresentato nell’iconografia romantica come un invasato dalle chiome fluenti, capace di cogliere l’energia che relaziona la realtà con forze sconosciute attraverso un sentire interiore che sprigiona il furore creativo e che ha origine in una tradizione primordiale nella quale i confini tra parola e fenomeni erano impalpabili, si sostituisce un “poeta” egocentrico che sostituisce all’infinito l’umana quotidianità. E l’immaginazione (l’ispirazione) che secondo Baudelaire è la regina di tutte le facoltà, una facoltà quasi divina che coglie, d’un tratto al di fuori dei metodi filosofici i rapporti intimi e segreti delle cose, le corrispondenze e le analogie, diviene del tutto inadeguata a una poesia ormai rivolta alla tangibilità delle cose. Le riduzioni del razionalismo avevano condotto la dimensione dello spirito all’illusione della misurabilità e quindi della finitezza del mondo sensibile e il poeta non era più avvertito nella sua qualità di ispirato, quale veggente, sciamano, taumaturgo, profeta². Tra gli dei è Apollo, il luminoso, colui che può diradare le tenebre dell’ignoto a presiedere alla musica, all’armonia, alla divinazione e, in quanto capo delle muse, all’ispirazione poetica. Ma è ancora Platone a fornirci forse la giusta ricetta della bellezza e quindi della poesia: «La bellezza è mescolare in giuste proporzioni il finito e l’infinito». Il poeta appare quindi tramite tra immanente e trascendente e la poesia la traduzione in linguaggio umano della voce del cosmo. La poesia oggi altro non è che sterile passatempo consistente nel raccontare i propri malumori, le proprie visioni mistiche, le proprie elucubrazioni mentali attraverso componimenti disarmonici e arzigogolati il cui senso è, non di rado, ignoto allo stesso autore. Ho visto, non lontano da qui, poeti vincere premi di poesia e disquisire con i giurati che li avevano eletti, sul senso dei loro componimenti senza giungere a un compromesso, tra il disappunto della platea, e questo mi sembra già abbastanza. Giacomo Leopardi vive la sua esperienza poetica in bilico tra poesia canonica e verso libero ma, nella mia ingenua semplicità, pensando a lui non posso non ricordare questa immagine: «La donzelletta vien dalla campagna, / In sul calar del sole, / Col suo fascio dell’erba; e reca in mano / Un mazzolin di rose e di viole». Danza di parole, rima tra le più banali e scontate, ancora capace però di contenere in sè la bellezza di un mondo. «Mir spaset krasotà» afferma il principe Myškin, protagonista de L’Idiota di Fedor Dostoevskij, frase tradotta in genere con «la bellezza salverà il mondo», ma che potrebbe voler significare: il mondo salverà la bellezza. Allora lasciatemi dire: la bellezza salverà il mondo se il mondo salverà la bellezza.

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¹E. Montale, Sulla poesia. Milano, Mondadori, 1976, p. 171

²A. Seppilli, Poesia e magia. Torino, Einaudi, 1971

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