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La sanità nazionale un colabrodo di spese

Luglio 03
15:06 2009

Sorriso
Intervenendo al IV Congresso nazionale promosso dalla Federazione italiana medicina geriatrica (FIMeG), il segretario dell’Associazione nazionale anziani e pensionati (Anap), Fabio Menicacci, ha analizzato lo stato del welfare nazionale, illustrando alcune delle soluzioni proposte da Anap. Il quadro generale di un sistema che spreca molte delle sue risorse è ben illustrato dai dati sulla diffusione del parto cesareo in Italia. «Nel 2004 i bambini nati nel nostro paese sono stati 562.599 – ha detto Menicacci, citando una ricerca prodotta dall’Ufficio studi di Confartigianato – il 37,8% è nato con il parto cesareo, laddove l’Organizzazione mondiale della Sanità raccomanda una percentuale del 15%. Il parto cesareo costa il 60,1% in più rispetto ad un parto naturale. Se riuscissimo ad avvicinarci almeno al dato del Friuli Venezia Giulia, dove solo il 23,1% dei bambini nasce con il cesareo, il sistema sanitario pubblico risparmierebbe 73,7 milioni di euro che potrebbero essere dirottati altrove». Molti dei paradossi della spesa sanitaria colpiscono le generazioni non più giovanissime (in Italia gli “over 65” sono il 19,5% della popolazione totale, per una spesa sanitaria pubblica pari al 44,2%). «Nel nostro paese un malato d’Alzheimer che chiede l’indennità di accompagno – ha proseguito il segretario di Anap – deve poi subire visite di verfica con scadenza annuale. Queste visite sono costose ed inutili, perché l’Alzheimer non è una malattia che possa regredire, dunque “rivedere” i malati è uno spreco di denaro pubblico».
Sono gli stessi “assistiti anziani” ad aver indicato, nella ricerca condotta dall’Osservatorio nazionale Anap Confartigianato sulla terza età, la direzione verso cui dirigere gli sforzi per rendere più efficiente il sistema. «Circa la metà degli anziani intervistati – ha sottolineato Menicacci – ritiene prioritario favorire l’assistenza domiciliare integrata. Un terzo chiede di incentivare case di riposo, case albergo e comunità alloggio, mentre un quinto si è dichiarato a favore della creazione e diffusione degli ospedali a domicilio. Quest’ultima è una necessità ormai urgente soprattutto nella regione Lazio che recentemente ha tagliato molti posti letto. Purtroppo però le residenze sanitarie assistite già esistenti, invece di essere luoghi di terapia, riabilitazione e reinserimento, stanno diventando sempre più dei “parcheggi” per la lunga degenza». Anche la distribuzione diretta dei farmaci, affermano le statistiche, permetterebbe un notevole risparmio di risorse. «Se le Aziende Sanitarie e ospedaliere avessero adottato il metodo previsto dalla legge ed applicato dalla Asl 1 di Imperia- ha commentato Menicacci – solo nel 2006 avremmo avuto un risparmio di ben 456 milioni di euro».
Anche la “burocrazia mangiasoldi” fa la sua parte: negli ultimi dieci anni il costo della macchina amministrativa locale è aumentato del 34,5% rispetto alla spesa effettiva per i servizi erogati da quegli stessi enti. «Nel nostro sistema assistenziale c’è qualcosa che non va – ha proseguito Menicacci – se l’Italia possiede il triplo delle apparecchiature diagnostiche che ci sono in Francia, il doppio di quelle in Germania e Spagna e poi, paradossalmente, le lunghe liste d’attesa per una Tac costringono 4 anziani su 10 a rivolgersi a strutture private!».
La via da percorrere è stata già in qualche modo indicata dal Procuratore Generale presso la Corte dei Conti diffusa nel 2007, dal cui intervento può essere ricavato un vero e proprio Vademecum: «Strutture sanitarie incompiute oppure completate, ma mai entrate in funzione; attrezzature, spesso di alta e sofisticata tecnologia, rimaste inutilizzate; farmaci sospettati di essere assolutamente inutili e tuttavia posti in commercio, prestazioni diagnostiche inutili ma particolarmente costose, ecc. A tutto questo – ha concluso Menicacci – si aggiunge la disfunzione di un paese in cui il 30% dei pensionati di vecchiaia ha meno di 65 anni. Per riequilibrare il sistema dovremmo coscientemente ragionare sull’età di accesso alla pensione tenendo presente i lavori realmente usuranti sia nel settore privato che in quello autonomo».

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