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Profondo come il mare

Luglio 11
15:30 2013

Lunedì mattina Giovanni sente i postumi dell’alcol.
E’ un uomo con la barba, un modo di fare spigliato, cinque figli piccoli e un occhio attento alle signore.
Alle 12 ha una importante riunione e sta riguardando gli appunti sulla sua relazione con angoscia crescente.
Alle nove Fiorella gli ha portato una tazza di caffè nero e bollente: lei lo capisce sempre e di solito glielo fa notare.
E’ in piedi dalle sette, ha preparato la colazione ai ragazzi, lavato camicie e camicette, rifatto i letti, passato l’aspirapolvere nelle camere e in questo momento si sta infilando il cappotto nell’ingresso.
Sporge la testa nello studio. “Tutto bene?”.
Giovanni s’infastidisce a sentirselo ricordare.
“Devo prenderti qualcosa al supermercato?”
Sembrano vivere in un perenne stato di belligeranza, fissandosi l’un l’altra dai due lati di un confine che da tempo è oggetto di dispute.
Fiorella! Fiorella! Quanto vorrebbe poterle parlare.
“No. Niente, grazie. Senti, Fiorella, tra poco esco anch’io. Puoi aspettare cinque minuti?”.
“No. Devo andare. Ci sei a pranzo?”.
A che cosa serve? “No. Mangio qualcosa fuori”.
Sente la porta sbattere fragorosamente e la guarda camminare spedita fino alla fine della strada e sparire alla sua vista.
Va in cucina, si riempie un bicchiere d’acqua fresca e vi lascia cadere dentro due compresse di aspirina solubile.
Poco dopo sale in macchina, pronto per la sua riunione.
Sono le sei del pomeriggio quando esce dall’ufficio.
Il traffico sta diminuendo e il viaggio verso casa è scorrevole.
Apre al porta e appende il cappotto.
Che strano odore. Gas?
“Fiorella?”. Lascia la sua valigetta nello studio. “Fiorella?”. Si dirige verso la cucina.
Adesso l’odore del gas è più intenso.
Giovanni ha la bocca completamente secca e la sua voce tradisce il panico. “Fiorella!”.
La porta della cucina è chiusa.
La apre.
L’odore nauseabondo del gas lo colpisce con un urto quasi materiale.
La testa di Fiorella è appoggiata sullo sportello del forno.
Apre la finestra.
L’odore è ancora fortissimo e nauseante e sente il vomito salirgli in gola.
In quel momento capisce che è morta.
Sul tavolino c’é una lettera indirizzata a lui.
La prende e apre la busta con delicatezza.
“Caro Giovanni, quando leggerai questa lettera io sarò morta. So che cosa significherà questo per te e per i ragazzi, ma ormai ho deciso di farla finita. Ripenso ai primi tempi, quando eravamo così felici. Niente e nessuno potrà portarceli via. Stai vicino ai ragazzi. Spero che tu possa perdonarmi. Fiorella”.
Giovanni legge la lettera.
La sua disperazione non può raggiungere un abisso più profondo.
E’ un uomo spezzato, distrutto.
E’ un dolore profondo il suo. Profondo come il mare.
E’ una notte scura e la luna è lontana, coperta da nuvole sempre più basse. Rettangoli di luce attenuata dalla tende risplendono in gran parte delle stanze che danno sulla strada e in molte scorge la luce azzurra degli schermi televisivi. Guarda in particolare la casa di fronte.
Alza lo sguardo verso il cielo.
Sale sul parapetto del davanzale.
Si getta di sotto.
Muore, stringendo sul petto la foto di sua moglie.
Quando i soccorritori gli si avvicinano, sulla fotografia spiccano ancora le tracce delle sue lacrime.

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