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Storia, mistero, profezia: sono queste le tre categorie, intimamente bibliche, ma proprio per questo radicalmente attuali, di cui il cardinale Carlo Maria Martini, già rettore del Pontificio Istituto Biblico e per lunghi anni arcivescovo di Milano, si serve per rileggere il suo rapporto con Gerusalemme, città in cui, terminato il suo ministero episcopale, ha scelto di vivere e dove desidera essere sepolto. La sua è una rilettura esegetica, attenta alla molteplicità di registri in cui, nella stessa dimensione biblica, questa città si lascia cogliere. Antinomie forti, tra la pace prefigurata nella Gerusalemme celeste, e le tempeste di quella terrena, sintetizzabili già nel titolo del lavoro che presentiamo “Verso Gerusalemme” in cui la prima parola del titolo, come raramente accade in un testo, dice già tutto. “Verso” individua come nucleo fondamentale dell’esperienza di fede, (ma anche di quella umana in genere) un tendere, già sempre inappagato, di tutta una vita; parla poi di una apertura fondamentale all’alterità, alle altre fedi (ebraismo ed islam) ma anche al mondo dell’ateismo e della non credenza, che rappresenta uno dei tratti peculiari del ministero del gesuita piemontese; allude, infine, alla dicotomia, anche questa intimamente biblica, tra città e deserto, esilio e cammino, in cui ogni uomo è perennemente vocato a seminare, entro le contraddizioni dell’umano, i germi della città di Dio. È proprio da queste città bibliche che occorre partire: da questa Gerusalemme che funge, anche per quella storica di oggi, da “ideale regolativo” con tutte quelle caratteristiche, ad iniziare dalla saldezza, che per l’uomo biblico sono simbolo di stabilità ideale, però non inteso come utopia, fuga dal reale, ma quale atteggiamento di fiducia in Dio, tipico di Abramo che per Lui lasciò tutto e partì senza sapere dove andava. Per costruire una simile città occorre secondo Martini lasciar essere alcuni spazi che il presule individua con immagini assai emblematiche: spazi di silenzio, come ad esempio il Duomo di Milano che con le radici ben piantate sulla terra allude ad un oltre; spazi di dialogo, come la piazza, in cui ciascuno si confronta con l’altro, lo arricchisce e ne è arricchito; spazi di relazione, simboleggiati dalle vie percorribili in ogni senso, che costituiscono una rete di amicizia, capace di raggiungere persone con opinioni anche assai distanti dalle proprie.
Il testo raccoglie alcuni interventi dell’autore che possono essere ricondotti a quattro nuclei tematici fondamentali: il primo presenta il cammino verso Gerusalemme come pellegrinaggio alle radici della fede (radici ebraiche che la fede cristiana ha spesso obliato nel corso della storia); il secondo allude alla duplicità di Gerusalemme tra storia e profezia ed al suo palesarsi nella rivelazione biblica; nel terzo si mette a tema, sviluppando ed approfondendo alcune suggestioni interpretative affiorate nel nucleo precedente, la relazione attuale tra ebraismo e cristianesimo, cercando di trasferire nella concreta prassi pastorale quanto si è elaborato dal punto di vista dell’ermeneutica biblica, senza però tacere i punti di frizione e di dissidio; nell’ultimo viene fondata biblicamente la speranza di pace per Gerusalemme.
Una Gerusalemme come fermento di una umanità nuova, che ciascuno di noi può iniziare a costruire su questa terra, in questo mondo. Già in questo mondo, infatti pur con tutte le sue guerre e lacerazioni, la Gerusalemme storica è spinta proprio dalla simbolicità che abbiamo appena evocato, ad andare oltre se stessa, verso quella celeste. Un andare che attrae l’umanità intera.