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Rintocchi di campane e polvere di stelle

Gennaio 07
13:55 2014

Seduta in piacevole compagnia intorno a un tavolinetto stile Ottocento ho ascoltato le letture della giovanissima autrice, la quale, piccola, minuta e dall’aspetto fragile e delicato, mi ha stupita invece con una grinta da intrattenitrice di navigata esperienza. Si è seduta su uno sgabellino al centro della sala, sembrava un piccolo uccello variopinto sul ramo di un grande albero: capelli raccolti in una vaporosa nuvola sulla sommità del capo, maglioncino morbido a scivolare sulla spalla, pantaloni informi e scarpe da tennis, così si è presentata al numeroso pubblico Camilla Viscusi. Poi inizia a parlare: una parola dopo l’altra, subito si mette a nudo e racconta la sua complicata e giovane anima nell’affannosa ricerca di un posto nell’immensità dell’universo. Dice di sé: «Scrivo da sempre, scrivo per superare i momenti difficili, per soffocare gli affanni della vita, che lascio poi sul foglio prima bianco. La mia scrittura è influenzata molto dalle letture: io leggo di esoterismo e spiritualità, perché ho bisogno di riconoscere la mia anima fra tante per condividere e superare le innumerevoli paure della vita.» E continua: «Gli uomini sono collegati spesso dagli eventi fortuiti, ma dentro questi eventi c’è sempre qualcosa di più profondo che li unisce e li accomuna. La terra vibra nel condividere la ricerca di noi stessi e le sensazioni diventano percezioni che poi diventano certezze.» Camilla fa una premessa intensa e accorata, mi stupisce subito per la profondità e la diversità della sua anima: in pochi minuti racconta se stessa, i dubbi, le paure e le incertezze, ma anche le certezze, le scoperte, la sua maturità spirituale. Quando poi inizia a leggere la sala ammutolisce e si esalta allo stesso tempo, nel vortice di parole abilmente vestite da uno stile particolarmente ricercato.
«Amica mia, anima bella … siamo due anime unite in un solo incontro …» e poi: «Le maschere nella ricerca del volto di Dio …» e ancora «Io che sono la natura …» un dialogo fra l’uomo e una natura gentile e materna che poi sentendosi in pericolo alza un grido di aiuto: «Uomo sei preda del tempo che non si può fermare …»
Gli intermezzi musicali del maestro Delle Chiaie servono a me, e credo anche agli altri, per tornare nella piacevole realtà del tiepido pomeriggio autunnale. L’autrice tocca argomenti profondi a volte quasi scabrosi, come quello della morte, del suicidio e dice:«Siamo liberi di scegliere il nostro destino, siamo liberi di vivere come di morire: chi sceglie la morte lascia la possibilità a chi resta di vedere la vita con altri occhi. Nella morte si può incontrare la vita e l’odio lascia spazio al perdono.» Pensieri forse troppo profondi che mi turbano un poco, ma poi le letture diventano più leggere, più serene. Camilla racconta la maestosità dell’Orca marina da qualcuno descritta come assassina, ma per lei è solo un animale che segue il suo istinto e vive da sovrana nel suo elemento principe: l’acqua del mare. Poi “presto si fa tardi”, ma decido di restare, voglio ascoltare un’ultima lettura, questa volta è un racconto una storia dal titolo “La cameriera”.
È la storia di una “cameriera per caso” e di uno “scrittore inesistente” e non so perché, mi fa pensare al “cavaliere” di Italo Calvino. Questo “scrittore fantasma” vive soltanto nella mente di una giovane innamorata dei sogni e delle emozioni che scaturiscono dagli oggetti antichi abbandonati fra la polvere in una cantina buia e abbandonata. Immagino la cameriera col volto di Camilla e piacevolmente ascolto la lettura aspettando il finale con un moto di curiosità.
La serata per me finisce lì al termine del racconto, saluto tutti e vado via.
Mi addentro nei vicoli del centro storico e questa atmosfera immobile e antica che respiro nell’aria tiepida fa da contrasto alle parole che ho ancora nella testa: parole che hanno suscitato in me decine di emozioni sottili e brillanti, come polvere di stelle, quelle stelle che dal cielo sopra la locanda mi avevano salutata al primo imbrunire del giorno.

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