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Da un libro all’altro: “Vita mia” nelle pieghe più dolorose dell’infanzia

Da un libro all’altro: “Vita mia” nelle pieghe più dolorose dell’infanzia
Novembre 20
17:35 2024

Vita mia – Giappone 1943. Memorie di una bambina italiana in un campo di prigionia di Dacia Maraini, Rizzoli ed. 2023 – € 18,00 e-book € 10,99. Disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR https://sbcr.comperio.it/

La penna ‘gentile’ di Dacia Maraini traccia, in Vita mia, un percorso tra i ricordi più dolorosi dell’infanzia, dominati dall’internamento nel campo di concentramento in Giappone poiché lei e la sua famiglia sono considerati traditori per non aver sottoscritto il riconoscimento della Repubblica di Salò. Dacia con le sorelle Yuki, Toni ed i genitori Folco e Topazia Alliata, vivono in ristrettezze per due anni, in un gruppo di diciotto persone, al freddo in uno stanzone, senza potersi sedere né sdraiare dal momento del risveglio a quello del tramonto, senza poter né leggere né scrivere, con poco più di 100 grammi di riso al giorno e tutto quel che si può recuperare dalla spazzatura, compresi cachì marci, bisce, l’unica abbondanza del luogo, e alcune sottrazioni indebite studiate per sopravvivere. La scrittrice indomita che conosciamo, autrice di racconti, romanzi, testi teatrali, poesie, chiama qui a testimone dell’orrore vissuto, tra bombardamenti, minacce dei militari del campo e terremoti continui, gli scritti di Primo Levi e degli antropologi Ruth Benedict e Fosco Maraini, suo padre, e della scrittrice e sorella Toni Maraini, come avesse bisogno di conforto nello scrivere l’indicibile e il mai, quasi, raccontato: forse per difendere quanto scrive dal negazionismo dilagante; capace di negare l’esistenza del campo di concentramento giapponese, le cui vestigia, scopre, per altro, l’autrice una volta tornata  a cercarlo, essere quasi scomparse fra le costruzioni moderne. Negazionismo capace anche di confutare evidenze macroscopiche come i campi al centro dell’Europa, tuttora visitabili e visitati più volte da Maraini come tributo alla sua esperienza familiare e soprattutto a quanti non tornarono più.

Nel racconto della scrittrice, suo padre Fosco Maraini, profondo conoscitore della cultura giapponese, giganteggia anche grazie alla prova di coraggio fornita ai soldati che li tengono reclusi, e che frutterà alla famiglia una capretta che li aiuterà a non morire di stenti. Non basta un sottotitolo fatto di articoli indeterminativi, come questa fosse una storia fra le tante (eppure è anche questo), a far dimenticare la passione narrativa con cui l’autrice narra la sua famiglia in Bagheria, una volta tornata in Italia con l’amata mamma Topazia Alliata, pittrice, gallerista e scrittrice, rammendatrice di abiti troppo lisi nei periodi di estrema povertà, come di affetti familiari. Dacia Maraini è stata, è, e resta preziosa romanziera e testimone del suo tempo, anche dopo la scomparsa di parte della famiglia e degli autori amici e sodali con cui ha attraversato, da protagonista, gli anni ’60-’90 del ‘900. La sua particolare sensibilità, la capacità di affrontare temi fra i più difficili (violenza, incesto, il passaggio all’età adulta di donne condizionate dalla loro educazione), come il saper raccontare con una sorta di pudore ma senza infingimenti, ne fanno una scrittrice al centro dell’attualità. Autorevole nel rappresentare il punto di vista femminile, anche il meno condivisibile, grazie alla sua ricerca del vero con caparbia, aggraziata, lucidità. L’opera monumentale ne testimonia le doti.  (Serena Grizi)

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