Dal libro di Mirco Buffi – “Momenti Monticiani” edito dall’Associazione Culturale Photo Club Controluce
«Alfredo Michetti nasce a Monte Compatri nel 1919, muore a Velletri il 16 febbraio 1993 alle ore 23.50. Sensibile fin da ragazzo al fascino delle arti (poesia e pittura), ad esse si dedica rubando tempo allo studio. Frequenta il ginnasio a Villa Sora, il liceo classico al Pontificio Collegio Leoniano di Anagni. È grande cultore di lingue classiche, latino e greco. Si iscrive nel 1936 alla facoltà di giurisprudenza, ma non consegue la laurea. Durante la guerra si iscrive al Partito d’Azione (Comitato di Liberazione Nazionale). Dopo anni di attività commerciale partecipa per la prima volta alle elezioni comunali di Monte Compatri nel 1964. Viene eletto e nominato capogruppo consigliere di opposizione (Partito Comunista) che rappresenta con competenza. Costretto a dimettersi da consigliere nel 1975 “Per pressioni di alcuni arrivisti del partito a cui facevo ombra”. Le dimissioni sono respinte dai partiti di maggioranza (DC PRI PSI) ma accettate in prima istanza dal Partito Comunista.
Amico di Carlo Levi, di Nando Di Biagio della rivista Castelli Romani e intimo di Amilcare Pettinelli di Fontanelle Romane. Il soprannome di CANTACHIARO deriva dalla testata di una rivista di satira politica romana dei primi del 1900. Nel corso degli anni, la sua spiccata professionalità di artista lo porta ad esprimersi, in particolare, nella poesia, nella pittura e nella grafica a china. Dalla sua produzione di oltre 800 poesie e di un centinaio di opere grafico-pittoriche emergono prepotentemente sia la sua sensibilità nei confronti del mondo che lo circonda che la chiarezza da lui sempre usata nei rapporti con le altre persone. Per circa 10 anni collabora con la Conca e con il Photo Club Controluce. Partecipa a mostre raccogliendo elogi e gratificazioni».
Questa è la storia di Alfredo Michetti così come appare su Poesie Amare, una raccolta dei suoi più appassionati e sensibili sentimenti, curata e pubblicata dal Photo Club Controluce nel 1993, due mesi dopo la sua scomparsa. L’Associazione Culturale avrebbe voluto pubblicare la raccolta – e la stava preparando già da tempo nella persona dell’allora presidente Stefano Carli – quando il povero Michetti era ancora in vita; avrebbe dovuto essere un piccolo ma sincero riconoscimento a questo poeta il cui sentimento certo non si ferma a Monte Compatri, ma si accoccola dolcemente nei cuori più sensibili, quelli che per patria universale hanno la mitezza d’animo. E mite era la sua anima, forse non tanto in gioventù, quando l’impeto degli anni verdi lo videro impegnato in politica, quanto in vecchiaia, dopo che la vita lo aveva brutalmente bastonato: la stessa politica prima, tristi vicissitudini familiari dopo e la morte prematura dell’adorata moglie, in conclusione, lo portano a rifiutare questo mondo ingrato, venale, abbrutito dagli interessi personali. La morte della sua compagna è la freccia che lo centra e sconquassa il suo petto.
Michetti cambia, non è più lo stesso, piano piano si lascia andare, si abbandona al vino e rinasce, fino a trovare quella forza travolgente che gli permette di scrivere i versi più belli della sua selvaggia vita.
I suoi amici, i suoi compaesani tutti però non lo abbandonano. Capiscono il suo dolore, ridono delle sue stramberie ma lo rispettano e lo stimano, per non dire amano… è un uomo da rispettare, da stimare!
Non è per deriderlo che voglio raccontare un paio di fatti di cui sono stato testimone, ma unicamente per far capire quanto fosse benvoluto, ed entrambi hanno a che fare con gli automobilisti, universalmente insofferenti ad ogni intralcio sul loro cammino.
Pur se settantenne e sbronzatello per buona parte della giornata, il nostro amico ancora guidava; aveva una vecchia cinquecento, in verità più di là che di qua, ammaccata che più non si può; la sua velocità di crociera – l’unica che portava – si aggirava intorno ai 15-20 chilometri orari con frequenti puntate ai 10. Un giorno, mentre rientravo a Monte Compatri da Monte Porzio Catone, me lo trovai davanti; tra me e lui c’erano tre-quattro macchine, così, conoscendolo, mi accodai tranquillamente; tentare di sorpassarlo tra quelle curve e controcurve significava mettere troppo a repentaglio la propria vita: aveva sicuramente la ciucca. E quando l’aveva vagava per la carreggiata, ora di qua, ora di là dalla mezzeria della strada, all’improvviso. No, troppo pericoloso sorpassarlo. L’unica cosa da fare, ripeto, era quella di mettersi dietro di lui. Impiegai un quarto d’ora per percorrere due chilometri e mezzo, come tutti gli altri che gli stavano dietro, ma era Michetti, Cantachiaro, pazienza, guai a chi lo tocca.
Un’altra volta mi trovai dietro a Michetti su via Placido Martini, dovevo imboccare la Callarella, una salita breve ma molto ripida, che anche le auto di grossa cilindrata devono percorrere di prima. Quando me lo trovai davanti pensai tra me e me: «Aritanghete». E così infatti fu. Imboccata l’erta, Cantachiaro salì per pochi metri e poi, improvvisamente, tornò indietro, a sobbalzi, effetto della prima marcia ingranata. Nel frattempo, tutti noi automobilisti che gli venivamo dietro (per fortuna non c’erano forestieri), avevamo fermato le nostre macchine a distanza di sicurezza ed eravamo scesi, pronti a bloccare la sganganata cinquecento, ben sapendo che molto probabilmente sarebbe accaduto.
Salvate le auto parcheggiate, tentammo di svegliarlo:
«Miche’… oh… Miche’! Niente da fa’ a rega’! È ‘mbriaco fracico, s’è ‘ddormito, ppoggemolo là che nun dà fastidio, chissà quanno se resveja!?»
Addio Alfredo, parleremo di te ancora per tanti anni, leggeremo le tue poesie, dentro di noi non sei morto veramente.