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Orion (Ipotesi per un dramma moderno)

Ottobre 27
15:21 2010

PERSONE DEL DRAMMA

– ORION anni 35
– NICOMEDE detto NICO’ anni 55
– IL GARZONE DEL BAR
– UN COLLEGA
– L’UOMO DEL FONOGRAFO
– IL VIOLINISTA AMBULANTE
* * * *

Tutti i personaggi vestono abiti moderni.
All’infuori di Orion (per il quale si rimanda alle indicazioni nel testo), tutti porteranno sulla fronte una mezza maschera nera dal naso un po’ adunco, simile a quelle in uso nelle rappresen-tazioni della Commedia dell’Arte. L’unico a non portare alcuna maschera sarà l’Uomo del Fonografo.
Il Violinista Ambulante suonerà di preferenza musiche di Vivaldi. All’uopo sono particolar-mente indicati l’Adagio del concerto op. 4 n. 12 ovvero l’Adagio del concerto op. 8 n. 4.

Ai nostri giorni.

Al levarsi del sipario la scena è già illuminata.
Luogo dell’azione è un ufficio, con tutto l’arredamento tipico. Sul fondo, un ampio finestrone rettangolare diviso in tre semi-finestre occuperà tutta la larghezza del palcoscenico.
Due scrivanie ingombre di pratiche sono perpendicolari al finestrone, ma leggermente convergenti l’una verso l’altra. Qualora sia tecnicamente possibile, le due scrivanie dovrebbero essere poste ad un livello rialzato rispetto alla restante porzione di palcoscenico, dalla quale sarebbe quindi possibile accedere al livello superiore mediante un paio di gradini sia dalla parte di Orion che da quella di Nicomede.
Durante l’azione, se non altrimenti specificato, i due protagonisti non si rivolgeranno mai lo sguardo: Orion guarderà sempre fuori attraverso la finestra senza compiere gesti di particolare rilievo; Nicomede dialogherà senza interrompere il proprio lavoro (disbrigo di pratiche, ecc.) e senza distoglierne la vista.
Orion occuperà la scrivania di sinistra, Nicomede quella di destra, dalla parte della comune.
4
SCENA PRIMA

Entra Nicomede. Nell’aprire e chiudere, la porta fa filtrare i rumori già noti. Nicomede ha la maschera sulla fronte. Si muove nervosamente: tenta di rassettare la caotica scrivania, seleziona le pratiche, ecc., infine si siede.

ORION: (E’ accostato alla finestra ed ha la maschera sul viso. Si è accorto dell’entrata di Nicomede ma indugia ancora un poco. Poi si porta la maschera sulla fronte ed esordisce all’improvviso, con tono assorto) Sono stato in città, ieri.
NICOMEDE: (Rimprovera scherzosamente) Ah, bravo, se me lo avessi detto prima sarei venuto con te! Ne avrei approfittato per sistemare certe faccende: sai, i soliti certificati, le bollette da pagare. E poi, è da un pezzo che mia moglie mi dice (fa la parodia) “Ricordati, se vai in città passa ai grandi magazzini, perché lì i detersivi costano meno”, quindi….
ORION: (Interrompe, un po’ seccato) Non è stato un viaggio di piacere, praticamente sono andato e tornato. (Placato) Ho dovuto farlo. Ormai credevo di poterne fare a meno, invece all’improvviso ho sentito il bisogno di rivedere le strade affollate, i palazzi di dieci piani…..
NICOMEDE: Ricordi? Te lo dissi già due anni fa, quando venisti ad abitare nel palazzo qui accanto: questo posto non è per te, tu sei “malato” di città, non puoi separartene.
ORION: Hai ragione. Ed il richiamo è sempre forte. Anche stavolta non ho saputo resistergli.
NICOMEDE: Non riesco a capire perché ti ostini a tormentarti in questo modo. Oltretutto qui siamo vicini al mare: guarda, oggi è meraviglioso. Ma se proprio vuoi torna laggiù, allora. In fondo hai ancora la tua casa, le tue conoscenze…..
ORION: (Interrompe, ma senza scortesia. Accenna a guardare fuori, poi ha un rapido sorriso) No, non ho più nulla. La casa l’ho venduta, gli amici sono stati risucchiati da un gorgo invisibile.

NICOMEDE: Scusa, sai, ma io non ne sapevo niente! Dunque hai rotto tutti i ponti, tutto finito…..
ORION: (Assorto, parla quasi fra sé) Tutto si sta disfacendo, Nicò, anche se il traffico è sempre più congestionato; la vita declina e affonda fra gente sempre più indaffarata, mobile. Ecco, questo è il punto: tutto deve essere consumato sempre più in fretta, senza soste. Anni pochi anni fa, con una sola delle nostre giornate c’era di che riempire per un mese la vita di un uomo. (Pausa) Tutta la città, poi, è un cantiere di case, a migliaia; gru e bulldozer la fanno da padroni. (Sorride, un po’ amaro) In fondo, non si capisce nemmeno se quei palazzi sono in costruzione o in demolizione….
NICOMEDE: Ehi, calma, altro che apocalisse! Per me tu hai le visioni! Il mondo va avanti e il progresso ci facilita la vita. Pensa: ho sentito alla radio che da domani per andare nella capitale basterà mezzora di treno. Mezzora, capisci? Mio padre ai suoi tempi ci perdeva mezza giornata; allora sì che, come dici tu, gli ci voleva un mese per fare tutto il resto. (Pausa, riflette un poco) Ma… non è che, invece, sei un pochino fissato? Non è la prima volta che ti sento fare di questi discorsi strani. Ma forse sei soltanto troppo stanco.
ORION: (Di nuovo assorto) Stanco? Può darsi, però tutto ciò mi fa orrore e non riesco a liberarmene. Dicono che permanendo ad una grande altezza dal suolo ad un certo punto si provi l’attrazione, il desiderio di gettarsi nel vuoto. Quel vuoto da cui ho tentato di fuggire due anni fa.
NICOMEDE: (Perplesso) Confesso che a volte mi spaventi. Ma cosa vorresti che facesse, la gente, smettere di lavorare, di muoversi, solo perché ciò ti provoca personalissime inquietudini? Così facendo, allora sì che il mondo si annienterebbe veramente!
ORION: (Dolente) Non dico questo. Dico che dietro quel grande affannarsi di politici, scienziati, gente comune, c’è il vuoto. E’ come aver

tolto la catena di trasmissione ad una bicicletta: puoi pedalare, sudare, bruciare energie enormi, ma resti sempre lì, senza muoverti
di un solo millimetro. Comunque non riesco a capire il senso di tutto questo, forse qualcosa mi sfugge.
NICOMEDE: (Paterno, vagamente canzonatorio) Direi che troppe cose ti sfuggono, visto che andiamo avanti da secoli proprio nel modo che tu detesti!
(Ammiccante) Sta a noi crearci l’isola, il comodo abitacolo. E’ questione d’abitudine!
ORION: Il punto è proprio questo l’abitudine. All’inizio la si indossa con piacere, è una lieve tunica di mussola, poi finisce col diventare un cappotto di piombo, inamovibile. Diventi cieco e sordo, come chi esegue meccanicamente un qualcosa che è stato tramandato di bocca in bocca nel corso di tanti, troppi anni, e del quale ormai si è perso il senso, lo scopo originario. Si sa solo che ciò deve essere fatto e basta.
NICOMEDE: (Sorpreso, quasi stizzito) E nonostante tutto questo tu provi nostalgia?
ORION: Mio malgrado, sì.
IL GARZONE: (Bussa ed entra senza attendere risposta. In mano ha un vassoio con molti bicchieri, alcuni pieni altri vuoti)
ORION: Ci sono nato: l’aria inspirata col primo vagito doveva avere il sapore dell’ossido di carbonio, acre. (Con un sorriso mesto) O forse sono come una fiera nata in cattività, che sente un incomprensibile richiamo verso qualcosa di ignoto e lontano.
IL GARZONE: (Pone un bicchiere fumante dinanzi a Nicomede, che gli è più vicino entrando, poi ne pone uno identico dinanzi ad Orion, che continua
a guardare fuori. Eseguito il servizio il ragazzo esce, rispondendo con un cenno del capo al gesto di saluto rivoltogli da Nicomede)
NICOMEDE: (Diffidente ma curioso)
E tu come hai fatto a rendertene conto?
ORION: (Sereno e discorsivo, ignora il bicchiere che ha dinanzi)
Così, all’improvviso. Ti svegli una mattina e ti scopri sulla pelle delle macchioline rosse che fino a ieri sera non avevi; passi per

caso davanti ad uno specchio, ti guardi e ti accorgi di avere più capelli bianchi di quanti immaginassi. Così esci di casa e ti ritrovi straniero, in un paese sconosciuto e ostile; puoi anche guardare tua moglie, i tuoi figli, un, amico, e sorprenderti a guardarli come se fosse la prima volta…..
NICOMEDE: (Perplesso) Beh, non nego che qualche volta il comportamento degli altri ci possa deludere, rivelarsi al di sotto delle nostre aspettative. Se poi si tratta di nostri familiari è ancor più doloroso.
ORION: (Con foga) Ma non capisci? Persone con cui hai vissuto, sofferto e gioito anni ed anni; persone che sono carne tua, parte di te, con le quali hai diviso tutto. Ebbene eccola, la domanda blasfema: chi sono costoro? Perché non riesci a ricordare di averci vissuto accanto? E poi, perché ciò accade proprio a te, mentre l’altra gente non appare nemmeno minimamente scalfita da un dubbio o da un rimorso? (Pausa, poi placato) Non è niente, sai? E’ un momento. Poi ti riprendi, ti scusi, magari dici che hai scherzato. Ogni mattina continuerai ad alzarti per fare le stesse cose di ieri, di vent’anni fa, ma qualcosa, dentro, si è spezzato per sempre. Puoi fermarti o andare avanti, non ha importanza, ma un microscopico filino elettrico s’è rotto e tu non potrai mai più essere lo stesso di prima. Ciò che verrà dopo, è solo questione d’abitudine.
NICOMEDE: (Mentre Orion parlava ha consumato la colazione e ha ripreso il lavoro) Bravo; lo vedi? Vieni al mio discorso: (con sufficienza) è questione d’abitudine! Per esempio, a quest’ora un bel cappuccino caldo è la migliore abitudine che uno possa concedersi!
ORION: (Umano, rimembrante; segue il filo dei propri ragionamenti e sembra non dar peso al fatto che Nicomede non lo capisce) E’ vero. Quando si recupera la vista dopo una lunga cecità ci si abitua presto a distinguere la notte dal giorno. E poi, Nicò, ci sono certe mattine d’inverno grigie e piovigginose, ingorgate di traffico, eppure silenziose, no… (cerca il termine più adatto) …attutite, ecco, ovattate. Sembra quasi che quell’acqua restituisca a uomini e cose una perduta dignità virginale, e addirittura se provi ad annusare

l’aria a volte riesci a sentire l’odore buono del fuoco di legna: (emozionato) Nicò, ti trovi nel punto più congestionato della città e
senti che in quell’attimo l’ignoto s’è scrollato la polvere dal mantello!
NICOMEDE: (Scettico ma con una punta di rimpianto) Legna! Ma dove la trovi più la legna, oggi! E’ una tua impressione…Oppure può darsi che sia stato qualcuno che fumava: sai, di quelle sigarette dozzinali, forti. (Si entusiasma, ammiccante) Ricordi quell’usciere della sede centrale? Beh, fu lui una volta a portarne diverse stecche, così tutti quanti si……..
ORION: (Interrompe) Ma quali sigarette! (Con delusa dolcezza, quasi fra sé) Nemmeno tu, Nicò? (Pausa, poi riprende il tono assorto). Forse è così: ciascuno di noi vive in un acquario contiguo ad un altro, in successione. Possiamo vederci ma non toccarci, anche se solo un sottile vetro ci divide; possiamo parlarci soltanto a gesti senza poter ascoltare e, quel ch’è peggio, senza capire.
NICOMEDE: (Come dispiaciuto) Come, “senza capire”, io per esempio ti capisco perfettamente! (Più confidenziale) E poi, per risponderti più precisamente, ti dirò che ieri sull’autobus ho incontrato due sordomuti: dovevi vedere con quale velocità comunicavano! Sembrava che ricamassero, quelle dita! (Inizia a squillare il telefono) Ora, non dico che uno….. (Si interrompe e risponde a bassa voce alla telefonata).
ORION: (Non ha fatto caso al telefono. Sorride dolcemente) Sì, Nicò, senza capire. Un abisso ci divide tutti e i ponti sono fragili e incerti, quando ci sono. Sai, mi piace leggere le scritte sui muri: sono alcuni di quei ponti insicuri che tentiamo di gettare fra noi e gli altri. Sono ponti di liane, battuti dal vento e dalla pioggia. Cosa fa fiorire le parole su quei pascoli di pietra: solitudine? Rabbia? O che altro? La nostra natura di pesci d’acquario ogni volta ci strangola.
NICOMEDE: (Ha terminato la telefonata da poco. Interrompe entusiasta)
E’ vero, ne ho viste diverse anch’io. Veramente non ne ho mai capita l’utilità e oltretutto, ora che ci penso, mi sembrano perfino

tutte scritte dalla stessa mano. Sì, sì, come quella frase che si legge lungo tutte le autostrade…aspetta….ah, sì, ” Dio c’è”…..
IL COLLEGA: (Entra ignorando Orion e mostra una pratica a Nicomede)
NICOMEDE: (Si infervora) Lì per lì mi sono sempre chiesto chi ne fosse l’autore e perché, però poi sono stato distolto da qualcos’altro. Ora invece vorrei proprio capire…. (Il Collega insiste e Nicomede è costretto ad ascoltarlo. Iniziano a parlottare sommessamente).
ORION: (Non ha notato il Collega. Amabile) Vedi, sono tentativi incerti ma anche frettolosi. Nell’ansia di cercare un contatto o una risonanza si brucia freneticamente lo spazio e il tempo, così succede che quelle parole, prive della realtà che le ha generate, continuano a galleggiare inutilmente accanto a noi. Ma anche la più umile di esse resterà a testimoniare la malinconia di ciò che avrebbe potuto essere se non ci fosse stato il vetro, se ci fosse stato un martello capace di infrangere finalmente quel maledetto acquario…..
NICOMEDE: (Saluta il Collega che esce e risponde ad Orion. Serio) Scusami, ho avuto un attimo di distrazione. Parlavi di oroscopo? Ho sentito che dicevi dell’Acquario……
ORION: (Dolce) Non ha importanza (Più mesto) Non più.
NICOMEDE: (Dispiaciuto) Ma allora……
ORION: (Dolce) Nulla, non curartene. Assolutamente. Nulla.
NICOMEDE: (Rassicurato) Oh, è stato un attimo, sai! Solo l’ultima frase. (Pausa, poi dubbioso e preoccupato) Non penserai che io……
ORION: No, no. E’ la vita che facciamo: tu, io…..
NICOMEDE: (Comprensivo) Hai ragione! Lo dico sempre a mia moglie: non pensare sempre ai conti da pagare o ai bambini che non studiano! Evadi, liberati ogni tanto, che so: una rivista illustrata, un lavoretto manuale. Ieri per esempio, siamo stati al cinema, dopo tanto tempo. Quante risate! Siamo usciti, ed ancora ridevamo! Poi, vedendo che era ancora presto ha avuto un’idea formidabile: facciamo due passi, tanto per sgranchirci un po’ le gambe, e ci prendiamo un bel gelato! Ah, come lo fanno al bar “da Luigi”! (Pausa) Per farla breve, quando siamo tornati a casa abbiamo preparato una bella cenetta, in

tempo per vedere alla tivvù l’ultima puntata di “Cuore di mamma”, sai quello sceneggiato che ha commosso tutti. (Rimugina soddisfatto) Eh, sì! Abbiamo passato veramente una bella giornata!
ORION: (Assorto) Anch’io una volta ridevo, prima che cominciassi a fuggire per le strade della città rasentando i muri, teso ad evitare contatti. E’ come aggirarsi per ore in un labirinto di gallerie popolate di statue. Belle, perfette, grandi o piccole, quasi vive, ma in realtà rapprese in una posa immutabile, come in un calco pompeiano.
NICOMEDE: (Quasi divertito) Ma sai che sei proprio sorprendente? Ci sono dei momenti che quasi quasi riesci a disorientarmi con quello che dici! Ma dove le troverai certe immagini! Beato te, che non hai…..
ORION: (Con un lieve sorriso interrompe continuando)….. altro da pensare! Già conosco questo ritornello che gira tra i colleghi.
(Un po’ accorato) Ma tu, lo pensi veramente?
NICOMEDE: (Imbarazzato) Beh.. no.. Sai, a volte si dice.. così, in genere..
ORION: No, non devi giustificarti. Forse in parte hai ragione. Il fatto è che non riesco più a liberarmi da questa matassa inestricabile di sensazioni, di pensieri. Che io voglia o non voglia continuare ad occuparmene è ormai un problema del tutto secondario. Ormai so solo che devo comunque uscirne, perché sono stanchissimo. (All’improvviso, mutando registro) Sai, tra poco ci sarà un’eclisse di sole: gli antichi dicevano che poteva rubare le ombre alle persone e quindi le loro anime…. (Pausa) Basta, ho bisogno di purificarmi di tutte queste scorie. (Di nuovo assorto) Per questo non mi resta che aspettare. Un’improvvisa accensione, uno squarcio o anche soltanto una piccola incrinatura. (Flebile) Una speranza….
NICOMEDE: (Perplesso) Confesso che a volte mi metti paura. Come fai a sentire
queste cose? A me, sinceramente, non è mai successo. E dire che di problemi ne ho tanti, da non dormirci la notte.
ORION: Già, la notte. (Scuotendosi, più discorsivo) Però la notte, nonostante tutto, dormi ugualmente?

NICOMEDE: (Rimuginando) S…sì. Molte volte, la sera, mi attardo a far conti, progetti, con la mente confusa da mille patemi, ma poi ……..(esita)
ORION: Poi?
NICOMEDE: (Dolce, come se vedesse ciò che rievoca) Poi vado a dare la buona-notte a mia moglie e ai miei figli e vedo che stanno già dormendo. La loro giornata è stata faticosa quanto la mia eppure il loro sonno è disteso, sereno. A volte ho visto perfino la bocca di mia moglie piegata in un indecifrabile sorriso: chissà, forse nel sonno riesce a trovare quella tranquillità che non riesco a darle di giorno. Allora capisco che in quel momento non ci sono più conti da pagare ne malattie da curare, c’è solo una creatura che ha trovato finalmente riposo, un momentaneo ma benefico riposo. Così vado anch’io a dormire, accanto a lei, e la tengo stretta nel tentativo di averla vicina anche nel sogno. Finché posso (pausa, con leggero affanno) finche c’è tempo per farlo.
ORION: (Assorto) No, io la sera non riesco a stare in casa, forse perché non ho legami. (Pausa, poi rimembrante) Sai, una volta ho fatto un incontro strano: è una cosa che finora non ho mai raccontato a nessuno; (con tono vagamente scherzoso) è uno di quegli eventi che facilmente possono crearti la fama di visionario. (Di nuovo dolce, con una vena di nostalgia) Un giorno mi ritrovai a passare per un piccolo crocevia che raramente avevo attraversato.

(A questo punto la scena diventa completamente buia mentre un cono di luce si accende e illumina dall’alto un personaggio seduto in terra, appoggiato alla parete dalla parte di Orion. L’uomo è sulla cinquantina, ha capelli neri curati, barba leggermente incolta, vagamente sudato. Ha un’espressione febbrile, come di ipercoscienza. E’ vestito in modo assai dimesso ma non da straccione. Silenziosamente svolge l’azione descritta da Orion)

L’uomo era seduto in terra, addossato ad un muro d’angolo, e lentamente girava la manovella d’un apparecchio molto simile ad

un antico fonografo a tromba. Pensai che si trattasse del solito accattone e tirai dritto. (Mima l’azione del camminare oltre) Fu allora che mi sentii chiamare….
L’UOMO SEDUTO : (La voce è ferma ma non perentoria. Ha un leggerissimo affanno) Orion!!
ORION: Ero stravolto dalla sorpresa; quel nome rimbalzava nella mia mente con un suono stonato e terribile. Mi voltai lentamente (Mima l’azione; lui e lo sconosciuto si guardano per qualche istante negli occhi).
L’UOMO SEDUTO: (Calmo e sicuro, vagamente paterno) Non meravigliarti se io conosco il tuo nome, sappi che è anche il mio. Non credere che io sia un mendicante, non credere sempre e solamente a tutto ciò che è evidente, logico, tangibile. A volte c’è più certezza in un sogno….
ORION: Mentre io ero ancora stordito dalla sorpresa ebbi solo la forza di domandargli: “Ma…chi sei?” (Nel dirlo si volge proprio verso lo sconosciuto) Lui però parve non curarsene e continuò, seguendo il filo del suo discorso…..
L’UOMO SEDUTO: (Idem c.s., ma con lieve affanno) Dietro il più piccolo dei nostri sospiri c’è in agguato l’infinita pena del vivere, sempre pronta a scaricare su di noi un’onda di mareggiata. E questa trappola mortale si fa più minacciosa la sera, quando torniamo affranti nel nostro rifugio e ci troviamo più soli con noi stessi. La nostra casa allora si slarga, diventa un enorme anfiteatro deserto, e lì, al centro dell’arena, noi saltimbanchi, curvi, teniamo fra le mani il nostro vero viso, disfatto. E’ solo un attimo; l’ondata ci si schianta addosso implacabile.
ORION: (Come nei passi precedenti, parla rivolto verso il pubblico) Ero senza fiato, come se un faro accecante si fosse acceso all’improvviso nei sotterranei della mia mente e mi sentissi nudo. (Con stupore) La sua voce aveva sonorità da violoncello, e poi mi diceva cose che sembravano lette nel pensiero. Ancora una volta potei articolare solo qualche suono. (Ora si rivolge allo sconosciuto) Non….capisco…

L’UOMO SEDUTO: (Idem c.s. Continua a parlare come se nulla lo possa turbare, guardando verso un punto lontano visibile a lui solo) Vedi, ci sono delle notti in bilico sull’orlo di un abisso, eppure sono deserte. Sono notti che a camminare non ti basta un’intera città e il silenzio ti angoscia. Allora guardi tutte le persiane chiuse e ti domandi con stupore “perché” quella calma snervante non faccia schizzare giù dai letti la gente terrorizzata; anzi già ti aspetti che da un momento
all’altro uomini e donne seminudi si riversino per le strade in mille rivoli urlanti, nel vano tentativo di sfuggire il fetore orribile di quella notte stellata, immobile e senza suoni……… (Vagamente amaro) Ma, come sempre, non accade nulla. Così ti incammini lentamente verso casa, deluso e svuotato, per cercare di raggiungere quel tuo inafferrabile sonno che ti imperla la fronte di sudore, ti fa rivoltare inutilmente nel letto fino all’alba e popola la tua stanza di muti fantasmi seduti qua e là. E così, guardando il chiarore lunare che filtra dall’esterno, mentre tutta la città dorme, tu avresti voglia di correre giù in strada. Urlando…..(Pausa, quasi un’esitazione) Per questo sono qui. Questo strumento serve a risucchiare la notte ed a costringerla dentro la scatola. Finché girerò questa manovella non ci sarà notte, non ci sarà più solitudine né insonnia. Devo farlo. Per te, per tutti coloro che ne hanno bisogno. Ed ora vai pure. Forse un giorno capirai, ma intanto sappi che non hai affatto sognato.

(La scena è ritornata normale. L’uomo seduto è scomparso ma l’apparecchio a manovella è rimasto al suo posto. L’oggetto, salvo diversa indicazione, dovrà restare in penombra: visibile ma senza che possa attrarre troppo l’attenzione dello spettatore)

NICOMEDE: (Cordiale, ma sempre dando l’impressione di non comprendere del tutto i fatti in svolgimento) Certo, è tutto molto strano, soprattutto il fatto che avesse il tuo stesso nome. Mah…. però potrebbe averlo

sentito per caso, da qualcuno. (Pausa) Senti, ma poi come è andata a finire? Non mi dire che quell’aggeggio funzionava……
ORION: (Risponde a Nicomede, ma in realtà parla a sé stesso, rievocando i fatti successivi) Ricordo che quella stessa notte, verso le tre, mi risvegliai di colpo, madido di sudore. (Pausa) Allora aprii la porta-finestra ed uscii sul balcone. Una luna altissima colava il suo bianco languore sul cemento delle case ancora rovente, quasi ne volesse lenire le piaghe. La notte era calata pesantemente, come una coltre funebre; o forse era più simile ad un tendone da circo afflosciato su sé stesso, osceno nella sua mollezza. Intanto era comparsa qualche automobile. Ricordo che ognuna di esse forava rapidamente il silenzio, seguita da una tenue scia di rumore che cuciva e teneva unito uno spazio altrimenti troppo vasto. (Con un leggero sorriso) Pensai che, forse, chi si fosse avventato col coltello in mano contro quel nero telone avrebbe scoperto con orrore che dietro ce n’era un altro, e poi un altro ancora, in un’interminabile sequenza di lugubri matrioske. Povero amico mio!
(Un cono di luce molto forte illumina lo strumento giacente in terra. Orion parla rivolto verso l’oggetto) Fosse vero ciò che tu affermavi con tanta sicurezza! Potesse l’uomo avere un simile potere! Però io ti ho visto sereno, consapevole; avevi la composta fierezza, l’intima forza che sicuramente illuminò anche il viso di Davide appena ebbe ucciso Golia. Io sono qui insonne e tu chissà dove sei, ora, anonimo e quieto. Forse sei ancora lì, in quell’angolo, col tuo strano apparecchio, con la tua lucida follia da don Chisciotte. (Pausa, poi accorato) Fammi bere di quel liquore che ti dona l’ebbrezza divina! (Riprende il tono rimembrante) Tu hai detto che non stavo sognando, nel sentirti parlare. Quanto vorrei cercarti, trovarti, chiederti tante cose. Vorrei il dono di una sola certezza: che veramente il tuo congegno funziona, perché questa notte è dura. Ma se tu fossi ancora lì a girare la manovella, se non mi hai burlato, come potresti conciliare la tua fermezza col buio che ci sovrasta entrambi? Per ora so che dovrò affrontare da solo

anche questa notte e che in compagnia degli antichi fantasmi e di un nuovo dubbio approderò a domani. Forse.
(Lo strumento ricade nella penombra precedente)
NICOMEDE: (Sorpreso, amaro) Dunque, nessuno ha pace! Ed io che pensavo…. Quindi anche tu… anche io…..
ORION: (Quasi paterno) Siamo tutti uguali, Nicò, tutti uguali. Dentro ognuno di noi c’è un rubinetto prossimo a chiudersi, un contatto che si interromperà; in questo siamo tutti uguali. Tu dormi e io no, tu fai o pensi cose opposte alle mie, ma siamo comunque uguali. Solo una cosa ci distingue, la corrosione che il tempo opera in noi: oggi tocca a me, fra un mese al vicino di casa ed all’amico Tizio forse mai.
NICOMEDE: (Interessato, poi come chi fa un’improvvisa scoperta) Scusami, se ho ben capito dentro di noi ci sarebbe una specie di filamento elettrico che a un certo punto, se si incrina, fa contatto ad intermittenza, come certe lampadine difettose….
ORION: Sì, è proprio così, solo che nessuno ne parla e quindi può avvenire che tu stia parlando di futilità quotidiane con una persona che è nella tua stessa situazione, ma né tu né lui lo sapete, perdendo in tal modo un’occasione difficilmente ripetibile. Neanche se questo “altro” fosse proprio tua moglie o un tuo figlio. (Pausa) Si può andare avanti tutta una vita, così, in parallelo…
NICOMEDE: (Pensoso, come se stesse “vedendo” con la mente) Già. Sì, sì…
(Pausa, poi si scuote, confidenziale) A proposito di moglie, ora che mi ci fai pensare, devo dire che non ti ho mai sentito parlare di una donna, una “tua” donna. Sono tanti anni che ci conosciamo, ma credo che sia un argomento stranamente evitato nei nostri discorsi. In genere preferisco aspettare che siano gli altri ad aprire certe parentesi, ma questa volta mi sento quasi autorizzato a prendere io l’iniziativa.
VIOLINISTA: (E’ entrato nel frattempo, senza bussare, quasi timoroso. Ha di molto passato i sessanta, ha la barba incolta e l’aspetto dimesso. I vestiti consunti sono tuttavia vestigia di un’antica dignità. Fa un accenno

di inchino verso Nicomede ed Orion ed inizia a suonare un sottofondo di melanconiche arie vivaldiane, ponendosi fra le due scrivanie, in secondo piano. Orion non mostra di averlo notato, mentre Nicomede risponde al saluto con un leggero movimento del capo).
ORION: (Si irrigidisce per un attimo, le mani hanno un lieve tremito. Esita, non riesce a parlare. Poi si sblocca e la sua parola fluisce densa, effetto di una infinita pena interiore) E’ passato tanto tempo! (Pausa) Quanto tempo! Quando la vidi per la prima volta il suo passo era leggero, sembrava che appena sfiorasse il suolo e le persone. Aveva un vestito bianco e lieve. (Pensoso, fra sé) Lo stesso vestito… (Pausa, poi si riprende) Un sorriso solare, che poteva mutare il corso di una vita. Per mesi l’ho seguita, in disparte, come per non contaminarla, finché un giorno, inaspettatamente, i miei occhi incontrarono i suoi alla distanza d’un fremito. Ci fu un breve silenzio, o forse la vita stessa stette per una goccia di eternità col fiato sospeso. Poi gli occhi mi si fecero di fuoco e li abbassai. Un po’ confuso le dissi che la seguivo di nascosto da tanto tempo e lei rispose “Lo so” con un lampo di pudore….
NICOMEDE: (Confidenziale ma rispettoso) Incredibile! Giuro che se non fossi tu a raccontarlo. Insomma, sembra un sogno…..
ORION: (Più discorsivo) La vidi ancora altre volte, ci parlammo, non la sfiorai che con lo sguardo. Pensa, non aveva mai visto il mare. Così quando le chiesi se voleva andarci i suoi occhi ebbero un rapido bagliore. Aveva quel vestito bianco di allora, quando partimmo. Al nostro arrivo il sole si era appena disincagliato dalle secche della controra, ma camminammo a lungo sulla sabbia ancora calda. Non potrò mai dimenticare l’infantile stupore con cui accoglieva ogni immagine. Verso il tramonto, un tramonto simile a quello di oggi, eravamo seduti sulla battigia e mentre l’acqua di un’onda per la prima volta le lambì il piede nudo, allo stesso modo la mia mano incontrò le sue dita. La cipria rosa del tramonto sulla nostra pelle

confuse il suo rossore, ma la veste avvampò di bianco. Ci allontanammo mano nella mano per fare ritorno, e nel salutarci ci scambiammo un “a domani” con un tremito nuovo nella voce. (Pausa, poi con voce più bassa) Non l’avrei rivista mai più….
NICOMEDE: (Nel frattempo ha smesso di lavorare e guarda attento Orion; ripete un po’ attonito) Mai più…
ORION: (Lievemente affannato) So solo che ci fu di mezzo la notte; una misteriosa, maledetta notte. La mattina seguente, indossato il suo vestito bianco, se ne andò in punta di piedi. (Pausa) Mi dissero di averla vista serena, felice, mentre si agghindava con cura. Poi, con un sorriso, cadde in terra, senza un grido, senza un motivo, come fulminata da un male misterioso. Solo che quando la esaminarono si trovarono dinanzi ad un enigma: era sanissima. Il caso fu archiviato in fretta col referto di morte improvvisa, ma io sapevo che non poteva essere così.
NICOMEDE: (Rapito) ….nemmeno un grido…. (Durante il successivo monologo di Orion rimarrà nella stessa posa contemplativa)
VIOLINISTA: (Smette di suonare, fa un leggero inchino verso Orion e Nicomede, che stavolta non si avvede di nulla. Esce frettoloso ma senza produrre rumori)
ORION: (Dolente, virile) Da allora non ho fatto che cercare un perché, un motivo… o anche soltanto un pretesto. Nulla. Né in cielo né in terra
ho trovato qualcosa che potesse contenere l’immensità di quel destino, che giustificasse la necessità di immolare una vittima a qualche divinità sanguinaria. (Con foga) Ho frugato; come un demente ho ripercorso ogni istante del poco tempo che ci fu concesso, ma invano. Allora ho iniziato a deformarlo, quel tempo, a
riplasmarlo, aggiungendovi giorni e parole come se ciò avesse potuto esorcizzare il destino, o forse, semplicemente, ritardarne il compiersi. (Di nuovo dolente) Sì, perché la nostra storia non è che una delle infinite combinazioni possibili tra lo spazio, il tempo e gli esseri umani. Sono milioni di rivoli e canali che si intersecano l’un con l’altro, finché l’acqua non giunge al grande ed unico fiume che

è il tempo come noi lo percepiamo. Parecchi di quei corsi d’acqua, talvolta, scorrono vicinissimi all’alveo principale, ma che lo facciano per pochi metri o migliaia di chilometri non ha alcuna importanza, perché uno solo è il corso del tempo…
NICOMEDE: (Rapito, rievoca quasi imitando alcune parole già dette in precedenza da Orion. Sembra che solo ora ne comprenda il vero significato) “si può andare avanti tutta una vita, così, in parallelo”
ORION: (Quasi sopra pensiero Orion si alza e si porta alla finestra, guardando fuori verso un punto indefinito. Da questo momento la scena si fa gradualmente buia a causa della eclisse). Ciò che io ho veramente cercato era un guado, un ponte che mi consentisse di giungere al fiumicello probabile, lì dove lei era viva e felice accanto a me. (Pausa, poi, umano, rimembrante) La luce muore dolcemente, senza un grido: anche lei andò via così, in silenzio, verso il buio ed una nuova luce. Anch’io ho bisogno di luce, tutta. (Il buio è ormai totale) Forse ora sono più prossimo a capire di quanto non lo sia mai stato prima: lei volle liberarsi del suo abito di carne per non doverne più subire l’orrore, per non sentire sulla pelle l’erosione impietosa del tempo che da allora in poi l’avrebbe sempre accompagnata. La vera condanna di Adamo ed Eva fu questa, conoscere la corruzione degli anni: la vita umana cominciò soltanto allora e le emozioni sarebbero state pagate a durissimo prezzo… ma il mio piccolo fiore era troppo fragile per un simile prezzo. (Pausa, poi lucido) Ora sento che tutto quanto mi circonda sta perdendo rapidamente importanza. Sono ancora appeso al mio filo spezzato, ma da lassù questo filo viene tirato su in fretta. (La voce è più affannata, eccitata) Sì, presto. Ormai posso volare veramente, verso l’alto. Ecco. (Stupito, con voce più intensa). Sì, io volo. (Breve pausa, poi con un grido alto e drammatico) VOLO!!!

SCENA SECONDA

La scena poco a poco riacquista luce, l’eclisse sta passando. Nicomede si alza e va verso la finestra dove si trovava Orion. E’ socchiusa e una lieve brezza fa muovere una tendina. Orion è effettivamente scomparso dalla scena. Nicomede guarda in terra e scorge gli abiti di Orion: sono un po’ scomposti ma perfettamente aggregati, come se la persona che li indossava vi si fosse liquefatta dentro.
La scena si svolge ora come al rallentatore. Nicomede raccoglie gli abiti con la mano sinistra e li mostra verso il pubblico, poi con la destra apre di più la finestra. Guarda verso il cielo, in alto, e sempre con la destra si cala la maschera e la porta sul viso. Rimane immobile fino al calare del sipario.

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