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La fissione nucleare compie 70 anni – 28

La fissione nucleare compie 70 anni – 28
Giugno 10
22:00 2010

Ernest O. Lawrence e J. Robert OppenheimerCaino & Abele

Due giganti della fisica USA del XX secolo. Un libro scritto da Nuel Pharr Davis nel 1968 racconta l’epica storia di Ernest O. Lawrence e J. Robert Oppenheimer, i due colossi della fisica americana del XX secolo, la cui associazione è nata in produttiva armonia, ha raggiunto il climax con invenzioni che hanno sconvolto il mondo intero, e non soltanto quello della fisica, ed è degenerata in rancori che hanno diviso la comunità scientifica nazionale ed internazionale e funestato l’intero corso della politica atomica degli USA.

Ognuno dei due fratelli. Ernest Orlando Lawrence vince il premio Nobel 1939 per la fisica grazie alla invenzione del ciclotrone, strumento fondamentale che apre nuove porte alla fisica nucleare dell’era moderna: esso costituisce infatti il primo anello di accumulazione e accelerazione di ioni e particelle. J(ulius) Robert Oppenheimer, che non ha mai vinto il premio Nobel, è diventato lo scienziato più famoso della sua generazione per avere diretto il più straordinario laboratorio interdisciplinare mai assemblato nel corso della storia della scienza. Il quarto di secolo di collaborazione tra questi due individui può essere definito l’era del culto della personalità della fisica. L&O hanno costituito la cosiddetta interazione forte tra personalità. Sono stati personaggi in conflitto sotto tutti gli aspetti. Lawrence – grande, ossuto, figlio del South Dakota, episcopale, mosso da eccezionale zelo ma impersonale e senza slanci passionali – costituisce il classico poliforme inventore americano, un realizzatore, uno sperimentatore spinto dalla pulsione di costruire macchine sempre più grandi e costose, pronto ad attraversare il paese in lungo e in largo per reclutare uomini e fondi al fine di mettere in opera i grandi anelli delle alte energie, senza ricorrere a megascopici potenziali elettrici. Oppenheimer – il minuto anche se slanciato Oppie, cittadino della New York metropolitana, ebreo, introspettivo, in grado di usare un pezzo di gesso come principale strumento di lavoro e di ricerca – è un teorico, un pensatore, un insegnante ispirato, un umanista a vita che mette da parte la sua ascetica adesione al Buddismo della non-violenza per supervisionare il progetto e la costruzione dell’arma più distruttiva mai realizzata dall’uomo.

Un esordio in ridente amicizia. All’inizio, erano amici. Durante i giorni d’oro di Berkeley, riferendosi a Oppie, Lawrence diceva il mio fisico teorico preferito. Tuttavia, le dure esigenze della guerra li hanno bruscamente separati, forzandone pensieri e azioni nell’ambito di due domini limitrofi, ma in aspro contrasto reciproco. Lawrence si batte sempre, in modo ossessivo, per conservare il suo potere al vertice della comunità scientifica americana. Gli altri scienziati – Oppenheimer al di sopra di tutti – guardano alla costruzione dell’impero atomico USA più come acquisizione di personale grandezza che non di perseguimento personale dell’interesse nazionale. Entrambi apolitici in gioventù, entrambi intrappolati nella politica del loro tempo e, nel corso degli eventi, consumati dalla forza di questi ultimi.

Un inferno dantesco collettivo. Imprigionati nel medesimo destino della corsa alla scoperta, insieme a loro, le grandi menti dell’era atomica: Enrico Fermi, con la gotica scommessa che l’atomica avrebbe innescato una reazione a catena nell’intera atmosfera del pianeta, riducendolo letteralmente in polveri; Isidor Rabi, con al braccio il perenne ombrello per proteggersi dalle impensabili piogge nella desertissima mesa di Los Alamos: Edward Teller, colto in flagrante nel pallore e nella ferita professionale di un calcolo critico in cui si è trascurata la velocità della luce. In L&O, l’autore non scrive di scienza astratta, ma di ambizioni, tensioni, segreti e contraddizioni di brillanti uomini orgogliosi. Un ritratto collettivo dell’uomo moderno sull’orlo di un cataclisma pensato, creato e indotto dal suo stesso intelletto. (Nuel Pharr Davis, Lawrence & Oppenheimer, Simon & Schuster, 1968)

Una nuova vittoria di E.O. Lawrence sulle colline del ciclotrone di Berkeley. Tornato alla scrivania di Washington, il generale Groves dedicò la propria attenzione al rifornimento di materie prime vitali per il Progetto Manhattan. La elettrocalamita di Berkeley, in particolare, lo preoccupava. Ammettendo che fosse possibile realizzare su scala industriale il singolare processo elettromagnetico inventato da Lawrence, dove trovare l’enorme quantità di rame necessaria per gli avvolgimenti e i circuiti elettrici ? Data la richiesta bellica di rame e la scarsità del metallo, sembrava un problema insolubile. Groves chiese al tenente colonnello Nichols un rapporto sulla situazione del rame. Credo che questo problema sia stato risolto, rispose con un ampio sorriso Nichols. Lawrence ha suggerito: se non c’è rame, perché non usiamo l’argento? L’argento è. dopo tutto, un eccellente conduttore di elettricità. Dove trovare tanto argento? All’Ufficio Federale del Tesoro, naturalmente. Così siamo andati al Tesoro. Al Tesoro, il colonnello Nichols venne ricevuto dal sottosegretario Daniel Bell. Una volta messo al corrente, costui non fece domande: erano abituati a trattare con i militari. Quanto argento occorre, colonnello? Nichols rispose con fermezza: In un primo tempo, 6mila tonnellate. Per un attimo, il volto di Bell perse l’espressione cordiale. Inarcò le sopracciglia e disse con voce fredda, soppesando ogni parola: Giovanotto, lei è padrone di pensare all’argento in termini di tonnellate, ma qui al Ministero del Tesoro, l’unità di misura è l’oncia (28 grammi, NdR). Nichols si sentì disorientato. Bell, da perfetto gentiluomo, rimase esterrefatto, ma era troppo ducato per darlo a vedere. Tuttavia, i due trovarono in breve una soluzione soddisfacente. L’avidità sfacciata e senza limiti di Lawrence aveva vinto ancora una volta. (Stephane Groueff, Manhattan Project: the untold story of the making of the atomic bomb, Cantam Books, 1967)

Il pensiero della nuova arma aveva folgorato Oppie. Oppenheimer pensava alla bomba atomica fin dal giorno in cui, per la prima volta, aveva sentito parlare della fissione dell’uranio e delle enormi quantità di energia che così si liberavano. A un congresso tenutosi a Washington nel 1939, il danese Niels Bohr aveva parlato dei lavori del chimico Otto Hahn, ma soprattutto delle conseguenze che ne erano state tratte dai fisici O.R. Frisch e Lise Meitner, e con questa comunicazione aveva destato tanta impressione che alcuni fisici non attesero neppure la fine della seduta, ma tornarono ai loro laboratori per ripetere gli esperimenti. Un telegramma, che riassumeva concisamente la relazione di Bohr, pervenne anche al Dipartimento di Fisica della Università di California-Berkeley. Il fisico tedesco Wolfgang Gentner, che era ospite del laboratorio di radiazioni di Berkeley, ricorda che Oppie, già nello stessa giornata, aveva tentato, tramite un calcolo approssimativo, di valutare la massa critica che poteva condurre ad una esplosione. Passarono però quasi due anni, prima che Oppenheimer venisse invitato a partecipare ai segreti lavori preliminari sul progetto uranio.

L’ammirazione di Compton per Oppie. Arthur Compton restò così colpito da quei lavori che Oppenheimer conduceva volontariamente e disinteressatamente, che all’inizio del 1942, quando gli sforzi americani si concentrarono in grande stile sulla intenzione di costruire una bomba atomica, lo invitò a una collaborazione fissa. Nel luglio 1942 – durante le vacanze universitarie – Oppenheimer assunse la direzione di un piccolo gruppo che, per alcune entusiasmanti settimane, discusse del miglior modello teorico di una bomba Ff (fast fission: fissione rapida). Ancora una volta, Compton si mostrò estremamente soddisfatto dei rapporti che oppenheimer gli presentava sui suoi lavori. L’ex direttore del gruppo teorico era stato un ottimo studioso ma non un grande organizzatore. Con
Oppenheimer
– ricorda Compton – si creò veramente qualcosa. E con una rapidità sorprendente.

Concentrare gli sforzi.
Nel corso di questi contatti con il progetto atomico, Oppenheimer giunge alla conclusione che gli sforzi fino ad allora compiuti dai vari paesi per risolvere il problema – sforzi ancora dispersi sull’intero gigantesco territorio degli USA, nonché in Inghilterra e in Canadà – dovevano essere concentrati in una sola località, al fine di evitare ricerche superflue e confusione. Egli pensava a un gruppo di laboratori situati nello stesso luogo, dove lavorassero insieme fisici teorici e fisici sperimentali, matematici ed esperti di armamenti, radiochimici e specialisti di metalli, esperti di esplosivi e specialisti di misurazioni di estrema precisione: tutti sotto una unica direzione. Questa idea di Oppenheimer seguì la sua via, e poiché egli non era il solo padre spirituale del nuovo superlaboratorio, ma aveva anche dimostrato di essere un eccellente capo di gruppi di lavoro, Compton lo propose come direttore di questi futuri centri di ricerca. Il generale Groves entrò per la prima volta in contatto con Oppenheimer nell’autunno del 1942. Per fare risparmiare tempo al direttore del Manhattan Project, sempre così occupato, fu deciso che Groves e i suoi due più stretti collaboratori militari, i colonnelli Nichols e Marshall, si sarebbero incontrati con lo scienziato in uno scompartimento di un treno di lusso. Il treno portava la denominazione: 20th CENTURY.

Conclusione. Quando ecco che, improvvisamente, a Oppie si presentò l’occasione di giungere a realizzare qualcosa di eccezionale per una via del tutto diversa. Gli fu affidato l’incarico di dirigere la costruzione della più potente arma di tutti i tempi: la bomba atomica.
(Robert Jungk, Brighter than a thousand suns. History of the Atomic Scientists, Pelican Books, 1956)

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