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Capire o sentire?

Maggio 01
02:00 2007

Non si tratta di una forzata variante del famoso dilemma shakespeariano “essere o non essere”, bensì dei due possibili antitetici modi di porsi dell’uomo nei confronti dell’arte. Spesso mi è capitato d’incontrare persone che poste di fronte a un quadro o una scultura, oppure ascoltando un’opera lirica o un brano di musica sinfonica, attribuivano la colpa della loro incapacità di apprezzare quell’opera alla mancanza di un’adeguata ‘preparazione’ che consentisse loro di ‘capirla’.
Ma un’opera d’arte ha veramente bisogno di essere capita? Io penso proprio di no, anzi propendo per l’opposto: si deve soltanto ‘sentirla’. Si deve capire la matematica, la filosofia, la fisica, la chimica, l’astronomia e qualunque altra scienza, ma non l’arte, in qualunque sua manifestazione! E’ necessario conoscere la tecnica musicale per amare la musica, o quella pittorica per provare emozione di fronte a un quadro di un grande pittore, o quella scultorea per rimanere estasiati di fronte ai sentimenti che emanano dalla Pietà di Michelangelo? L’arte, in qualunque sua forma, è tale se riesce a comunicare qualcosa senza condizioni. Un quadro del Caravaggio colpisce tutti per l’illuminazione misteriosa dei suoi soggetti, che evidenzia il loro protagonismo. La Primavera del Botticelli muove a commozione per……..no, sto sbagliando, sto cercando giustificazioni al gradimento di tali opere, che, pur nella loro sensatezza, riducono a razionalità ciò che di per sé non è e non vuole esserlo: la magia dell’opera d’arte di suscitare emozioni, indipendentemente dal grado di preparazione di chi l’osserva o l’ascolta o la legge. Anzi, sarei tentato di affermare che i più ‘puri’ ammiratori sono gli ignoranti, ovvero gli ‘ammiratori ingenui’. Io non ho mai studiato musica e questa mia ignoranza non mi turba un granché, non m’interessa, perché non soltanto nulla toglie al mio ‘spontaneo’ amore per la musica, ma forse un’educazione tecnica musicale mi distrarrebbe cerebralmente da quel dolce, appassionato, totalizzante rapimento del cuore che procura in me il suo ascolto, razionalizzando un sentimento che voglio rimanga soltanto tale. Insomma, per amare non è necessario né capire né conoscere. E ciò vale sempre! Chi sarebbe tanto stolto da sostenere che per essere attratto fisicamente da una donna è necessario aver studiato l’anatomia del corpo femminile o che per amarla, spiritualmente, occorre conoscere la psicologia femminile? La conoscenza può senz’altro essere utile per apprezzare maggiormente l’innovazione artistica, ma in tal modo si entra nell’ambito della conoscenza storica dell’arte, che nulla ha a che vedere con la spontaneità e la purezza ingenua della comunicazione artistica. Un’arte dotta è più scienza che arte.
I critici musicali non me ne vogliano: io nella mia ‘ineducazione tecnica’ musicale, ma nello stesso tempo nella mia ‘ingenua educazione sentimentale’ musicale, non riesco a tributare l’imprimatur di opera artistica a talune opere di autori considerati grandi. Uno di questi è il nostro Domenico Scarlatti, di cui ho ascoltato con voluta attenzione (e già questo è un segno negativo, perché l’opera d’arte non reclama attenzione, la impone!) le sue tredici sonate per pianoforte . Quasi certamente, dal punto di vista della tecnica pianistica rappresentano qualcosa, ma sul piano della capacità di trasmettere una qualunque emozione, mi perdonino i musicologi, ma personalmente l’unica sensazione che ne ho tratto è un diffuso effetto soporifero, che mi ha fatto arrivare alla conclusione che avrei potuto fare a meno da quel momento in poi di assumere ogni sera le mie pasticche di valeriana: le sonate di Scarlatti si erano rivelate un ottimo sostituto, senz’altro ancora più innocuo della valeriana! Quanto il ‘sentire’ discordi spesso dal ‘capire’ ho avuto modo di constatarlo più di una volta ascoltando le opere del nostro Verdi, che amava molto il walzer e il balletto, al punto che in più occasioni piuttosto drammatiche e tristi, non si è fatto scrupolo di utilizzarlo, magari in forma appena abbozzata. E’ chiaro che il commento musicale, in tali casi, era in aperta contraddizione con la vicenda narrata. La situazione particolarmente drammatica avrebbe richiesto toni ben più cupi e tristi che non la svolazzante leggerezza di un valzer, sia pure leggermente accennato. Ho pensato a Wagner, che ligio e strenuo difensore dell’unità fra testo poetico e testo musicale non avrebbe mai commesso un simile errore. E qui sta la differenza fra i due: scienza nell’uno, pura ispirazione sentimentale nell’altro. Chi ha ragione? Non voglio e non m’interessa riesumare l’antica diatriba fra wagneriani e verdiani. Ma Verdi non mi annoia mai, Wagner lo apprezzo soltanto se lo seguo ‘cerebralmente’. Ho perdonato sempre volentieri al Bussetano le sue piccole contraddizioni. In fondo, se non avessi letto il libretto e avessi ascoltato soltanto la musica come ‘suono’, senza nulla sapere della vicenda umana, quelle ‘incongruenze’ non sarebbero venute fuori ed io avrei ‘ingenuamente’ ma beatamente goduto delle sensazioni puramente fisiche delle sue note toccanti. E questo è quello che alla fine ci aspettiamo dall’arte.
L’antitesi fra scienza e sentimento, nella musica, assume molte altre forme. Forse la sua massima espressione si può rinvenire nella contrapposizione fra orchestrazione e melodia. Anche se l’orchestrazione spesso ci regala forti emozioni, essa è figlia dell’evoluzione della tecnica musicale e quindi è manifestazione di scienza. I musicisti antichi erano tutti più o meno difettosi nell’orchestrazione e la loro arte si esplicava soprattutto nella vena melodica. La melodia sta all’orchestrazione come il cuore sta al cervello, come la natura sta alla cultura. L’una è figlia dell’ispirazione musicale più pura, l’altra è figlia di una più matura e articolata coscienza delle capacità espressive di tutti gli strumenti dell’orchestra. Il campione insuperato e, forse, insuperabile, della melodia è Vincenzo Bellini. La sua musica è pura melodia, quasi priva d’orchestrazione. Valga una volta per tutte l’esempio del primo atto della Sonnambula : per ben otto minuti l’orchestra tace completamente e la scena musicale è riempita dominata, senza soffrire minimamente l’assenza dell’orchestra, dalla dolcissima voce femminile di Amina che intona le sublimi melodie belliniane. Persino il cerebrale Wagner, campione dell’orchestrazione, non poteva sottrarsi al fascino della melodia belliniana, e amava Bellini al punto da additarlo come esempio da imitare. Ed egli stesso diede l’esempio più fulgido e toccante, concependo quel sublime duetto d’amore del Tristano e Isotta che di Bellini evoca l’ispirazione melodica.

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