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Luigi Pirandello – 8 – Enrico IV

Luigi Pirandello – 8 – Enrico IV
Ottobre 01
02:00 2007

“Confidarsi con qualcuno, questo sì è veramente da pazzi”La tragedia Enrico IV, composta da Pirandello in sole due settimane, fu rappresentata nel 1922 al Teatro Manzoni di Milano, ove ebbe un grande successo. Successivamente venne tradotta e rappresentata in tutti i paesi, considerata il capolavoro del teatro pirandelliano: il vero prototipo della tragedia moderna.
Un ricco patrizio romano, durante una festa mascherata, in cui decide di travestirsi da Enrico IV, imperatore tedesco che era sempre in contrasto e in lotta con il papa Gregorio VII per il problema delle investiture, cade da cavallo, imbizzarritosi all’improvviso. La caduta in realtà non è fortuita, ma causata appositamente dall’amante della moglie, il barone Tito Belcredi. Enrico IV batte il capo a terra e rimane colpito in modo grave, tanto da perdere la memoria e restare per ben dodici anni con l’idea fissa di essere veramente l’imperatore Enrico IV. E’ circondato da cortigiani, consiglieri e servi e vive in un castello umbro trasformato come la reggia di Goslar, residenza del re. Spesso la moglie e l’amante lo vanno a trovare, sotto le spoglie dei personaggi dell’epoca, adattandosi a dialoghi e situazioni molto strane. Alcune volte portano con loro un medico che dai discorsi del malato, cerca di individuare il tipo della malattia.
Dopo tanti anni, un mattino si risveglia in lui la ragione e prova immediatamente un senso di felicità per essersi rinsavito, ma ben presto si accorge che il mondo intorno a lui è cambiato, mentre egli è rimasto fermo al tempo di quella drammatica caccia mascherata. Ha paura di tornare in quel mondo corrotto pieno di menzogne, di problemi, di inganni, non suo, perché si sentirebbe un intruso, dovrebbe accontentarsi di ciò che gli atri hanno lasciato di quel cammino della vita, mentre egli era rimasto prigioniero della sua follia, fuori dalla realtà. Tutti continuerebbero certamente a chiamarlo il folle, Enrico IV per tutta la vita.
Fatte queste riflessioni, giunge alla conclusione di continuare questa sua recita e di rifugiarsi nella sua “pazzia”. La sua lucida follia ora lo strazia e lo tormenta di più, ma allo stesso tempo gli è cara perché non può farne a meno.
La scena della tragedia pirandelliana si apre con una vivace discussione fra i cortigiani dell’imperatore, ne è arrivato a corte uno nuovo di nome Bertoldo. Gli altri, Ordulfo, Arialdo e Landolfo, lo istruiscono sul come comportarsi e sulla posizione storica di Enrico IV di Germania, essendosi questo preparato sulla vita dell’Enrico di Francia.
Alla porta del castello giungono: il marchese Carlo di Nolli, suo nipote, promettendo alla madre, sorella del folle, che tenterà ogni mezzo per aiutare lo zio a guarire; il barone Tito Belcredi, che provocò la caduta da cavallo; un medico psicanalista, Dionisio Genoni; la marchesa Matilde Spina, ora vedova e divenuta l’amante di Belcredi, dopo la follia di Enrico IV che ne era stato innamorato; Frida, figlia di costei e fidanzata del marchese di Nolli.
Entrando, guardano con meraviglia come il quadro della marchesa, raffigurata nell’abito di Matilde di Canossa, ad una parete della sala del trono, sia perfettamente somigliante alla figlia di Frida.
I due amanti e lo psicanalista chiedono di essere accolti dal re e per rendersi meglio presentabili si travestono rispettivamente da Matilde di Canossa, un monaco e il monsignor Ugo di Cluny.
L’atteggiamento di Enrico IV, a cui è stata annunziata la visita di quei signori, è ossequioso, ma non così verso Belcredi, ritenuto da lui il nemico Pier Damiani. Chiaramente il folle ha riconosciuto il suo vecchio rivale ed a lui con continue allusioni racconta come la sua vita sia stata infelice a causa della lotta che gli fanno il pontefice e gli ecclesiastici, fa un discorso tipicamente pirandelliano, cioè fra verità e finzione.
Dal discorso di Enrico IV, la marchesa ha la netta sensazione che egli li abbia riconosciuti tutti. Termina il primo atto.

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