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AVELIG LA DONNA DEL SILENZIO

AVELIG LA DONNA DEL SILENZIO
Ottobre 21
14:51 2025

Torna con un nuovo romanzo, “Avelig la donna del silenzio”, (La Caravella Editrice), Flavio Lucibello, apprezzato scrittore locale ma ben affermatosi a livello nazionale.
Una scrittura importante, la sua, con tempi anch’essi importanti e di attualità. Legati soprattutto all’ambiente, alla divulgazione scientifica ed all’impegno civile. Questa volta la sua penna si cimentca con l’amore, il mare, la memoria ed il mito. Intrecciando in una danza perfetta più voci narranti. Ed è nella Bretagna con/senza tempo o spazio che si svolge la vicenda umana dei suoi nuovi protagonisti. Una terra dove è difficile, a volte, discernere ciò che reale è o non lo è. Il tutto accompagnato dal Silenzio che poi silenzioso non risulta alla lettura, ma che ammanta le pagine di una evanescenza preziosa. Un romanzo viaggiante e di viaggiatori della vita e della sua clessidra… Ancora una volta, sempre come ospite più che gradito di Controluce, ne parliamo con l’autore.

1. Il Silenzio è il filo rosso che unisce in maniera diversa i personaggi del libro, il mare nel
suo cosmo titanico primordiale, la scrittura, il libro come oggetto è soggetto?

Il Silenzio è davvero il filo invisibile che tiene insieme tutto: i personaggi, il mare, la scrittura
stessa. In Avelig, la donna del silenzio il silenzio non è assenza di parola, ma una forma diversa di
presenza. È un linguaggio primordiale, che precede la voce e la parola scritta, e che permette ai
personaggi di entrare in contatto con la parte più profonda di sé e del mondo.
Il mare, con la sua immensità e il suo mistero, rappresenta la dimensione cosmica di questo
silenzio: un luogo in cui tutto ha origine e tutto ritorna, dove la voce umana si perde e al tempo
stesso si ritrova. La scrittura nasce proprio da lì, dal bisogno di dare corpo a ciò che il silenzio
contiene.
Il libro, in questo senso, non è soltanto un oggetto ma un soggetto vivo: un testimone, un custode, e
insieme un rivelatore. È il tramite attraverso cui il silenzio si fa parola, memoria, destino.
Eppure, credo che il silenzio in senso assoluto non esista. Ogni silenzio è pieno: dei suoni della
natura, del fruscio delle foglie, del ritmo della risacca, del respiro del mondo. Anche il silenzio più
profondo è abitato dai nostri pensieri, dalle voci interiori che continuano a parlarci. È da
quell’ascolto sottile che nasce la scrittura, come tentativo di dare forma a ciò che vive sotto la
superficie del rumore e della parola.
Per inciso: Avelig è un nome di donna Bretone che significa “La donna del silenzio”

2. Perché questo nuovo libro?

Per una necessità interiore, più che da un progetto letterario. Sentivo il bisogno di raccontare una
storia che avesse al centro la fragilità e la forza del silenzio, la capacità di resistere e di rinascere
che spesso si cela nelle vite più invisibili.
Il libro è nato dal desiderio di dare voce a chi voce non ha, di esplorare quel confine sottile tra
parola e ascolto, tra presenza e assenza. Avelig incarna questo spazio di soglia: è una donna che
attraverso il silenzio comunica più di quanto le parole potrebbero dire.
Ho scritto questo libro anche per interrogarmi sul senso della parola e della scrittura oggi — in un
tempo in cui tutto viene detto, mostrato, gridato. Mi interessava tornare all’origine, a un linguaggio
più essenziale, dove ogni gesto, ogni sguardo, ogni suono del mare diventa parola.
L’idea nacque anni fa, durante una passeggiata sul molo di un piccolo porto nel nord Europa. Era
una giornata di vento, il mare sbatteva con forza contro il muro frangiflutti, e su una targa lessi una
poesia scritta da una donna che aveva perso il suo uomo in mare. Quelle parole, immerse nel
rumore del vento e delle onde, mi arrivarono come dentro un silenzio assoluto. In quel momento ho
percepito tutta la potenza del dolore, della memoria e della parola che nasce dal silenzio. Forse
Avelig è nata lì, da quella voce lontana e da quel silenzio che conteneva tutto.

3. come interpreti il rapporto uomo, donna nella sua totalità e diversità?

Il rapporto tra uomo e donna, per me è un dialogo costante tra due forze originarie. Non è un
rapporto di opposizione, ma di risonanza. L’uomo e la donna portano ciascuno una propria visione
del mondo, un proprio linguaggio interiore — e solo quando questi linguaggi riescono ad ascoltarsi
davvero nasce qualcosa di autentico.
Nel romanzo questo rapporto prende forma soprattutto attraverso due figure: Édouard e Céline.
Attraverso di loro ho cercato di raccontare le differenze, i limiti, i conflitti e le speranze che un
legame tra uomo e donna inevitabilmente contiene. Sono due esseri che si cercano e si sfiorano, che
tentano di comprendersi pur restando ciascuno prigioniero del proprio silenzio e delle proprie ferite.
La loro relazione non è ideale né perfetta, ma profondamente umana. In essa c’è la distanza e la
nostalgia, il bisogno di comunicare e l’impossibilità di farlo pienamente. Credo che nella tensione
tra queste due dimensioni — la separazione e l’incontro — nasca davvero l’essenza del rapporto
uomo-donna: un mistero che non si risolve, ma che continua a generare domande, emozioni e, forse,
anche la scrittura stessa.

4. Il mito e la realtà ancora possono esistere e sussistere nella loro singolarità e totalità?

Credo che mito e realtà non siano dimensioni separate, ma due piani che continuano a intrecciarsi.
Il mito è la forma originaria con cui l’uomo ha cercato di dare senso al mondo, e la realtà — anche
quella più quotidiana — continua a portarne le tracce, come un’eco antica che riaffiora sotto la
superficie delle cose.
In Avelig, la donna del silenzio il mito non è evocato come un racconto del passato, ma come una
presenza viva, che si manifesta nei gesti, nei luoghi, nei simboli. Avelig stessa vive dentro una
dimensione quasi archetipica: è donna, è mare, è memoria. In lei la realtà si apre a qualcosa di più
grande, a una verità che non appartiene solo alla storia ma all’essere umano in quanto tale.
Nella mia vita mi sono occupato di scienza e di tecnologia, e questo ha comportato un rapporto
molto razionale con la realtà. Ma proprio i confini della scienza — che più si espandono, più
rivelano quanto sia limitato il nostro sapere — aprono lo spazio dell’interrogazione, dell’enigma.
Da sempre l’uomo, di fronte a ciò che non comprende, ha cercato risposte attraverso la fantasia,
creando miti, religioni, filosofie.
Questa esigenza di dare un senso anche a ciò che sfugge alla ragione è profondamente umana, e
appartiene anche al più razionale degli uomini. Forse è proprio lì che mito e realtà continuano a
convivere: nel bisogno di cercare significati, di raccontare il mondo anche quando non possiamo
spiegarlo fino in fondo.

5. Quando il viaggio interiore diventa dimensione esteriore?

Penso che il viaggio interiore diventi dimensione esteriore nel momento in cui ciò che accade
dentro di noi trova un riflesso nel mondo che ci circonda. Ogni trasformazione interiore ha bisogno
di una forma, di un paesaggio, di un gesto che la renda visibile.
In Avelig, la donna del silenzio, il mare rappresenta proprio questo passaggio: è lo spazio in cui il
mondo interiore dei personaggi si proietta all’esterno. Ogni onda, ogni approdo, ogni perdita
diventa la traduzione concreta di un moto dell’anima. Il mare è viaggio fisico, ma anche specchio
del cambiamento interiore, luogo in cui si affrontano le paure, si accettano i limiti e si scopre una
nuova consapevolezza di sé.
Personalmente, credo che il viaggio interiore trovi la sua forma compiuta nei luoghi che amo: la
montagna, le foreste, il mare, le scogliere battute dal vento, i grandi spazi aperti. Sono luoghi che
mi restituiscono un senso di appartenenza, come se ciò che ho dentro, in quei momenti, trovasse
finalmente la sua espressione nel mondo. Quando sono in quei paesaggi sento che il mio silenzio
interiore dialoga con quello della natura — e che ciò che cercavo dentro di me si sta realizzando
fuori.
Forse è proprio questo, alla fine, il senso del viaggio: riconoscere nel mondo il riflesso del nostro
cammino interiore, e sentirsi, anche solo per un attimo, esattamente al proprio posto.

6. Quale il brano del libro che più ti ha incantato nella sua stesura?

Il brano che più mi ha coinvolto emotivamente nella stesura è quello in cui, accanto alla zattera di
salvataggio dei naufraghi, emerge il capodoglio. In quel momento, quando Dagan sfiora con la
mano la pelle dell’animale, ho sentito che la scrittura stava toccando qualcosa di profondo, qualcosa
che appartiene a tutti noi.
Quel contatto fisico tra l’uomo e il grande cetaceo rappresenta l’incontro tra due mondi che si erano
allontanati: quello umano e quello naturale. È il momento in cui la distanza si annulla e l’essere
umano riscopre il legame ancestrale con ciò che lo circonda, con la vita che pulsa oltre la sua
specie.
Scrivere quella scena è stato come rivivere esperienze personali che porto dentro: l’incontro con
una balenottera grigia e il suo piccolo che passarono sotto la mia barca, o quello con i delfini che
giocano tra le onde di prua. Sono momenti di grazia, in cui ci si sente parte di qualcosa di più
grande, in cui il tempo si ferma e l’anima riconosce la propria origine.
Quella scena mi ha incantato perché racchiude tutto questo: la meraviglia, il rispetto, la nostalgia di
un contatto perduto. È forse uno dei pochi momenti in cui l’uomo, anche se per un attimo, torna ad
appartenere alla natura, e non a dominarla.

7. Progetti in cantiere?

Ho appena terminato un libro di racconti per ragazzi, nato con l’intento di avvicinarli alla natura e
di educare, in modo semplice e coinvolgente, al rispetto e alla curiosità verso di essa. È un libro
arricchito da molte illustrazioni, pensate per accompagnare i giovani lettori in questo viaggio di
scoperta. Non so ancora se troverà una casa editrice interessata a pubblicarlo, ma, nella peggiore
delle ipotesi, potrei scegliere la via dell’autopubblicazione — in passato, in alcuni casi, ha
funzionato bene. Nella peggiore delle ipotesi lo leggeranno i miei nipoti, se e quando ci saranno.
In questo periodo, approfittando dell’immobilità forzata dovuta a un incidente in montagna, sto
cercando di terminare il terzo libro dedicato a Vladimiro. Credo sarà l’ultimo in cui racconterò di
lui, anche se non ne sono del tutto certo: Vladimiro è, in fondo, una parte di me, una sorta di alter
ego. Vedremo cosa accadrà mentre continuo a percorrere, insieme a lui, il sentiero della nostra vita.

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