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La libertà del pettirosso di Francesco Di Giulio – Lettere Animate editore. «(…) Guardate ad esempio come vivono i pettirossi. Loro sono nei loro nidi al sicuro, perché si sono creati il loro giaciglio con cura e determinazione. Eppure al primo forte rumore essi istintivamente non si sentono più al sicuro e fuggono via. E sapete cosa succede? Che ritorneranno non appena tutto si sarà nuovamente calmato.». Romanzo, storico, d’esordio per il giovane e sagace di Palombara Sabina. Soggetto discreto ed a tratti brillante, nel racconto, scorrevole e con un filo della tensione ben steso e vibra bene. Finale catartico sui generis con un fuoco purificatore. Soggetto di sapore classico, dosato, di gusto Manzoniano ora (evocativa la descrizione ambiente iniziale) ed echi gotici di Eco (il Nome della Rosa docet!). L’Autore si cimenta con la sua creatura artistica fatta vivere qui, nel pieno del XII Secolo, a fare una sorta di Dio che dunque, osserva e giudica (con esiti punitivi tragici e violenti come i peccati) l’animo umano, la società umana qui, divisa tra il dentro, concentrato, ed il fuori (una comparsa/spalla non molto partecipe se non ostile) di un monastero medievale radicato nel territorio della Sabina romana ai piedi del familiare e noto all’autore, Monte Gennaro del Gruppo Lucretili. Nella sua apparente semplicità, l’autore si interroga sul vero maligno che gravita attanagliandola, sull’esistenza terrena degli uomini, qui la vita segregata di una comunità monastica: i segreti più nefasti ed inconfessabili dell’animo umano. Le violente pulsioni incontrollabili umane, ipocritamente celate sotto una sacra veste religiosa. Un’umanità, uno spicchio di essa, in cui pochi si salvano veramente, che nelle intenzioni è dedita Sì formalmente, a salvare gli altri, la loro anima, e il sapere umano, ma che perde la bussola nel cammino, la propria. – (A. M. L. Aluisi)