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Quale giustizia? La ‘sveglia’ di Colombo

Febbraio 28
14:29 2011

Nel cercare poi un concetto condiviso e condivisibile di giustizia, che fosse accettabile a coscienze formatesi dalla seconda metà del secolo scorso in avanti, la ricerca è stata quasi più penosa. Viene da pensare che forse – noi cittadini – sappiamo bene cosa pensare, ma non lo sappiamo spiegare, e la mancanza di dialettica ci ha messo subito un po’ in ginocchio davanti alla capacità di argomentare, ma anche davanti al pragmatismo lombardo del nostro. La ricerca è proseguita nel cercare e scoprire i motivi per i quali i Padri della Costituente hanno voluto affermare che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul Lavoro (Lavoro uguale: operosità, impegno a mantenere in piedi la democrazia, riconoscimento continuo nei valori che ci siamo dati), e quali siano stati gli sconvolgimenti mondiali che hanno portato a decidere di fondare su così alti valori molte costituzioni europee. Un auditorio ormai attonito, non tutto ovviamente, apprendeva come gli italiani se la siano cavata spesso con mediocrità. Colombo ha portato l’esempio della Danimarca e della Bulgaria, Paesi nei quali le leggi razziali (la cui mostruosità ha indotto molti Stati, alla fine della II Guerra Mondiale, alla riaffermazione della pari dignità di ogni individuo nella Carta dei Diritti Dell’uomo – Parigi, 1948) non hanno trovato terreno fertile per la loro attuazione, mentre in Italia – questa è storia – sì.
La domanda di Colombo, intrinseca alla serata è sembrata essere: Quale giustizia? Spieghiamoci: cosa andiamo predicando se non sappiamo bene di cosa parliamo? e poi, l’Italia è una Repubblica Democratica fondata sul lavoro, ma perché non siamo così convinti di difendere le istituzioni che ci siamo dati e a difendere il diritto ad una dignità che, dal secolo scorso, solo l’impegno, la conoscenza, l’operosità, sembrano poter dare ad ogni cittadino? Il discorso è arrivato presto alla legalità e qui, per meglio mettere l’accento sul suo concetto di legalità, il magistrato ha letto un brano dal suo ultimo saggio Sulle regole – Feltrinelli. Per riassumere: in una ipotetica strada di una qualunque città, nei condomini, dal piano strada al tetto, negli isolati, per le vie, ogni cittadino, dalle autorità costituite, alla gente comune, ognuno si dà da fare a consegnare mazzette, ignorare le regole, infischiarsene della legalità, dal più grande al più piccolo, senza mezzi termini: da chi non pretende lo scontrino dal negoziante o la fattura dall’artigiano, perché così c’è lo sconto, a chi parcheggia in divieto di sosta, al grosso imprenditore che allunga mazzette per non finire in carcere, agli avvocati, ai notai, ai magistrati che non fanno il proprio dovere, che non mantengono la schiena dritta davanti al dio denaro.
L’innominato, il grande atteso della serata, il convitato di pietra che tutti aspettavano (Berlusconi? qualcun altro?) cui dare la responsabilità di quello che siamo diventati nella muta violenza di consuetudini che si fanno piccola mafia e negli affarucci propri che sono la spia di un malaffare più grande, non è presente. Ognuno è chiamato a caricarsi sulle spalle la propria responsabilità, i giovani in prima fila, invitati con vivacità a sedersi vicino al relatore; interrogati, sondati e giudicati, a tratti, per l’eleganza o la pochezza delle loro espressioni come si fa con gli adulti, (ingiustamente, ma facendoli diventare improvvisamente vivi e importanti nel loro esserci, nell’aver partecipato, nel non essere sempre e solo il simbolo ipocrita o retorico di un futuro lontano, che proprio per questo non arriva mai). Citando sinteticamente Colombo: «Se ciò che di negativo accade è sempre responsabilità/colpa della Società, dei poteri forti, del potere di un uomo politico, non posso farci nulla, se la responsabilità è anche mia, posso fare qualcosa per contrastare quello che non mi piace. La crescita del senso comune rispetto ad ingiustizie palesi ha fatto crescere l’umanità giorno dopo giorno; la violenza delle rivoluzioni, così citate a sproposito da molti (la Rivoluzione francese ha prodotto molte teste mozzate), ha spesso rappresentato un momento di stasi per la crescita sociale e culturale, per lo sviluppo di quel senso comune, condiviso, in merito a cosa fosse giusto o no arrivati a quel punto della crescita di una data civiltà». Ricordiamo che Gherardo Colombo in virtù del suo impegno nell’educazione alla legalità nelle scuole e nei suoi molti interventi in lungo e in largo per l’Italia ha ricevuto nel 2008 il Premio Nazionale Cultura della Pace.
Durante la serata si sono alzate alcune – per altro non così incisive – proteste di chi si è sentito scalzato dal proprio ruolo di ‘onesto per antonomasia’, qualcuno ha anche svelato la propria propensione alla lettura reiterata del Capitale di Marx per rivendicare la propria ‘appartenenza’; forse alcuni si sono sentiti spiazzati, quasi chiamati in causa da un ragionare, mai pigro, che attraverso la presa di coscienza più sincera possibile (dalla genesi delle parole, al prendere su di sé la responsabilità delle proprie azioni e non-azioni), vuole darsi da fare per ri-pensare l’individuo, la persona, il cittadino.
Chi sente fortemente quanto l’attuale classe politica, con tutti i suoi malesseri, è solo un sintomo e non la malattia, chi sa che il potere è nelle mani di pochi, ma rimesso in quelle mani anche dal disavanzo continuo della idea profonda di giustizia e legalità di ogni cittadino davanti a consuetudini ingiuste eppure condivise (la piccola illegalità di tutti i giorni, le decisioni prese al ribasso – vedi contratti di lavoro capestro perché in altri contesti si è fatto così – l’abbandono dell’arena politica da parte dei giovani); chi è cosciente di tutto questo, e coltiva rabbia e conoscenza, ricerca continua e indignazione, ha trovato altri spunti per continuare il proprio cammino. Grazie ad Alternativ@Mente e a Enrico Del Vescovo per averci proposto, dal vero, una figura così vivace, pensante, spiazzante, in una conferenza costruttiva dalla quale molti, certo molti giovani, si sono accomiatati diversi, più ricchi in spirito e convinzione, di come erano arrivati.

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