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Quel matrimonio scongiurato

Aprile 18
10:05 2014

Erano state due gravidanze anomale, concepite sotto lune crudeli. Non si scherza con le rugiade della fecondità instillate nei canneti la notte di San Giovanni. Con molta probabilità, i rispettivi padri di Adelina e Matteo non s’erano inzuppati abbastanza, in quella guazza dai formidabili poteri spermatici. E i risultati dei rispettivi accoppiamenti erano stati eloquenti sin dalle nascite: due mostriciattoli con seri impedimenti sia nei movimenti che nell’uso della parola e, soprattutto, anomalie nelle funzioni mentali.
Adelina era cresciuta solo nel corpo, anche se presentando un vistoso tic che la costringeva a scuotere spesso il capo, come se percossa da una folgorazione che principiava dalle corde del collo.
Matteo farfugliava sempre una tiritera oscura, si faceva capire a gesti biascicati e tirando le maniche dell’interlocutore. Era curvo sin dalla nascita e il viso sembrava copiato con piglio diabolico da certi dipinti corali di Bosch: naso a patata e bocca che sembrava un becco di rapace.
Ad un certo punto, le rispettive famiglie pensarono bene di farli unire in matrimonio. Ognuna aveva i suoi buoni motivi. Quello principale era di sbarazzarsi di un congiunto imbarazzante. La posta in gioco era alta. Si sarebbe preso fiato, finalmente.
I due candidati al più compromettente dei sacramenti vennero accompagnati in chiesa una mattina presto. Era necessario un primo abboccamento col prete, che aveva chiesto di esaminarli per l’eventuale idoneità al sacro vincolo.
Fece restare fuori, a passeggiare nervosamente sotto le volte a crociera delle canoniche, tutti i parenti. Fece entrare prima Adelina, quindi fu il turno di Matteo. S’intrattenne con ciascuno una decina di minuti.
Dopo venti minuti precisi, il prete fece entrare insieme i due padri. Era una questione da uomini.
Li fece sedere, si alzò in piedi da dietro la scrivania e, guardandoli severamente negli occhi, scandì implacabilmente il verdetto con una calma apparente: “Ognuno prenda il proprio matto e se lo riporti a casa!”.

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