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Noterelle a margine di una vacanza africana

Noterelle a margine di una vacanza africana
Settembre 11
13:58 2010

MalindiMalindi è una piccola cittadina, pigramente adagiata sulla spiaggia antistante la barriera corallina che difende le coste del Kenya dalle furiose mareggiate alimentate dal monsone indiano, cento trenta kilometri a nord di Mombasa.

Gli occidentali fecero la loro prima apparizione nel piccolo porticciolo, buono di fondale solo per le leggere barche a vela latina dei locali pescatori, un giorno del 1498, quando si affacciarono con le loro panciute caravelle mentre costeggiavano l’Africa orientale alla ricerca della nuova rotta per le indie. A comandare l’avventurosa spedizione era il mitico Vasco de Gama che scese a terra, contattò le locali autorità, costruì una cappelletta per seppellire alcuni suoi uomini deceduti nel viaggio, fece rifornimento e levò il disturbo facendo vela verso Est, in direzione dei ricchi mercati Indiani.

Ma a breve arrivarono al suo seguito altri portoghesi ben più agguerriti, ed ebbe inizio l’epopea della colonizzazione di quel cantone di mondo, portata a termine dopo parecchi anni dalle ordinate truppe di Sua Maestà britannica.

A Malindi, durante il secolo scorso, venivano a pesca i ricchi occidentali, attirati dai grandi marlin e dai barracuda che popolano quelle acque. E ancora si narrano le gesta di un giovane Hemingway che, non sazio di trofei animali raccolti nella retrostante immensa savana di Tzavo, veniva a concludere le sue avventurose scorribande qui, sul mare di Malindi, pescando e bevendo, bevendo e pescando.

Ma la vera dominazione culturale Malindi non l’ha subita tanto dagli Inglesi, che pure governarono il Kenya per un centinaio di anni: a Malindi toccò la curiosa sorte di ospitare la più vasta colonia di Italiani in terra d’Africa, germinata dalla presenza in loco della base aerospaziale italiana San Marco, ex fiore all’occhiello della nostra scienza italica degli anni settanta (la base è ormai quasi in disuso, superata tecnologicamente da ben altri sistemi con ben altre capacità, triste metafora del nostro declino).

A Malindi passo da parecchi decenni le mie migliori vacanze, ammaliato dalla dolcezza della vita, in un magico miscuglio di mollezze arabe, raffinatezze indiane e fatalismi africani, mitigati solo in parte dall’efficientismo britannico. Miscuglio a cui si è aggiunto da un trentennio il tocco inevitabile del modo tutto italiano di farsi conoscere.

A Malindi c’è un detto che recita più o meno così: “due Inglesi che si trovano qui per prima cosa si fanno un club, due italiani per prima cosa si fanno causa”.

Mohamed è un corpulento e bonario abitante di Malindi, Kenia, che da sempre gestisce una piccola attività di trasporto clienti da e per l’Aeroporto di Mombasa. Fu uno dei primi ‘locali’ che ebbi modo di conoscere e con cui nacque un rapporto di amicizia durante le lunghe ore di auto passate sulla Mombasa-Malindi dove, tra un sorpasso pericoloso e una voragine sulla strada, si chiacchiera molto e si cerca di capirsi. Durante uno di questi trasferimenti, quasi diciotto anni or sono, gli chiesi che differenza c’era secondo lui tra gli Inglesi, ancora presenti in Kenia, e la fitta e colorita comunità di Italiani che da decenni ha colonizzato Malindi. La sua risposta fu: “You see, Mr. Garani (la doppia erre del mio cognome non sono mai riuscito a farla pronunciare laggiù)…. gli Inglesi sono molto spocchiosi e pieni di boria, ci tengono distanti, non ci danno mai la mano, e ci trattano sempre come se fossero ancora loro i padroni… Con gli Italiani è molto diverso, sono simpatici, ci trattano alla pari, spesso ci danno pacche sulle spalle, scherzano molto e non si sentono dei padroni, ma degli amici. E poi danno ottime mance, perché gli piace dimostrare che hanno tanti soldi. Però… però se un Inglese mi chiede di andarlo a prendere sotto casa alle sette e trenta per portarlo all’aeroporto, io sono certo che alle sette e ventinove lo trovo pronto sul portone. Un Italiano, può essere che non lo trovo mai più! E per il mio lavoro questo è un disastro”. Ecco, mi pare una buona sintesi, Mohamed!

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