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La giustizia al tempo di Socrate e il sistema attuale – 1

La giustizia al tempo di Socrate e il sistema attuale – 1
Gennaio 18
14:42 2010

Socrate (Lisippo)Socrate e l’aggettivo socratico riferiti all’unico e originale modo di vivere e fare filosofia rimangono icone del sapere umano. La sua vicenda, così intessuta di vita spicciola e infaticabilmente discorsiva, è stata sempre guidata dalla ricerca del “che cos’è” di ogni cosa (Aristotele stesso lo considera lo scopritore del concetto) e soprattutto da una continua tensione etica, spinta fino al punto di accettare la morte per rispettare la legge. Anche per questo il ritratto di Socrate, anziché sbiadirsi col tempo, acquista contorni sempre più marcati e importanti. Ad accrescere ciò ha contribuito la spettacolare morte conseguente alla condanna per empietà e corruzione, secondo il racconto che ne fa Platone nell’Apologia e nella maggior parte degli altri trentacinque dialoghi. Qui vogliamo soltanto occuparci del processo e, prendendo spunto da esso, della giustizia al tempo di Socrate, con riferimenti a quella d’epoca romana e, infine, dei giorni nostri che, benché ora rimodellata sul sistema anglosassone, è figlia diretta di quella romana. Bisogna subito dire che, né in epoca romana e tanto meno oggi, Socrate sarebbe stato condannato a morte e la storia, forse, avrebbe preso altre strade. D’altra parte, anche la Storia con la maiuscola alle volte è governata da ‘piccoli’ uomini e certamente Socrate ci ha messo del suo nel ricercare la condanna a morte. Chiunque legga l’Apologia capisce facilmente che la sua arringa (ne aveva rifiutata una preparatagli dal logografo più famoso del tempo, Lisia), anziché essere un discorso difensivo, diventa un’accusa contro ogni potere costituito, che irride ai falsi sapienti in tutti i campi e fa sfoggio di sapienza, senza avere la presunzione di affermarsi come tale. Infine, sostenendo che il vero male non è la morte ma la malvagità dell’uomo, sembra quasi sfidare i giudici e, in un certo senso, richiedere lui stesso la pena di morte. Ciò nonostante, la condanna fu il frutto di un sistema giudiziario apparentemente democratico e ipergarantista ma, nella sostanza, solo pletorico, esposto al caso e all’arbitrio dei giudici popolari e delle masse. L’amministrazione della giustizia nell’epoca classica ateniese s’inserisce nel filone della democrazia a partecipazione diretta e si muove, per così dire, parallelamente. Se da una parte vi era l’Ecclesia, assemblea generale dei cittadini, che era valida con la partecipazione di 5.000 cittadini, ma poteva raggiungere in alcuni casi anche 30.000 presenze, che creava le leggi, dall’altra vi era l’Eliea, il tribunale costituito da migliaia di giudici, espressione di tutte le tribù. La riforma di Solone, all’inizio del secolo VI a.C., e successivamente quella di Clistene, verso la fine del VI secolo a.C., favorirono la partecipazione del popolo alla vita politica. La città non veniva più governata da pochi (oligarchia) in base ad una supremazia religiosa o etnica, ma da tutti quelli che si potevano rendere utili alla polis, secondo la loro attività e che, comunque, ne erano membri per nascita o acquisizione, anche se con alcuni limiti di censo ed età. Questo, com’è intuibile, comportò una vera e propria rivoluzione che si riverberò anche nell’amministrazione della giustizia.Con la riforma di Clistene la popolazione fu suddivisa in 10 tribù. Il tribunale (denominato appunto Eliea) era composto di 6.000 giudici sorteggiati in numero di 600 per ogni tribù, che duravano in carica per un anno ed erano divisi in dieci sezioni. A seconda della gravità delle cause il tribunale si riuniva con diverso numero di giudici che erano come minimo 201. (Continua)

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