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Tasse: chi è costui?

Dicembre 04
02:00 2006

Devo ammettere, non è con piacere che si versa l’obolo fiscale. Così come non è piacevole dover ricorrere ad artifizi per far quadrare i conti. Una società, per essere tale ed in linee generali, ha la necessità di attivare iniziative, strutture, organismi o quanto altro per garantire servizi ai cittadini. Ogni società gestisce i propri mezzi per ottenere una condizione equa di diritti e doveri dei cittadini, evitando, possibilmente, scontri sociali e disuguaglianze che porterebbero la società ad uno stress di vita. Tutto questo ha dei costi, dove tutti gli individui in modo proporzionale, nei contesti umani con equità e rispetto, contribuiscono all’attuazione ed al mantenimento dell’intero contesto sociale. In parole povere si tassano per il raggiungimento dello scopo della società. Certamente il discorso e molto più complesso, considerando del che, del come e del chi e, se non fosse sufficiente, anche del perché di tutto questo. La società è estremamente complessa e articolata e, soltanto un rispetto civico, l’accettazione della diversità ci può indirizzare verso una pax sociale. La ragioneria non è mai stato il mio forte, così come il rapporto con la contabilità. Vorrei, comunque, provare un classico ‘conto della serva’. Se si prende in considerazione una spesa sociale di 10 da suddividere in 10 contesti, facilmente penso ad un costo di 1 o, eventualmente, variabile in proporzione. Se due o più contesti, incivilmente, decidono di evadere o bluffare, la spesa dei 10 aumenta di valore riguardo alla disonestà degli individui. Chiaramente il raggiungimento dello scopo grava sui cittadini onesti. Questa, credo, la semplificazione di un complesso sistema fiscale. A parer mio, ritengo importante un altro elemento della tassazione, oltre, naturalmente, la lotta all’evasione. La domanda è: di che cosa la società dispone in cambio della tassazione? I servizi elargiti devono compensare le necessità sociali, per tutti quegli indirizzi necessari al funzionamento ed allo sviluppo sociale (strade, case, scuole, ospedali etc.). Se, come accade, ogni necessità diventa un costo per l’individuo, i conti non tornano. La disonestà sembra essere un elemento del DNA umano, se proprio non si riesce sconfiggerla allora è bene tentare almeno di ridurne l’impatto. L’evasore, il non lavoratore, l’imboscato, l’arroganza, non vanno considerati un atto di furbizia, bensì additati come ‘reato ai danni della società’. Fin da ragazzo non ho sentito che parlare di debito pubblico, di quanto ogni nascituro doveva all’erario al suo primo vagito. Si diventa nonni, ed il debito non solo non si estingue, ma addirittura aumenta: non solo per i nipoti, ma anche per i nonni. Forse sarebbe opportuno che qualcuno sviluppasse un piano di risanamento, così che almeno il pronipote avesse un inizio senza cambiali da pagare. Tutto semplice nelle parole, ma nei fatti, chi paga? Vorrei evitare discorsi di classe, perché complessi e corporativi, rivolti alla difesa d’interessi che vanno oltre le necessità umane, ingiustificabili anche solo sotto il profilo di sicurezza economica. Inconciliabile con i dettami religiosi della Cristianità e di tutte le altre confessioni, nonostante lo stretto contatto tra utile, ricchezza e religiosità. Questo per evidenziare che è giusto contribuire allo scopo sociale, ma perché con ciò che mi appartiene! Forse sarebbe necessario acquisire una coscienza sociale, dell’insieme che si muove in un’unica direzione. Comprendere che il mio benessere è soggetto al contesto sociale a cui appartengo. Sviluppare un rispetto sociale al di là degli indirizzi individuali. In parole povere costruire una società. Questa la soddisfazione di Cavour dopo circa 150 anni. Spesso (per non dire sempre) prendiamo gli U.S.A. come baluardo del nostro indirizzo, con estrema facilità parliamo di ricchezza e libertà, dimenticando che non sono solo parole o nostri interessi. In quella terra, un certo Al Capone, colpevole di numerosi omicidi e stragi, l’unica condanna che lo portò nelle galere fu una denuncia per ‘evasione fiscale’. Forse dovremmo pensarci.

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