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La vergogna del sangue

Giugno 26
23:00 2007

È incredibile come il passato ricomponga la sua trama sulle macerie del presente, rivestito di disattenzioni e disamore per la verità. La televisione ed i quotidiani ci mostrano cortei a favore della liberazione della Lioce, dei brigatisti in carcere, di quanti sono sottoposti al 41 bis, al carcere duro. La città dell’Aquila è attraversata dai vecchi e usuranti slogan, Bologna è rapinata della propria dignità, nelle scritte sul muro dell’abitazione del Prof. Biagi, ulteriore umiliazione a un morto che non può più difendersi. Ma di quali simpatie pseudo brigatiste si tratta: quelle di oggi, quelle che imperversavano nelle piazze ieri? Di quali uomini in armi e incappucciati in piazza dobbiamo avere timore, se questo velleitarismo è ormai sconosciuto persino ai più vecchi e incalliti degli utopisti o rivoluzionari che dir si voglia. In queste camminate autocelebrative per la città, in queste scritte ordinatamente scomposte, qualcuno può pensare che ci sia una reinterpretazione a misura del nostro tempo? Mentre osservavo i volti dei contestatari, la mia esperienza spingeva la mente a misurare l’ingiustizia della spersonalizzazione, della eccessiva durezza dell’isolamento in un carcere, misure di contenimento legittime, ma che sospingono le persone a suicidarsi nella più colpevole indifferenza. Una riflessione, un dissenso, non possono però essere ghermiti come clava, per favorire speculazioni ideologiche elaborate in troppi sepolcri imbiancati. Gli anni di piombo sono trascorsi, trapassati, non esiste il pericolo di contaminazione popolare, perché un’intera generazione è stata annientata, e quei ragazzi in corteo, gli altri che hanno imbrattato la memoria di un morto, non possono pensare di plagiare le coscienze attraverso vecchie e nuove istanze di terrore e sofferenza. Un grande scrittore contemporaneo ha decodificato questa irresponsabilità come “la vergogna del sangue”. Dal canto mio, mi permetto di affermare che la memoria è nostra compagna di viaggio, mentre ci accorgiamo che non c’è una sola classe di studenti, una catena di montaggio di operai, un nucleo famigliare, un solo Dio eretto a delirio di potenza, ad affiancare questa disturbante rappresentazione. Lo sparuto gruppo all’Aquila, gli altri con lo spray a Bologna, quanti con l’arroganza della violenza fuggono dalla vita propria e – peggio, altrui – rischiano di rimanere al palo ad aspettare un tram che difficilmente si fermerà a raccogliere i ritardatari. Quanti nel frattempo saranno diventati replicanti di se stessi, ma che nessuno vorrà rivedere.

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