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La politica: vecchia o nuova?

Settembre 27
08:34 2010

Durante l’ultimo spettacolo di Gheddafi a Roma il nostro Capo del Governo ha voluto bollare le conseguenti proteste, molte e qualificate anche dalla sua stessa alleanza, come provenienti da nostalgici della vecchia politica. Intendeva semplicemente che, in nome degli affari, si può rinunciare ai principi, alla dignità, e sottostare ai ricatti; ecco la nuova politica.

Certo siamo nipoti di Machiavelli e, a prescindere, non siamo del tutto ingenui, ma (e qui il latino è d’obbligo) est modus in rebus, ovvero, estensivamente, anche il compromesso può essere un’arte; perfino la spogliarellista conosce i tempi e modi di eliminare l’ultima copertura. Questa arrendevolezza è tanto più strana se proviene da un Grande Manager che, per giunta, è innamorato delle apparenze. Riguardo all’ospite libico basterebbe, forse, un medio studente di psicologia (si va al buio ma non crediamo di andare a sbattere) per indagare le carenze nascoste nell’infanzia di un personaggio che vuole tutto al femminile per, a seconda dei casi, servirsene, convertire o millantare. Una delle prime potenze mondiali (così dicono) potrebbe cortesemente ben dire all’ospite che qui, salvo eccezioni e note dolenti, le ragazze se fanno le hostess vuol dire che lavorano e basta. La vecchia politica di tempi meno rampanti avrebbe impiegato poco a trovare un percorso in grado di salvare la suscettibilità di una parte ed il rispetto dell’altra.

La condanna della signora Sakineh, purtroppo non un caso unico ma uno dei tanti, è un fatto tragico e preoccupante. Anche qui la diplomazia, non trattandosi di barili di petrolio o simili, arranca, limitandosi al compito ordinario, salvo rare eccezioni (ad esempio una ferma presa di posizione della Angelilli, se ricordo bene, nella assemblea europea). Non sappiamo come evolverà la situazione, ma certo un caso così eclatante e simbolico per il diritto umano richiederebbe un impegno e degli atteggiamenti molto più forti. Il Ministro degli Esteri ha, invece, avuto modo di dire, qualche tempo fa, che, anche nel caso di lapidazione, non verranno interrotti i rapporti diplomatici. Speriamo vivamente che sia una tattica, un po’ come quando si promette al sequestratore l’aereo per fuggire in attesa dell’intervento delle teste di cuoio. Altrimenti sarebbe un caso di cattivissima nuova politica e risulterebbe sempre più difficile scoprire la differenza tra la paura, la sottomissione e l’omertà del povero commerciante del sud taglieggiato dalle mafie e quella di uno Stato di diritto nei confronti di comportamenti criminali almeno altrettanto gravi. Insomma non ci si può trincerare dietro i benefici economici e la ragion di Stato perché, di fronte ai diritti fondamentali, la posizione del lavoratore negoziante di alimentari o del lavoratore ministro degli esteri dovrebbe essere identica; non possiamo aspettarci che l’esempio positivo venga solo dal basso, anzi.

Stupisce, infine, la sortita del sindaco Alemanno, peraltro non avvezzo a sensazionalismi, riguardo alla cancellazione del quartiere di Tor Bella Monaca per ricostruirlo ex novo. Sarebbe come dire: dove le cose non ci piacciono o non vanno bene, anziché agire per il miglioramento ed il recupero, facciamo un bel terremoto artificiale, spaziamo via tutto e ricostruiamo. Una specie di epurazione o selezione degli ambienti e dei quartieri e, con essa, degli abitanti, che sono il vissuto ed il vivente. A ciò vanno aggiunte considerazioni economiche, ovvero la spesa per fare tutto ciò, che diventano giocoforza considerazioni etiche. Anche quando si trattò della demolizione del “mostro” di Fuenti, pur non sfuggendo il valore simbolico dell’ammonimento, una certa coscienza avrebbe suggerito una acquisizione da destinare a bene pubblico; poteva costituire un monumento anche in questo caso (per dissuadere dall’operare altri scempi). Pure a L’Aquila il Governo è stato tempestivo ed efficiente, ma l’attenzione all’elemento umano e psicologico è difettata. Si poteva non largheggiare con le ricostruzioni in siti anonimi e riservare parte consistente delle risorse nella ricostruzione della città che ha, per gli abitanti, un valore affettivo ed effettivo ben maggiore di quello venale; lo sradicamento comporta danni psicologici che emergono a distanza di tempo, ed il sentimento della persona deve sempre essere rispettato (torna alla mente la vecchia canzone, forse di Claudio Villa, della casetta che geme sotto i colpi del piccone). Dunque il nuovo a tutti i costi non sempre è positivo.

La discussione sulla politica vecchia o nuova appare solo una questione di nome, una coperta tirata, per comodità, dove si vuole. La vera sfida è nella sostanza; modernità e rapidità sì, ma non miopia o, peggio, voluta cecità di comodo; non si può perdere di vista la nobiltà della funzione, la dirittura morale e, soprattutto, la tutela dei valori e dei diritti fondamentali dell’uomo, nessuno escluso, che vanno modulati secondo la loro importanza, così da non sacrificare la vita umana a vantaggio di affari, anche se miliardari. Non commercio, ma politica; e l’aggettivo non serve più.

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