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Ozono stratosferico a rapporto

Ozono stratosferico a rapporto
Luglio 18
02:00 2007

L’ozono è la forma allotropica dell’ossigeno con molecola triatomica e s’indica con O3. Si presenta in natura come un gas di colorazione tendente al blu e di odore pungente e acido. La sua presenza al suolo è dannosa per molti materiali e per la salute dell’uomo, potendo provocare asma e bronchiti; nelle zone alte dell’atmosfera, invece, è utilissima, perché fa da scudo contro le radiazioni ultraviolette del Sole, che altrimenti raggiungerebbero il suolo, con gravi danni genetici agli esseri viventi. L’ozono si può formare dall’ossigeno ordinario, cioè l’ossigeno con molecola biatomica O2, tramite scariche elettriche in opportuni dispositivi (ozonizzatori), o per assorbimento di radiazioni ultraviolette di lunghezza d’onda 2000 angstrom (1 angstrom = 10-10 m) nella stratosfera, cioè nella zona di atmosfera compresa tra 15 e 60 Km di quota: 3O2 → 2O3 – 68 Kcal. L’ozono così prodotto, a sua volta, assorbe i fotoni ultravioletti (hν), riscaldando quindi la stratosfera e producendo ossigeno ordinario e ossigeno monoatomico O3 + hν → O2 + O. Quest’ultimo è molto reattivo e combinandosi con l’ossigeno ordinario ricostituisce l’ozono. Il risultato di queste reazioni l’una inversa dell’altra è quindi quello di non alterare il contenuto di ozono nella stratosfera e di assorbire le radiazioni ultraviolette.
Vi sono, al contrario, altre reazioni chimiche che sono distruttive nei confronti dell’ozono e sono di tre tipi: quelle basate sugli ossidrili (OH + O3 → HO2 + O2), quelle basate sugli ossidi di azoto (NO + O3 → NO2 + O2) e quelle basate sul cloro e i suoi composti ( Cl + O3 → ClO + O2). Le reazioni di quest’ultimo tipo sono quelle che vengono alimentate dai famigerati fluoroclorocarburi (freon) usati come propellenti nelle bombolette spray. Negli anni Settanta del secolo scorso si cominciò a prendere in considerazione la possibilità di un assottigliamento dello strato di ozono stratosferico, dovuto a tali reazioni chimiche, ma l’allarme vero e proprio scattò nel 1985, quando alcune misurazioni posero drammaticamente in evidenza un primo ‘buco’ dell’ozono nella regione Antartica (Polo Sud), ufficializzando la gravità del problema nella convenzione delle Nazioni Unite di Vienna dello stesso anno. Nel 1987, la firma del Protocollo di Montreal impegnava le nazioni civili del mondo a limitare la produzione di freon e di halon , che erano ritenuti i principali responsabili delle reazioni chimiche che distruggono l’ozono stratosferico. Quanto fosse importante quel protocollo fu dimostrato l’anno dopo, quando, purtroppo, un secondo buco dell’ozono fu rilevato al Polo Nord.
Il 5 giugno 2007, all’Accademia dei Lincei a Roma, si è celebrato il ventennale della firma del Protocollo di Montreal, nell’ambito della XXV Giornata dell’Ambiente, con un seminario dal titolo Il buco dell’ozono: evoluzione e problemi radiativi , nel corso del quale sono stati presentati i risultati di numerose ricerche su tale problema, condotte da università e centri di ricerca italiani. Da esse è emerso che, essendo molto lunghi i tempi di permanenza in atmosfera delle sostanze, poco sopra ricordate, che distruggono l’ozono, malgrado sia cessata la loro produzione soltanto oggi la loro concentrazione comincia a diminuire. Il recupero dell’assottigliamento dello strato di ozono è inoltre mascherato dai fenomeni naturali di trasporto, dovuti alla circolazione atmosferica causata da riscaldamenti e raffreddamenti dell’aria e alla turbolenza indotta dai cicli solari, in conseguenza dei quali la concentrazione di ozono può cambiare da zona a zona . Le ricerche italiane sulla questione dell’ozono stratosferico hanno dato felici risultati negli anni passati, ma oggi soffrono di una condizione di stallo a seguito del “palese disinteresse per la ricerca scientifica da parte del mondo politico”, come hanno denunciato Giorgio Fiocco e Bruno Carli nell’introduzione ai lavori della giornata lincea. In particolare, risulta molto grave l’esclusione dell’Italia dal Programma Nazionale Ricerche in Antartide, prevista dall’attuale legge finanziaria.

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