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Un Governo a….mezzo servizio

Marzo 26
07:24 2012

Che l’Italia sia un “popolo di inventori, poeti e navigatori” è scolpito sui muri. Che funzionasse part time lo scopriamo adesso. Che sia proprio qui, in questo particolare ignorato dal tempo, il problema della nazione Italia? Un Governo (se pur tecnico, sempre Governo è) non deve governare. Ha il compito di risolvere la contabilità italiana (le operazioni sporche, impopolari), lasciando gli interessi della nazione nella mano di quei politici che da sempre mirano agli interessi di partito o privati.
Il segretario del PDL Alfano diserta il summit di sostegno al Governo dichiarando:

«il Governo ha il mandato per la risoluzione dei conti economici, non discutiamo di giustizia e RAI» (ogni lettore faccia la sua riflessione se vi sono giochi di parte). Il ministro Riccardi (in un dialogo strettamente privato) dice che questi atteggiamenti politici «gli fanno schifo». Il PDL si solleva, firma dimissioni per il ministro, i parlamentari si indignano per l’uso della parola “schifo”. Dov’erano e dove sono, quando Bossi sparla dell’Italia, del Presidente della Repubblica, di minaccia di morte al Presidente del Consiglio, delle follie leghiste dei fucili, di uno pseudo parlamento del nord (riunioni buone per una polentata tra amici), di ministeri distaccati, di gesti e volgarità appartenenti a vecchie periferie depresse cittadine, solo che a dirle era un ministro dello Stato, un fedele alleato di Berlusconi. Certo, lui lo definiva un linguaggio colorito, folcloristico. Lui usava altri termini, chi non lo votava era un coglione, un deficiente, stima molto gli Italiani.

La paura dei politici è che questo Governo metta mano agli inciuci di vecchio stampo di partito, individuando problematiche irrisolte di prima e seconda Repubblica. Una RAI fuori dalla lottizzazione dei partiti, una legge anti corruzione efficace, una forte lotta all’evasione fiscale, liberalizzazioni che rendano il mercato concorrenziale e non raggruppato in lobby, un’asta per l’acquisizione delle frequenze televisive (regalo del vecchio Governo per RAI e Mediaset), riduzione dei costi della politica eliminando enti ed amministrazioni inutili e l’immenso parco di auto blu, alla messa in atto di un tetto massimo retributivo per i dirigenti pubblici (fatte salve le solite scappatoie all’italiana). Molti altri sono i problemi, ad iniziare dalla legge elettorale alla riduzione dei parlamentari, queste operazioni sono di stretta riserva del parlamento e di conseguenza ostaggio dei partiti.

Assopite le schermaglie televisive di maggioranza ed opposizione, ci si ritrova nello stesso barcone da dover portare a riva. Ormai apparire in TV serve per mantenere la scena del palco, tutti parlano inutilmente di rappresentanza dei cittadini, di ciò che si deve fare (che loro per decenni non hanno fatto), della necessità di rinnovamento della classe politica, spiegata dalle stesse persone che da oltre venti anni sono in scena e che hanno portato la nazione allo stato attuale.

I problemi che la politica non ha affrontato trovano nella riforma del lavoro un tavolo infocato. Nel complesso tutte le parti, partiti compresi, ritengono valida, a vario titolo, l’impostazione generale della proposta di legge, neo indelebile l’articolo 18 nella sua esposizione sui licenziamenti di tipo economici. È difficile capire che agevolare l’uscita dal lavoro sia il nodo per attivare investimenti e nuovi posti di lavoro. Per una persona che esce, un’altra può entrare, salvo il fattore economico dove uno specializzato a costo 10, viene sostituito da 2 lavoratori generici a costo 5. Condizione complessa, con perdita di specializzazione (perdita di qualità) e raddoppio di produzione. Diversamente si presenta l’ammodernamento di un’azienda, dove macchinari possono sostituire l’operato di più persone, in questo caso lo sviluppo tecnologico richiede un minor utilizzo di manodopera. Vi è un’altra considerazione legata al fattore economico. Inserire giovani viene premiato dallo Stato, quindi economicamente vantaggioso per un’azienda che, o amplia la produzione oppure è costretta a licenziare operai più anziani e quindi più onerosi. Dice il Presidente Napolitano che non crede ad un licenziamento di massa, prendiamolo per buono, considerando però come i nostri imprenditori hanno utilizzato la riforma Biagi creando (nel tempo) di fatto il lavoro precario. In quanto tempo con piccoli licenziamenti o sostituzioni saremo in grado di ribaltare la disoccupazione giovanile in disoccupazione della mezza età?

Altro concetto poco chiaro ce lo presenta la ministra Fornero, «le modifiche dell’articolo 18 sono poca cosa, solo tre righe». Alla ministra sfugge che anche i pilastri di una palazzina, nei confronti della struttura, sono poca cosa visiva, ma di importanza fondamentale, eliminarne uno o ridurne le dimensioni per acquisire spazi, può significare il crollo. Il Governo è tecnico, ma ha forse dimenticato che abbiamo il più alto costo del lavoro, i tempi più lunghi per risoluzioni giudiziarie di contenzioso del lavor e la burocrazia più elevata per le autorizzazioni nelle attività produttive? Che dipendesse da ciò la fuga dei capitali?

Il neo eletto alla guida della Confindustria dice che l’articolo 18 non è un problema; i Vescovi si pronunciano: «Il lavoratore non è una merce e non lo si può trattare come un prodotto da dismettere, da eliminare per motivi di bilancio come fosse un invenduto in magazzino.» Che siano loro la nuova ideologia post-comunista?

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