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Piero Angela. “Il mio lungo viaggio (90 anni di storie vissute)”

Piero Angela. “Il mio lungo viaggio (90 anni di storie vissute)”
Agosto 26
12:20 2017

Il mio lungo viaggio (90 anni di storie vissute)

Nel nuovo libro di Piero Angela si respira una saggezza sovrana che va al di là dell’autobiografia. Il coraggio della denuncia. L’avventura di una vita per la “Conoscenza”.

Questo recente libro di Piero Angela, che ho già recensito per “Pagine della Dante”, ora – avendo più spazio a disposizione – voglio approfondirlo riportando qualche passo decisamente coraggioso (in tempi in cui gli scrittori “tirano quattro paghe per il lesso”), sottolineando una qualità di Piero Angela credo poco pubblicizzata: la sua visione della vita, la sua filosofia originale, che va oltre la pur ammirevole e ammirata capacità di divulgazione scientifica. Ma torniamo a bomba, come usava dirsi una volta (senza dimenticare che la sottile ironia dello stile di Angela rende fruibile anche il difficile e sdrammatizza – con una visione panoramica della cose, come dovrebbe essere in un tempo invece di superspecializzazione, la quale restringe l’ambito della cultura – in una contenuta speranza quanto è in potere dell’uomo).

“Il mio lungo viaggio – 90 anni di storie vissute” (Mondadori, pp. 230, E. 19,00) è una narrazione che – prendendo spunto il più delle volte dalle tappe fondamentali dell’esistenza del celebre personaggio –  si snoda in un documento vivacissimo della storia, la società, i costumi, le scoperte, i divi, le idee, le delusioni e le speranze del secondo Novecento fino ai nostri giorni. Sbaglierebbe chi si aspettasse di leggere una delle solite autobiografie di cui la nostra fertile Italia abbonda. I fatti ci sono, le curiosità pure, e indimenticabili; un mondo di nomi importanti è inserito nei decenni  di un’esperienza straordinaria; ma soprattutto si respira una saggezza sovrana che ci fa pensare al detto di Comenio: “Un giusto giudizio sulle cose è alla base di ogni virtù” (leggiamo infatti a pag. 105: “Penso che non ci siano regole in grado di codificare l’obiettività: l’obiettività sta dentro le persone”, e nel presente libro, aggiungo io, sottolineando che questa è una dote rara, specie quando si parla di se stessi).

Angela guarda il mondo con serena lontananza, perché a lui importa trasmettere la conoscenza: l’ha fatto attraverso i suoi affascinanti interventi televisivi; lo ha portato in altri ambiti coi suoi libri, profondi e scritti con stile galileiano; lo sintetizza ora in questo testo che è un insegnamento etico continuo e una vera avventura del pensiero.

Tuttavia, una porzione decisiva dei primi anni di Piero Angela è occupata dalla figura del padre, direttore della clinica psichiatrica a San Maurizio Canavese (“La salute più importante è quella del cervello: è meglio essere costretti su una carrozzella anziché integri nel corpo, ma con la mente che non funziona”, pag. 96), antifascista della prima ora, il quale ha corso il rischio della vita per proteggere gli ebrei (nell’anno 2000, dopo le indagini che hanno preso le mosse da un libro di Renzo Segre intitolato “Venti mesi”, Carlo Angela – il padre di Piero – è stato onorato dallo Yad Vashem con il titolo di “Giusto tra le Nazioni”, e oggi, nel Giardino dei giusti, a Gerusalemme, c’è una targa con il suo nome; a Roma gli è stata dedicata una via). Aveva 54 anni quando Piero nacque. Una figura austera, coerente, coraggiosa. E proprio in questi ricordi di un tempo – che quelli della mia età, cresciuti nel “medioevo” dei Castelli Romani, a 20 chilometri dalla Capitale d’Italia, hanno vissuto, mentre Angela è nato e cresciuto a Torino, ma le cose fondamentali non cambiano molto nella sostanza nonostante l’ubicazione -; proprio in questi ricordi, colgo considerazioni che voglio riportare. Ad es., queste: “Era un mondo diverso, certamente. Meno libertà, meno esperienze, meno occasioni di incontrare gente, di viaggiare. Meno soldi, naturalmente. Ma c’erano anche cose che oggi mancano. Per esempio, il tempo per pensare. Il tempo per immaginare, riflettere. Ho l’impressione che oggi il tempo dei giovani sia molto compresso, per via di tutti gli stimoli che riempiono la giornata… C’era anche un’altra cosa che oggi sento più rarefatta: la buona educazione, il rispetto per gli altri… E poi l’etica della frugalità. In tutto, non solo nel cibo… Credo che all’epoca ci fosse un maggiore allenamento ad adattarsi alle situazioni, ad accettare più facilmente le rinunce”.

Essendo vissuto all’estero per molti anni, Piero Angela riflette: “Fuori dell’Italia la furbizia non funziona (anzi), si rispettano le regole elementari della vita civile, un divieto è un divieto, la Pubblica Amministrazione funziona meglio, non c’è bisogno di raccomandazioni per ottenere quello cui si ha diritto…”; poi sottolinea: “Il nostro paese è pieno di menti intelligenti, ma manca di un’intelligenza di sistema”. A tal proposito, intendo segnalare ai lettori un libro di Piero Angela, uscito qualche anno fa, ma attualissimo e coraggioso, in cui si trova il nucleo del pensiero autonomo del Nostro: “Premi e punizioni”, un’opera che dovrebbe circolare nelle scuole e che pure i nostri politici avrebbero il dovere di approfondire, in quanto Angela (senza il pessimismo amaro di Hobbes, ma con alcune analogie col suo pensiero) attualizza un discorso socio-politico in un sistema filosofico netto: ho sempre sostenuto che Angela non è solo il più bravo divulgatore culturale italiano, ma un pensatore originale, l’inventore di un metodo di avvicinamento alla conoscenza in generale e alla scienza in particolare, assolutamente di suo conio personale.

Per quanto riguarda l’Europa, il problema di fondo è “non solo politico ed economico: il fatto è che i paesi che ne fanno parte sono troppo diversi per potersi unire veramente. Italiani, tedeschi, inglesi, francesi, olandesi, spagnoli, belgi, portoghesi, greci possono sicuramente far parte di un’unica nazione totalmente integrata, ma solo se si trasferiscono negli Stati Uniti, in Canada, in Australia, in Argentina… Lì si riconoscono tutti in una sola bandiera, una sola lingua, un solo sistema economico”. Ho voluto citare questo breve ma significativo passo, anche perché il problema delle troppe lingue ci divide sul piano centrale, che è quello della cultura e della comunicazione. Ultimamente ho preso parte a un convegno su questo tema, in cui ognuno proponeva una risoluzione, portando addirittura in ballo il desueto esperimento dell’Esperanto, mentre il sottoscritto, magari per deformazione professionale, pensava al latino come lingua di nuovo universale, tanto più che sei grandi paesi del continente fanno parte dell’area neo-latina, mentre l’inglese darebbe la supremazia a una sola nazione.

Ma procediamo con ordine.

Quando l’autore parla delle sue “tappe”, non lo fa per raccontare le “res gestae” di cui i personaggi noti fanno vanto, ma per riflettere sui modi usati per raggiungere una meta: “C’è una regola che ho osservato per tutta la vita professionale: mai accontentarsi di quello che sembra già buono; si può sempre fare meglio, sostituendo una frase, aggiungendo un esempio, riscrivendo l’inizio, a volte buttando via tutto e ricominciando da capo. Lo facevo nei miei primi servizi e lo faccio ancora oggi, per riuscire a essere chiaro e sintetico. La capacità di essere autocritici è una grande risorsa”. Piero Angela tiene cari gli insegnamenti dei grandi: Leonardo da Vinci dice così (tradotto nella lingua attuale): “Quando un autore è contento della sua opera, questa poco ne acquista”. Mi associo inoltre al  consiglio che Angela offre ai giovani: “Nel vostro lavoro, qualunque esso sia, puntate all’eccellenza”. Ma – mi permetto di aggiungere, chiedendo scusa a Piero Angela di tutte queste intrusioni personali nel suo straordinario lavoro – nell’attuale andazzo delle cose in Italia, si premia la mediocrità e l’approssimazione: c’è quasi una congiura verso le cose belle, una congiura che tende a seppellire anche il passato (quest’anno è stato il 450° della nascita di quel gigante di Claudio Monteverdi; nessuno ne ha parlato, mentre 220mila persone si sono affollate da due giorni prima per ascoltare Vasco Rossi: chiedo perdono ai tifosi, ma mi appello al buon senso).

Da questo momento, non mi intrometto più: basta di gran lunga quanto scrive Piero Angela per aprire dibattiti auspicabili.

Dovrei dare spazio all’avventura (anzi, alla disavventura) di Enzo Tortora, del quale Angela chiarisce gli aspetti denunciando uno sbaglio “storico” del giudizio. Vogliamo tornare a Comenio?

A un certo punto del libro, una storia molto significativa: quella di Rocco Perone, direttore del lancio a Cape Canaveral, che se fosse restato in Italia sarebbe divenuto un bravo contadino. Ma leggiamo proprio le righe testuali: “In una società che premia il merito era invece diventato l’uomo che dirigeva il lancio per la conquista della Luna… Mettere gli uomini giusti al posto giusto”. Io credo che tutti i mali dell’Italia dipendano dal meccanismo delle raccomandazioni e dell’appartenenza. Sarebbe propizio parlare della fuga dei cervelli, e questo libro, con i personaggi incontrati da Piero Angela e le “riflessioni sui fatti” lo dimostra (ciò fa dell’opera non una biografia soltanto – avvincente perché l’autore è un uomo di prima grandezza e si è fatto da solo -, bensì una sorta di trattato etico, perché si slarga, dai dati precisi e determinati in un certo tempo storico, a considerazioni universali: da autobiografia a “condizione etica”; infatti, a pag. 25, fra l’altro, si legge: “Nella vita ho imparato che, per ottenere il meglio dalle persone, bisogna riuscire a motivarle”: questo vale la pedagogia della fiammella da accendere e non il vaso da riempire!).

Ora, uno dei nodi centrali dalla narrazione consiste in riflessioni del tipo: “Un mondo in continua trasformazione, che richiede conoscenze e modi di pensare nuovi, richiede che i giovani – e noi tutti – siano messi in grado di capire il loro tempo e il mondo in cui dovranno vivere e operare”. Angela osserva, giustamente, che ancora oggi la nostra cultura è di tipo umanistico e non scientifico, ma bisogna aggiungere che attualmente la Cultura è morta, cosa già anticipata da Ivan Illich e Reimer, per cui anche la grande tradizione che ci faceva un popolo di “poeti” (veri, ma oggi meglio sarebbe dire di “versaioli”) ha lasciato il posto all’informazione da telefonino. I beneamati Bignami sono essi stessi un’altura insormontabile! Però Piero Angela specifica – e sono d’accordo con lui – che si dovrebbe insegnare non solo una moderna filosofia della scienza, ma ancor più una “filosofia della tecnologia”: vedete quanti punti polemici e lungimiranti sarebbe da discutere leggendo queste pagine dense e talvolta provocatorie!

Anche se l’editore Armando Guidoni mi ha detto: “Prendi tutto lo spazio che vuoi”, non mi posso sostituire al libro, perché le recensioni servono a stimolare alla lettura, a indirizzare la curiosità del fruitore, non a riassumere il testo. Ma ci sono passi che non posso saltare. Uno di questi è quello della Terra vista dallo spazio: “Solo un granello di polvere fra i miliardi di miliardi di altri pianeti, stelle, lune sparsi in spazi infiniti. Un pianeta, il nostro, che gira intorno al Sole, a 100.000 chilometri l’ora, protetto solo da un sottilissimo velo d’atmosfera. E sotto questo sottilissimo velo ci sono uomini che continuano a scontrarsi, insultarsi, combattersi. Ecco, lo spazio ci aiuta anche a capire quanto siamo insignificanti e quanto sia prezioso il nostro angoletto caldo”.

Poi ci sono capitoli che potremmo riassumere in una sola espressione: educare al bello. E se ci fosse ancora da ripeterlo, si conferma quanta ricerca, quanto studio, scienza, rigorosa accuratezza di contenuti ci siano dentro l’apparente leggerezza narrativa dei servizi di Piero Angela in tv.

Bene. È chiaro che Piero Angela è un pensatore che ha inventato un metodo efficace di approccio alla conoscenza scientifica di cui oggi nessuno può fare a meno, essendo ormai tutti inglobati nell’era tecnologica, ma quale sarà il futuro? Abbiamo fin ora parlato dei tempi passati e del presente. Diamo un’occhiata alle possibilità del domani. Riporto dalle pagine 218 e segg. del testo a loci selecti:

“Di questo futuro non sappiamo niente, perché le variabili sono troppe. Impensabile prevederne gli scenari” (Piero Angela predilige, credo, Guicciardini a Machiavelli, per quel significativo “particulare” che l’autore del Principe non aveva considerato). “Però c’è un elemento ormai sicuro che si proietterà per tutto il secolo: l’andamento demografico… L’attuale crollo delle nascite avrà grandi conseguenze nel nostro paese… Se da due individui ne nasce uno solo, vuol dire che la riproduzione si dimezza. A ogni generazione i giovani di dimezzano, mentre aumentano gli anziani (e la loro vita si allunga sempre più). Si prospetta uno sconvolgimento che provocherà squilibri in ogni campo: lavoro, sanità, pensioni, immigrazione… Si prevede che nel 2050 gli immigrati nel nostro paese saranno tra i nove e i dieci milioni, una specie di “seconda Italia” parallela…”

Prima dell’epilogo, il capitolo che chiude il libro si intitola “La scomparsa dell’uomo bianco?”

Leggiamo: “E a livello planetario cosa dicono i dati demografici? Dicono che Europa e Nord America diverranno una percentuale sempre più piccola della popolazione mondiale, passando dal 28 per cento del 1950 all’11 per cento del 2050. È quella che alcuni hanno definito la graduale scomparsa dell’uomo bianco. L’Africa, nello stesso periodo, esploderà passando dai poco più di 200 milioni del 1950 a oltre due miliardi di abitanti nel 2050! L’Asia supererà i 5 miliardi. Ma, contrariamente all’Africa, nel 2050 la sua popolazione sarà molto invecchiata… “ Le grandi incognite saranno: disoccupazione, disuguaglianza, clima, immigrazione, energia, acqua, cibo, fanatismo… L’altra: tecnologia, cultura, innovazione, adattabilità, produttività, ricerca, preveggenza, stabilità, intelligenza…

Leggiamo ancora: “L’ Homo sapiens è qui da centomila anni, o forse più. Come sarà il mondo fra centomila anni? Come saranno le città, la natura, il lavoro, l’amore, l’arte? Come sarà la specie umana (se ci sarà ancora)? Penso che non mi piacerebbe vivere in quel mondo. Mi dà l’idea di un mondo freddo, dove non ci sarà più niente da scoprire, forse neanche la diversità degli altri. Magari non sarà così, ma decisamente penso di essere stato fortunato a vivere in questo secolo, pieno di problemi, sì, ma anche di bellezza, di umanità e di cose straordinarie”.

Spero di aver dato, con questa recensione, il senso di un libro tanto pieno di idee, saggezza, equilibrio, cultura (certo: Percy Snow impiegò venti anni per definire il significato di tale parola, ma alla fine desistette: questo termine troppo abusato per la sola realtà letteraria, include tutto – e non dimentichiamo che Piero Angela, fra l’altro, è un ottimo pianista). Nonostante la lunghezza dell’esegesi – diciamo così -, ho indicato solo un dieci per cento, data la capacità di sintesi dell’autore e la sua (oggi rara) “essenzialità” dell’espressione.

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