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Pensiero creativo: arte o scienza?

Marzo 01
20:00 2013

Diceva Giovanni Agnelli: «La creatività è il piacere più grande. È il solo vero valore aggiunto della vita, capace di comprendere tutti gli altri». Nulla di più vero! La creatività riguarda tutte le attività dell’uomo ma, certamente, nell’Arte e nella Scienza è la condizione sine qua non sono possibili né la loro esistenza né il loro sviluppo. Ma cosa significa creare, veramente l’uomo può creare? La risposta è no. Se ‘creare’ è partorire l’essere dal non-essere, compiere il prodigio della negazione del nulla, essa non è qualità dell’uomo ma di Dio. Dio crea, l’uomo genera, perché per l’uomo ex nihilo nihil. Dunque, riferiamo all’uomo il termine ‘creare’ impropriamente, al posto di ‘generare’. Ma allora da dove nasce la creatività dell’uomo? Dal Caos? Da questa voragine (dal greco cháos = abisso) che non è il nulla ma, secondo le antiche cosmogonie, la mescolanza disordinata degli elementi primordiali del cosmo (terra, acqua, aria, fuoco), quindi di qualcosa di già esistente? Nasce dal disordine ed è veramente libera?

La ‘creatività’ dell’uomo è generativa, non nasce dal disordine e non è totalmente libera, perché deriva dalla rottura di un insieme ‘ordinato’ di elementi ‘già esistenti’ nella nostra mente, per il desiderio, o bisogno inconscio, di ricostruire un nuovo ‘ordine’ in cui quegli elementi, o parte di essi, sono diversamente aggregati, agendo, in uno stato di semicoscienza, sotto il ‘condizionamento’ delle nostre precedenti esperienze materiali ed emotive. Questo processo, secondo il filosofo Antonio Aliotta, è l’immaginazione creatrice ed è comune tanto all’Arte quanto alla Scienza, entrambe forme di conoscenza, poiché entrambe hanno come risultato della loro attività una rappresentazione del mondo: fondata sulla emotività quella dell’Arte e sulla razionalità quella della Scienza. «Ogni nostra cognizione prencipia da sentimienti», sentenziava Leonardo da Vinci, che rappresenta l’esempio supremo di sintesi e simbiosi fra Arte e Scienza. Nell’opinione comune, invece, è assai diffusa l’idea che l’Arte nasca dalla fantasia mentre la Scienza dalla ragione, condotta dalla ferrea mano invisibile della logica. Nulla di più falso. La ragione e la logica di per loro non producono nulla di nuovo. Strana sorte tocca al regno dell’immaginazione che, riconosciuto la culla del genio scientifico da scienziati e filosofi, è invece dai più relegato ad avere come sudditi esclusivi gli artisti! «La ragione non è nulla senza l’immaginazione» affermava Cartesio, e «ogni scoperta contiene un elemento irrazionale, o un’intuizione creativa», dirà molto più tardi un altro filosofo, Karl Popper. Un nostro grande matematico e filosofo, Federigo Enriques, ammoniva:«…il rigore logico nasconde in parte la genesi delle idee…».1 Gianni Rodari nel suo libro Grammatica della Fantasia,2 riporta questa frase, tratta dai Frammenti di Novalis: «Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare». E John Dewey, in Come pensiamo, affermava: «Le storie immaginarie raccontate dai fanciulli possiedono tutti i gradi della coerenza interna. […]Queste costruzioni fantastiche precedono spesso un pensiero di tipo più rigorosamente coerente e gli preparano la strada». Potremmo, dunque, concludere che per imparare a ‘pensare’ razionalmente, occorre prima imparare a ‘inventare’, ma per inventare occorre la fantasia, che è pensare per immagini, arte già nota agli antichi egiziani, com’è testimoniato dalla loro stessa scrittura per geroglifici: “prisca Aegyptiorum sapientia“, la chiamava Giordano Bruno. Modo di pensare che non doveva essere estraneo a molti filosofi antichi. Socrate – fa notare Umberto Galimberti – «filosofava a partire dal demone che dentro gli dettava in condizione di ‘atopia’ che non è epilessia, già nota ai tempi di Ippocrate, ma propriamente ‘dis-locazione (a-topia)’ rispetto al modo abituale di pensare». Questa ‘divina follia’, di cui lo stesso Platone parlava, riferendosi al pensare per immagini come distinto dal pensare per concetti, nel Rinascimento era praticata da molti scienziati-umanisti, come Raimondo Lullo, Niccolò Cusano, Pico della Mirandola, Marsilio Ficino. Il ‘pensiero per immagini’, pur essendo disconosciuto – osserva acutamente Umberto Galimberti – «continua ad essere la fonte segreta del pensare», perché – diceva Albert Einstein – «le proposizioni puramente logiche sono vuote davanti la realtà». E di rincalzo Bruno de Finetti: «Ciò che è logico è esatto. Ma non ci dice nulla. Nessuna pretesa sarebbe altrettanto illogica che quella di ricavare qualcosa dalla logica: […]il ragionamento non può servire che ad esprimere sotto altro aspetto ciò che è stato presupposto».3 La conoscenza ‘nuova’, dunque, non è un parto della logica ma dell’invenzione, e inventa sia l’artista sia lo scienziato, perché è la fantasia il ‘brodo universale’ da cui nascono sia le opere d’arte sia le opere di scienza. Immaginazione creatrice e logica, pensiero per immagini e pensiero razionale sono due momenti del pensare che si susseguono a scale diverse dell’avventura umana, ovvero nella storia individuale e in quella collettiva dell’uomo. La scoperta del singolo scienziato nasce dalla semioscurità dell’intuizione che è fatta d’immagini che diventano sempre più nitide alla luce della ragione. I grandi matematici dicono sempre di ‘vedere’ le soluzioni dei loro problemi. Bruno de Finetti in un prezioso volumetto, intitolato Il saper vedere in matematica, affermava che «la matematica richiede anzitutto immaginazione e interesse per vedere direttamente i problemi, e allora è istruttiva e anche divertente».4 Federigo Enriques, discorrendo col suo allievo e amico Fabio Conforto, mentre passeggiava, ad un certo punto additò un cane esclamando: «Ebbene, io vedo quel teorema così come vedo ora quel cane!»5 Similmente, anche nella storia della scienza è possibile individuare periodi caratterizzati da una ricca messe di nuove scoperte non rigorosamente ancora organizzate e frutto essenzialmente dell’intuizione, dell’immaginazione e spesso della serendipità, cioè del caso che «favorisce la mente preparata», come diceva Louis Pasteur, e altri periodi, invece, caratterizzati dalla riflessione critica, dalla sistemazione logica e razionale. Creativo, fluido, quasi magico, marchiato dalla ‘divina follia’ il primo momento, riflessivo e cristallizzante il secondo. Potremmo dire, in altre parole, che la nascita delle scoperte avviene nel mondo dell’immaginazione, mentre la loro crescita (cioè il consolidamento) avviene in quello della ragione. La diade fantasia-ragione è ben nota ad ogni scienziato e tipo creativo, ma sono pochi gli scienziati che l’ammettono, perché, come coraggiosamente diceva Bruno de Finetti, «purtroppo, un falso pudore vieta di menzionare la parte del processo della scoperta che si svolge più o meno nella sfera dell’inconscio, o del subconscio, per esibire soltanto la dimostrazione fossilizzata nella sua forma scheletrica di logica freddamente deduttiva e formalistica».6 Ma fu addirittura il padre della moderna scienza, Galileo Galilei, a sconfessare questo ‘falso pudore’ nientemeno che nella persona di Aristotele. Nella Prima Giornata del suo celeberrimo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, Galileo confuta per bocca di Salviati l’affermazione di Simplicio, secondo la quale Aristotele avrebbe raggiunto un certo risultato con un ragionamento ‘a priori’ e poi fondandosi ‘a posteriori’ sui sensi. Controbatte Salviati: «Cotesto che voi dite, è il metodo col quale egli (Aristotele) ha scritta la sua dottrina, ma non credo già che e’ sia quello col quale egli la investigò, perché io tengo per fermo ch’e’ proccurasse prima, per via de’ sensi, dell’esperienze e delle osservazioni, di assicurarsi quanto fusse possibile della conclusione, e che doppo andasse ricercando i mezi da poterla dimostrare, perché così si fa per lo più nelle scienze dimostrative». L’esposizione razionale di una scienza, solidificata con le rigide regole della logica in un prodotto compiuto e organico, ha dunque caratteristiche molto diverse da quelle della stessa scienza nel suo ‘farsi’, nel suo essere scoperta, invenzione. Ben diceva Bruno de Finetti quando metteva in guardia contro la pretesa «che la prospettiva di chi ammira l’opera compiuta e se ne serve debba essere la stessa dell’artigiano che l’ha costruita e di coloro che vorranno e dovranno curarne la manutenzione o il completamento».7 Purtroppo l’abitudine ad ammirare l’opera compiuta, tipica dell’insegnamento scolastico, ingenera l’idea falsa che la scienza sia unicamente un prodotto del pensiero razionale separandola così dall’arte, ignorandone le comuni origini, che sono nel mondo dell’inconscio e della fantasia. Questo disconoscimento è uno dei motivi delle false opposizioni fra le cosiddette ‘due culture’.

_______

1 F. Enriques, Le Matematiche nella scuola e nella cultura. Bologna, Zanichelli, 1938, pp. 188-189.
2 Einaudi, Torino 1973.

3 B. de Finetti, Pirandello Maestro di Logica. In: «Quadrivio» 5-12-1937.

B. de Finetti, Il saper vedere in matematíca, Torino, Loescher, 1967, p.1.
A. Frajese, Galileo matematico. Roma, Editrice Studium, 1964, p.10.
B. de Finetti, Interventi al Convegno della C.I.I.M, Viareggio 24-26 ottobre 1974, in «Notiziario del Bollettino della Unione Matematica», dicembre 1974.
B. de Finetti – Lettere alla Direzione in «Periodico di Matematiche», n° 4 ottobre 1965.

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