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Nuovomondo, di Emanuele Crialese

Nuovomondo, di Emanuele Crialese
Novembre 01
02:00 2006

Un lungo lavoro di ricerca sui documenti originali e su di un’estetica neo-realista che sia capace di essere attuale per non confondere nella noia la forza di una storia. Questi i motivi della riuscita di un film splendido come Nuovomondo (The Golden Door) del giovane regista romano Emanuele Crialese.
Sulle Madonie del dopo-guerra (ma che potrebbero essere quelle di mille anni prima) una famiglia di poveri Cristi decide con la benedizione del caso e del divino di lasciare la miseria per raggiungere un congiunto già da tempo emigrato in America. Il Nuovomondo è per loro (che sono Fuori dal mondo) terra ricca di reti sociali (si vien riconosciuti per somatismo, magari accolti come re) e terra ricca di per sé, con galline alte un uomo e carote come canoe. Barattate le ben più prosaiche e misere bestie sicule per un passaggio navale, già il primo impatto con la città portuale segna bene il sociologico passaggio dalla Comunità dei legami e della località, alla Società del caos e dei contratti: il viaggio di per sé poi sembra quello di Giona caduto preda del Moloch di Metropolis. Disagio, claustrofobia ed a tratti cupa disperazione accomunano genti di tutto il povero sud in una traversata priva di aria e di Respiro verso Lamerica attraverso un mare che sospende il tempo e lo spazio nella nebbia, chiamata come la notte e come le tende a nascondere traffici e intimità sociali e fisiche.
L’oceano per sua natura impossibilita i contatti umani e la percezione delle differenze, quindi i nostri migranti giungono nella nuova nazione in una condizione di verginità alla nuova cultura che inizieranno a scoprire da cose di apparente poco conto come il pane bianco e le docce. La rigorosa organizzazione che li accoglie prevede anche che vengano sempre capiti e tradotti nella loro lingua, quindi New York non sembra più ostile del porto da cui son partiti: per questo, sconcerto ed incredulità hanno facile gioco nella testa di chi è meno elastico e meno curioso agli adattamenti. ‘Viaggiano i viandanti, viaggiano i perdenti, più adatti ai mutamenti’ cantava Lindo Ferretti qualche anno fa, ma se il grigio funzionario che ti si pone innanzi ti giudica come Nostro Signore solo sulla base di come ammucchi dei pezzi di legno o sul fatto che sei (sembri) sordomuto, allora dopo lo sconcerto segue il rifiuto e la Golden Door che ti darebbe accesso a quel mondo fatto di grattacieli e bagni nel latte ti si chiude davanti per rispedirti indietro per sempre.
Bello, amaro e surreale questo film che onora il cinema italiano proponendo agli Oscar una riflessione dura ed elegante sull’emigrazione italiana (ma non solo) negli USA, citando stili ed immagini dei nostri grandi autori: uno su tutti che segnalo con piacere è il ragazzo sordomuto che nella corsa, nei gesti e nelle fattezze ricorda così tanto il pasoliniano Ninetto Davoli recentemente premiato in una grande prima Festa del Cinema di Roma.

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