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A sangue caldo, a mente fredda

A sangue caldo, a mente fredda
Gennaio 26
23:00 2015

Disegno di Elisa TalentinoLa data del 25 novembre, ‘Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne’, indetta dall’Onu nel 1999, è passata con poco rilievo mediatico, in linea con l’indole nostrana, più avvezza alle ‘feste’ che non agli impegni puntuali o di programma. Continuano però le violenze contro la persona femminile, perpetrate in forme cruente e appariscenti, o nascoste e sottili, da maniaci ‘occasionali’ e, più spesso, da chi ha un rapporto stabile o ‘instabile’ con tali persone.

Ma non sono infrequenti, anche se circoscritte e per così dire specifiche, le violenze commesse da donne, soprattutto nei confronti di minori. In altre occasioni, per cercare una qualche chiave di interpretazione, in particolare della violenza contro la donna, abbiamo spesso fatto riferimento ad archetipi e stereotipi, e al gioco-giogo dei ‘ruoli’. Abbiamo anche parlato della diversa struttura psicologica della persona-donna e della persona-uomo. Si scopre, nella realtà e in controtendenza al comune dire, che la donna, che trova nel suo essere generatrice una sorta di pathos divino, ha un atteggiamento psicologico più robusto ed elastico, che le permette di affrontare-ammortizzare meglio le avversità della vita. La forma mentale maschile, nella media, è spesso elementare e schematica, poco in grado di reggere allo stress di ostacoli improvvisi e ‘fuori ruolo’. La risposta è inconsulta e dunque violenta.
Per converso, la violenza femminile, come emergerebbe da alcuni casi recenti o datati, sembra muoversi in un disegno, criminale sì, ma a suo modo lucido. In questa sede vorremmo tentare un’analisi che accomuni le due violenze nel segno della debolezza, ma con due piani, il debole che subisce violenza e il debole che attua violenza, e due letture diverse, una storico-antropologica e una attuale-sociologica.
È di tutta evidenza che la violenza ha come bersaglio la persona più debole o tale considerata, come fosse un minus, qualcosa di inferiore di cui disporre con ‘diritto’ o più facilità. Le ragioni culturali (antropologiche) sono evidenti e qualche volta sono state ‘accresciute’ in negativo da norme di diritto inopinatamente regressive. Sorprende, per esempio, constatare che il Codice (penale) Rocco, del 1930, ha peggiorato, nella percezione psicologica, le previsioni del Codice Zanardelli, del 1889: mentre in questo era prevista (art. 377) una attenuante in caso di «flagrante adulterio» al grave reato (artt. 364 e 365) di omicidio, il codice successivo, con l’articolo 587, ha dato dignità a sé stante al delitto d’onore. Solo nel 1981 verrà cancellata questa norma, ma nel muro della mente maschile l’incrostazione, magari inconscia, si percepisce ancora.
C’è poi l’aspetto della ‘debolezza’ di chi attua la violenza, sia esso di genere maschile o femminile, marito, madre o in altra relazione con la vittima. Alle forme ‘classiche’ di labilità mentale (per vessazioni infantili subite, condizioni di particolare degrado socio-culturale, depressione maggiore o post partum…) se ne aggiungono altre indotte dalle contingenze economiche o dall’uso e abuso, comunque distorti, della comunicazione. Ecco i casi del genitore disoccupato che stermina la famiglia o di quelli nati ‘semplicemente’ dalla coazione a ripetere, gratificati dai ‘mi piace’ dei social network, tanto più orrendi quanto più sembrano rientrare nella consuetudine normale. Per non parlare del virus di violenza che i mass media diffondono giornalmente, per un verso parzialmente giustificati dalla funzione informativa e per altro con comportamenti colpevolmente mirati a sfruttare, al fine di incrementare l’ascolto, la morbosità degli utenti cloroformizzati.
Se tante e tali sono le sfaccettature del problema, è difficile prevedere, a caldo o raziocinando, che le soluzioni siano dietro l’angolo, anche perché girando un po’ intorno lo sguardo si incrociano mille altri problemi di natura etica ed economica, che sono anch’essi ogni giorno sul tavolo o almeno alla percezione di tutti. Un calderone ribollente che è sempre là per esplodere. Se è vero che è il Cuoco che deve regolarlo, intanto potremmo cominciare noi, ognuno di noi, a spegnere qualche piccola nostra fiammella… per agevolare la gestione del calderone nel quale nuotiamo, qualche volta ‘nascosti’ e cercando di non scottarci.

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