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Quando il rock parla di pace

Settembre 13
17:39 2009

C’è un video musicale che si apre con due cartelli, uno scritto in inglese e l’altro in lingua farsi. Sul primo c’è la frase “Stand by me” e sul secondo, un messaggio che in italiano si traduce con le parole “siamo una cosa sola”. I protagonisti del filmato sono la rock star Jon Bon Jovi, il suo chitarrista Richie Sambora e Andranik Madad, uno dei cantanti iraniani più famosi nel suo paese ma, quasi del tutto sconosciuto qui in Italia.
La scelta della canzone di Ben E. King, la stessa che dal 1961 fa il giro del mondo nelle sue numerose reinterpretazioni, anche in lingua non originale (tra le quali c’è una cover di Adriano Celentano, intitolata “Pregherò”), non è casuale: “Stand by me”, nata sulle note di uno spiritual del 1955, è diventato uno dei brani più rappresentativi di John Lennon – un eroe dalla cultura pop rock e anch’egli, a suo modo, un martire per la pace – ed ha davvero scavalcato i confini culturali e linguistici esaltando una delle caratteristiche primarie della musica, che è quella di connotare un’aurea di universalità ai messaggi che trasporta. Il brano, registrato il 24 giugno in uno studio di registrazione di Los Angeles, circola liberamente nel web ed è un’iniziativa del tutto spontanea, senza scopo di lucro, che segue di pochi giorni quella intrapresa dalla folksinger americana Joan Baez – nota attivista politica che ha combattuto numerose battaglie in difesa dei diritti umani – e che, a distanza di oltre quarant’anni, oggi ripete quel gesto rimasto emblematico nelle pagine della storia dei movimenti pacifisti, reinterpretando “We Shall Overcome” (l’inno delle storica marcia su Washington per i diritti civili del 28 agosto 1963, poi assurto a simbolo delle proteste non violente di Martin Luter King), ma questa volta, viene dedicata al popolo iraniano. La notizia dell’iniziativa, nel corso di poche settimane, ha già fatto il giro del mondo e interessato la stampa internazionale. Da quel momento, molte canzoni-simbolo della difesa del diritto alla libertà e alla pace vengono dedicate al popolo iraniano o assumono un nuovo significato associandosi al ricordo degli ultimi tragici eventi. E tra di esse, c’è anche il nostro inno partigiano più famoso: “Bella Ciao”, cantato in Italiano da degli iraniani, in un video su youtube, con i sottotitoli in farsi e in inglese, che commenta le immagini degli scontri e mostra le foto di Neda, la ragazza barbaramente uccisa il 20 giugno e trasformata nella nuova martire di questa tragedia. Internet ha svolto un ruolo fondamentale nelle vicende iraniane degli ultimi mesi riuscendo a far giungere fino a noi la denuncia di un popolo offeso nella propria dignità, violato in quei diritti fondamentali che anche la censura dei media di regime sta cercando di eludere. Alla musica e ai suoi interpreti basta una webcam, una chitarra e un piccolo spazio per ribadire che la libertà, la giustizia e l’uguaglianza morale e civile sono delle prerogative imprescindibili per l’intera umanità, e parlando una sola grande lingua – quella del rispetto per la vita di ogni essere umano – si offrono come cassa di risonanza.

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