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Il ritorno del navigatore non più solitario

Novembre 08
10:57 2016

Il navigatore solitario salpò per la sua Itaca. Attraversò mari e oceani seguendo rotte sconosciute, guidato solo dalla stella polare. S’incagliò e si liberò tante volte, senza fermarsi mai, spinto da un desiderio e da una rabbia d’avventura che lo mordevano come scorpioni velenosi.
La notte disegnava nel cielo nuove costellazioni e di giorno nuove mappature terracquee, imparava a dialogare con i pesci attraverso un linguaggio sonoro, chiedeva al sole di non mandarlo in cenere e alla luna di confortare le sue notti insonni.
Il navigatore solitario si era lasciato alle spalle un tetto, un talamo e una ricca dispensa, una moglie e sei figli, parenti, amici e nemici, i suoi debiti e il suo cane. Eppure sentiva di avere tutto con sé, non gli mancava nulla se non la sua Itaca.
“Giorno verrà che ti troverò, mia terra promessa, e giuro che nessun altro metterà i piedi sul tuo suolo, dopo che ti avrò conquistata”.
E naviga e naviga e naviga, tra canti di sirene e malìe di maghe, il navigatore solitario una mattina all’alba, ancora con i fumi nella testa dell’ultimo gin che si era scolato piangendo la sera avanti, andò a sbattere con la prua della sua imbarcazione nel fondo schiena di Itaca, superba isola a forma di superba femmina, e lì rimase senza poter fare né avanti né indietro.
“Occhei, occhei”, disse il navigatore, solitario e mezzo ubriaco. “Vuoi fare la dura, Itaca mia, ma con me non la spunti: renditi conto che sono stato io a venirmi a incastrare fra i tuoi scogli e non sei stata tu ad accalappiarmi, e tutto sarà più facile tra noi”.
Itaca rise, e con le sue chiome rosse e blu sparse nel mare, con le sue mille bocche offerte al vento, intonò la canzone dell’amor fedele e il navigatore rabbrividì al pensiero che mai più sarebbe stato solitario.
Con una disperata virata di poppa il navigatore riprese la via di casa agognando già le caserecce gioie, e sebbene ancora lontano miglia e miglia dalla terra natia e dalla sua povera ma confortevole dimora, con tanto di talamo e dispensa e famiglia, gridando “Arrivo sposa mia diletta, prepara la gallina grassa” prese a buttare il suo sogno a mare, la sua Itaca fatta a pezzi e sparsa a piene mani come mangime per i pesci.

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