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Quando il vaso (di Pandora) trabocca

Ottobre 04
02:00 2007

Facendo una capatina su Internet, m’imbatto in un articolo pubblicato il primo settembre 2007 su un portale della Valtellina molto impegnato e serio, che mena giù botte da orbi contro “questi politici italiani, di destra di centro di sinistra, che si accaparrano case a prezzi di svendita da dove si vede il Colosseo e l’Isola Tiberina, pagandole come una baita in mezzo ai crepacci o come una tenda nel deserto del Gobi”, e specifica l’articolista che ciò lo testimoniano sia il quotidiano Libero che il settimanale L’Espresso, il quale denuncia “L’Italia dei privilegi”. La feroce invettiva contro “i pidocchi politici che cercano casa”, si potrebbe sostanzialmente appoggiare – anche se come causa persa – se non fosse per i toni accesi e brutali e una specie di chiamata alle armi di sapore anarchico usati dall’articolista, il quale non è uno qualunque ma uno che sa quel che dice e che delle battaglie contro le ingiustizie e i soprusi e le millanterie ne ha fatto il suo pane quotidiano, già forse da quando faceva il chierichetto e poi la lotta di classe. Insomma, uno che ancora crede che il mondo volendo si possa cambiare e vorrebbe che ciò lo si capisse. Un articolo che spara una gittata di concime organico contro la corruzione dilagante, e nella foga tracima e non di poco. Un articolo che merita comunque un contraddittorio, per la passione e la rabbia con cui è stato stilato, e dunque dico la mia. Quel primo settembre lì, quello della Invettiva per sdegno e maledizione, avrebbe potuto essere un giorno come tutti gli altri se uno sfogliando L’Espresso e Libero non avesse sgranato gli occhi di fronte a una verità che ci sbatte in faccia ogni giorno da tempo immemorabile. Del resto arriva sempre il momento in cui il vaso trabocca. E l’invettiva sgorga e scorre come piombo fuso. E di filippiche non se ne può più. Cos’è che abbiamo scoperto, negli ultimi tempi? Che la politica è sporca? Che i politicanti ci sguazzano beatamente, dentro la sporcizia? Che destra-sinistra-centro e diverticoli vari “So’ cuggini e fra parenti/ nun se fanno i comprimenti:/ torneranno più cordiali/ li rapporti personali” (da La ninna-nanna de la guerra di Trilussa, ottobre 1914). Cos’è che abbiamo scoperto, in questi ultimi giorni che non fosse stato già denunciato in tutte le lingue in tutte le salse in tutti i modi possibili? “… i ministri puliti/ i buffoni di corte/ ladri di polli/ super pensioni/ ladri di stato e stupratori/ il grasso ventre dei commendatori/ diete politicizzate/ evasori legalizzati/ auto blu/ sangue blu/ cieli blu/ amore blu/ rock and blues/ Eya alalà…” (da Nuntereggae più di Rino Gaetano, ai tempi dell’Italia delle P38 e della strategia della tensione). I pidocchi sono bestie schifose oltre che pericolose, ma si possono facilmente schiacciare – come si è sempre fatto in tempo di guerra, carestia e pestilenza – solo premendo un dito. I pidocchi non possono attecchire ovunque ma su terreno adatto, e se si vuole evitare di ingrassare questi parassiti infestanti occorre prima di tutto ficcarsi dentro una bagnarola piena di acqua bollente e salata e scorticarsi a dovere con un guanto di corda ogni parte del corpo, barba capelli e peli compresi. “Piove governo ladro” non regge più, non ha mai retto. Seppellire – simbolicamente – i Pidocchi di turno, non vuol dire estinguere la specie. E non vuol dire che eliminando di volta in volta i Pidocchi si arrivi a eliminare “i vampiri del male”, quelli che ci si aspetta (paradosso di Zenone) che i “pidocchi” possano fronteggiare. Cominciamo da noi. Io comincio da me. Sulla mia pelle, fra i miei capelli, fra i miei peli, fra le dita delle mie mani e dei miei piedi, fra le pieghe dei miei vestiti e tantomeno sottopelle, nessun Pidocchio potrà mai allignare. E la mia non è antipolitica. Il mio è il rifiuto della politica sporca, alla quale non volterò mai le spalle ma sulla quale punterò sempre tutta la mia attenzione. Perché non si dica di me “non c’era e se c’era dormiva”. E il mio non è populismo, se per populismo s’intende “totale chiusura”. Troppo comodo.

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