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Dialogo su Scienza e Coscienza

Dialogo su Scienza e Coscienza
Ottobre 25
10:14 2025

Alcuni anni fa si era avviato uno scambio di idee tra il Prof Federico Faggin, scienziato inventore del primo microprocessore e coinventore del touch pad e touch screen, nonché imprenditore e autore di “Silicio”, “Irriducibile” e “Oltre l’Invisibile” e Armando Guidoni del “Gruppo di Frascati” dell’ENEA – gruppo di ricerca sulla “Cibernetica emulativa” – , autore di “Robot Sapiens” ed altre pubblicazioni, scambio tenutosi a distanza per varie ragioni tra cui il periodo del Covid e i numerosi impegni negli Stati Uniti del prof. Faggin. Ora che il Prof. Faggin è rientrato in Italia si è resa possibile una visita di Armando Guidoni a casa sua nella suggestiva città di Vicenza per un confronto in presenza sui temi ai quali da molti anni entrambi vi lavorano.
Ne è nato il dialogo che di seguito riportiamo per estratto e riferito ai principali argomenti discussi, pensando di fornire un utile e importante contributo di riflessione sugli argomenti trattati.

A cura di Antonio Di Gianantonio (Associazione Politecnica Italiana) che ha proposto l’incontro e che ha presenziato allo stesso.

Federico Faggin e Antonio Di Gianantonio

Con G si intende Guidoni e con F Faggin.

G: Caro Faggin, la mia ricerca delle origini – di quel punto di partenza che non appartiene solo al passato, ma che ancora oggi rappresenta il centro vivo e offuscato del mio essere – mi spinge a volgere lo sguardo verso gli equilibri che governano il mondo. Non solo quelli che regolano i rapporti tra gli uomini, ma anche quelli che intrecciano ogni elemento della natura e persino il silenzioso moto degli astri. Sento di trovarmi in un momento cruciale del mio percorso evolutivo. Ho acquisito la capacità di formulare domande sempre più profonde e affascinanti, ma non ancora quella di offrirmi risposte adeguate. È come se fossi sospeso tra due stati: quello della vecchia visione del mondo, che tendeva a spiegare la realtà attraverso schemi semplici e deterministici, e quello di un ordine emergente, capace di integrare le intuizioni della scienza contemporanea e una rinnovata comprensione dell’esperienza interiore.
È in questo contesto che considero la tua ricerca una guida indispensabile per accogliere in me una concezione più ampia e coerente dell’universo e della vita. Viviamo un’epoca in cui si diffonde l’idea che il corpo umano potrà essere riprodotto artificialmente. Eppure, la nostra identità non può essere ridotta alla sola struttura molecolare che ci costituisce. Questa consapevolezza, paradossalmente, alimenta una sorta di movimento di “controtendenza” sufficiente a costruire una nuova rispiritualizzazione dell’uomo.
Mi sorprendo a pensare:
“Scoprire che la mia mente è una macchina mi permetterà di volare liberamente del mio spirito.”
Quanto siamo lontani da una simile riconciliazione tra conoscenza scientifica e aspirazione spirituale?

F: Sì, ma solo se lo spirito esiste veramente, ha libero arbitro, sa quello che vuole e controlla la macchina, altrimenti “volare liberamente” è semplicemente un’illusione! Io penso che corpo (macchina), mente e spirito siano aspetti intrecciati e interagenti di chi siamo veramente.
La distanza che ci separa da questo traguardo dipenderà in gran parte da quanto le strutture di pensiero tradizionali della fisica classica saranno disposte a cedere il passo a nuovi paradigmi.
La fisica classica, fondata su un paradigma deterministico, ha interpretato il mondo come un sistema chiuso, in cui ogni stato futuro è rigidamente determinato da quello attuale secondo regole precise e riduzioniste. Questo è il corpo.
Ma oggi assistiamo all’affermazione di un nuovo quadro introdotto dalla meccanica quantistica che introduce il concetto di probabilità e di sovrapposizione degli stati. Questa è la mente.
Ma poi esiste anche lo spirito che rappresenta l’ontologia, cioè l’ente cosciente con libero arbitrio che vuole conoscere se stesso e gli altri e usa il corpo e la mente a questo scopo.
Superare la visione della fisica classica significa aprirsi a un paradigma in cui l’indeterminazione, la complessità e persino la coscienza – che non è un mero epifenomeno del cervello – e il libero arbitrio abbiano un ruolo nel tessuto stesso della realtà.
Solo in questo modo potremo dare senso alla domanda che poni, aprendo la possibilità di una sintesi fra scienza e spiritualità, fra simboli e significato, tra esteriorità e interiorità.

G: Nella tua ricerca la fisica quantistica sembra giocare un ruolo decisivo.
Puoi spiegarmi in che modo la interpreti?

F: Con piacere. La fisica quantistica è la teoria che descrive il comportamento delle particelle elementari e si fonda su leggi probabilistiche, non deterministiche.
Nel mondo subatomico non possiamo sapere con precisione dove si trovi una particella in un dato istante, ma possiamo solo calcolare la probabilità di trovarla in una certa posizione o in un certo stato.
Quando eseguiamo una misura, avviene quello che i fisici chiamano collasso della funzione d’onda: tra i molti stati possibili, la particella “sceglie” uno stato concreto e diventa osservabile nel nostro spazio-tempo. In altre parole, l’atto di osservare non si limita a registrare la realtà, ma la influenza in modo decisivo. In questo senso, la fisica quantistica non è solo una teoria matematica che ci permette di fare predizioni su ciò che possiamo misurare nello spazio-tempo, ma descrive invece il ruolo della “mente dell’universo”, cosa che pochi fisici hanno mai considerato. La fisica classica descrive solo il ruolo del corpo, che è guidato dalla mente e dallo spirito, e a sua volta guida mente e spirito.

G: Quindi mi stai dicendo che la realtà non è “là fuori” in modo indipendente, ma che in qualche misura dipende dall’osservatore?

F: Esatto. È uno dei punti più affascinanti e controversi della teoria quantistica. L’osservatore non è un semplice spettatore, ma fa parte integrante del fenomeno. Questo si collega a un altro aspetto cruciale: l’entanglement.
Due particelle, preparate in correlazione quantistica, restano connesse come se fossero un unico sistema, anche se si trovano a distanze enormi. Se modifichiamo lo stato di una, l’altra si adegua istantaneamente, senza che ci sia tempo per un segnale a viaggiare tra loro.
Questo fenomeno viola il principio di causalità della fisica classica, tanto che Einstein lo definì “azione spettrale a distanza”, ma esperimenti sempre più raffinati hanno confermato la realtà dell’entanglement. Questo fenomeno esiste solo nella fisica quantistica, non nella fisica classica.
Infatti la fisica classica non è il fondamento ultimo della realtà, ma piuttosto una approssimazione delle leggi più profonde rivelate dalla fisica quantistica e dalla realtà ancora più profonda dello spirito che la fisica non ha mai considerato reale. In questo senso, il mondo macroscopico che sperimentiamo ogni giorno nasce dalle regole probabilistiche e relazionali delle particelle, ma anche dall’esperienza cosciente degli enti che interagiscono al livello dello spirito e capiscono il significato della loro esistenza.
La fisica classica è un limite della fisica quantistica, non il contrario. Il mondo che percepiamo è il risultato dell’emergere di un ordine più profondo, in cui probabilità, correlazione, interazione, osservazione, esperienza cosciente, significato e decisioni libere giocano un ruolo fondamentale.

G: E qui nasce la mia domanda filosofica: se la realtà è probabilistica e l’osservatore contribuisce a determinarla, non potremmo dire che la coscienza stessa abbia un ruolo ontologico? Che la mente, in qualche modo, partecipi alla costruzione del reale?

F: Questa è una delle questioni più dibattute. Ma non è una domanda filosofica. La realtà è più complessa di quella che abbiamo immaginato. Alcuni fisici hanno ipotizzato che la coscienza dell’osservatore sia necessaria per il collasso della funzione d’onda. Ma resta il fatto che la meccanica quantistica ci costringe a rivedere la separazione netta tra soggetto e oggetto.
Secondo me, alla base della realtà che misuriamo/osserviamo nello spazio-tempo ci sono interazioni tra campi coscienti con libero arbitrio che esistono nella realtà spirituale più profonda dove esiste l’interiorità dei campi che contiene l’esperienza cosciente e il significato dei simboli percepiti e trasformati dal corpo. Lo spirito ha anche accesso all’informazione elaborata della mente che fa una simulazione dei futuri possibili di cui uno sarà scelto dalla decisione libera del campo.

G: Questo mi porta a considerare che se il mondo non è deterministico, ma governato da probabilità, allora c’è spazio per la libertà, per la creatività, per ciò che non è già scritto. Forse è qui che scienza e spiritualità potrebbero incontrarsi: nel riconoscere che il reale non è un meccanismo chiuso, ma un campo di possibilità.

F: Concordo. La spiritualità ha a che fare con il significato dei simboli, mentre la fisica quantistica studia le interazioni dei simboli senza significato, che sono prettamente probabilistiche, e la fisica classica studia le interazioni dei simboli classici condivisibili (la materia) che sono deterministiche. Il vero salto concettuale della fisica quantistica non è solo scientifico, ma anche filosofico. Ci ricorda che l’universo quantistico e classico non è una macchina cieca e predeterminata, ma un sistema olistico, dinamico, aperto, capace di generare novità basandosi sulla coscienza e sul libero arbitrio dei campi che insieme formano la realtà spirituale, mentale e fisica. La realtà spirituale è la realtà ontologica in cui si trova l’esperienza fatta di sensazioni e sentimenti (qualia), e il significato dei simboli vivi (stati eccitati quantistici dei campi) prodotti dal corpo che osserva i simboli classici nello spazio-tempo. La coscienza e lo spirito umano trovano il loro posto nell’interiorità dove esistono i qualia e il loro significato.

G: I grandi avanzamenti culturali dell’umanità non sono mai frutto esclusivo di singoli individui, ma il risultato di una rete di intelligenze che cooperano, anche inconsapevolmente, nel tempo. La cultura che ci circonda appare come un “impasto” stratificato della memoria collettiva, una sorta di archivio vivente che conserva l’esperienza accumulata dall’umanità. Forse ciò dipende dalla nostra capacità unica di usare la memoria non solo per rievocare il passato, ma anche per immaginare scenari futuri prima di sperimentarli. L’immaginazione ci permette di proiettarci in avanti, di creare possibilità nuove e di predisporre comportamenti più adeguati e creativi per interagire con l’ambiente. In fondo, sono i nostri desideri – che ne siamo consapevoli o meno – a orientare il corso delle nostre vite e, in ultima analisi, il cammino stesso della storia umana.
Sono affascinato dai tuoi studi. Per te, che cos’è la coscienza?

F: La coscienza, per me, non è un sottoprodotto della materia né un semplice epifenomeno dei processi cerebrali. È piuttosto quella proprietà della realtà fondamentale, che chiamo Uno – tutto ciò che esiste – che ha la capacità di conoscere se stesssa. Uno è il principio originario da cui ogni altra cosa scaturisce.
Ciò che chiamiamo “materia” non è che una delle molteplici manifestazioni dell’esperienza cosciente di Uno. Questo significa che la coscienza individuale non può emergere da un corpo puramente deterministico e privo di consapevolezza: deve avere origine invece nei campi coscienti con libero arbitrio prodotti da Uno, in un livello di realtà che possiede in sé la qualità di “sentire”, e di “conoscere” e poter dirigere liberamente la conoscenza di sé.
In questa visione, l’universo non è un sistema meccanico inerte, ma un insieme di unità coscienti interconnesse (campi), che che interagiscono per conoscere se stessi e gli altri e cooperano mediante simboli per comunicare e comprendere il significato della loro esistenza.
La fisica quantistica stessa ci dice che nelle loro interazioni i campi si comportano come osservatori, osservati e agenti. L’interazione gioca un ruolo fondamentale nella manifestazione della realtà. Il cosiddetto “collasso della funzione d’onda” non è un fatto puramente oggettivo, ma implica l’atto di emissione dello stato eccitato prodotto dal libero arbitrio del campo osservato (non dell’osservatore).
In questo modello, la coscienza non è un epifenomeno, ma un fattore attivo nella co-creazione della realtà. Non si tratta di abbandonare il metodo scientifico, ma di allargarne l’orizzonte

G: Dunque la coscienza non sarebbe confinata al cervello, ma costituirebbe la sostanza stessa dell’essere?

F: La coscienza è la proprietà di un campo di conoscere se stesso, non è una proprietà del corpo. Il campo controlla il corpo come noi controlliamo un drone in FPV (first-person view). Quando il corpo cessa di funzionare, la coscienza non si dissolve, ma si riconosce nell’identità del campo che è una parte-intero di Uno, la sorgente primaria e irriducibile di tutte le entità coscienti.
Uno è olistico, dinamico e vuole conoscere se stesso. Chiamo questo il postulato ontologico dell’Essere da cui bisogna partire per spiegare la natura più profonda della realtà che è irriducibilmente spirituale, mentale e fisica.
Possiamo dire che ciascuno di noi è una seity, una parte-intero di Uno, un campo quantistico auto-cosciente con identità e agentività che contiene in modo olografico l’intero potenziale del tutto, pur mantenendo una sua identità unica. È in questa tensione tra unicità e totalità che si collocano l’identità personale, il libero arbitrio, i qualia e il significato dei qualia. Ed è qui che la tua riflessione sulla memoria e sull’immaginazione trova la sua massima rilevanza: l’immaginazione è come la coscienza esperisce/conosce ciò che è possibile, elaborato dalla mente, e apre così nuove vie di esperienza e conoscenza.

G: Quindi l’essere umano, nella tua visione, è un centro di coscienza attraverso il quale l’universo prende consapevolezza di sé?

F: Esattamente, se per “essere umano” intendiamo una seity insieme al corpo umano con cui interagisce. E ciò che chiamiamo “evoluzione” non è solo un processo biologico, ma anche e soprattutto un processo di auto-conoscenza universale: Uno si conosce attraverso le esperienze di ciascuna delle sue parti-intero: le seity. In questo senso, il libero arbitrio è la capacità delle seity di dirigere liberamente la loro conoscenza di sé per produrre il significato con cui Uno conosce se stesso. Uno è il campo unificato che connette da dentro tutte le seity.

G: Questa visione porta con sé una responsabilità etica profonda. Se le nostre scelte contribuiscono alla costruzione della realtà, allora ogni decisione, anche personale, ha un impatto sull’intero sistema. È come se l’energia che propaghiamo e riversiamo (come anelli d’acqua in uno stagno) modifichi l’universo, anche se impercettibilmente. Le sfide globali che abbiamo di fronte – dall’intelligenza artificiale alla crisi climatica – non sono semplici problemi tecnici, ma veri e propri test di coscienza collettiva.

F: Questa responsabilità implica anche un nuovo rapporto tra individuo e collettività. Se siamo parti-intero, non possiamo più pensare a noi stessi come entità isolate: le nostre scelte personali devono essere basate sull’amore per armonizzarsi con il bene di tutti. È qui che filosofia, etica, scienza e spiritualità possono incontrarsi per costruire una civiltà in grado di riflettere la vera natura dell’universo: Olistica, dinamica, dotata di libero arbitrio e creativa.

G: Ma quando il corpo fisico muore, questa proprietà cessa. Come può la coscienza restare nel campo universale?

F: Se pensiamo che l’unica realtà che esiste è la realtà del corpo, la coscienza deve cessare di esistere con la morte del corpo. Questa è la conclusione del materialismo. Ma nel mio modello esiste anche la mente e lo spirito che continuano ad esistere anche dopo la morte del corpo.

G: C’è qualcosa di profondamente affascinante nel fatto che alcune grandezze non siano mai pienamente misurabili. Pensiamo alla circonferenza di un cerchio: per quanto sofisticate siano le nostre tecniche di calcolo, ci troviamo sempre di fronte a un numero – π – che si estende all’infinito. La stessa cosa avviene anche con lo spazio e le linee curve. Sono incommensurabili. Ma, a ben vedere, anche il pensiero dell’uomo lo è.
E qui nasce una sensazione destabilizzante: se la civiltà ha fondato gran parte delle sue certezze sulla misurazione e sulla quantità, questa consapevolezza sembra spazzare via tutto, lasciando soltanto un’illusione.
In fondo, sia per π che per il pensiero, noi possiamo soltanto avvicinarci a una “idea” della loro vera natura. E quell’idea non descrive la quantità, ma la qualità dell’entità.
Forse è proprio questa nostra capacità di comprendere l’incommensurabile che ci apre un varco verso una realtà più profonda. È come se la misura reale non fosse “fuori” ma anche “dentro” di noi.

F: È esattamente ciò che ho cercato di formalizzare nella teoria QIP, che ho sviluppato con Giacomo Mauro D’Ariano. Essa permette di fare scienza anche delle esperienze interiori, di distinguere tra una realtà esteriore – fatta di simboli condivisibili – e una realtà interiore – fatta di qualia e di significati privati.

G: Interessante. Ma se parli di “realtà interiore”, non rischi di spostarti su un terreno puramente soggettivo? Come possiamo evitare che diventi una sorta di misticismo difficile da comunicare?

F: Perché è la fisica quantistica stessa che ci ha dato la risposta: lo stato quantistico di un campo non è clonabile, cioè non si può riprodurre, e se si fa una misura si può conoscere soltanto un bit classico per ogni quantum bit (qubit) che ne descrive lo stato.
Nel mio modello, lo stato quantistico rappresenta i qualia che sono conoscibili dal campo stesso come esperienza cosciente. È la natura della realtà che ha questa proprietà! La cosa importante è che questo stato è conoscibile direttamente dal campo/seity come esperienza straordinaria di coscienza perché non passa per il corpo. Ciascuno di noi può avere un’esperienza di “risveglio” se siamo aperti a conoscere noi stessi.

G: Ti capisco. Anche io ho avuto un’esperienza simile e ne sono uscito profondamente cambiato: la mia visione della vita si è spostata da un piano puramente razionale a uno emozionale.
Ma resta una difficoltà enorme: trasmettere questa esperienza agli altri.
Se incontrassi un’altra persona che ha vissuto un risveglio, credi che sarebbe più semplice comunicare la qualità di un concetto?
E, andando oltre: arriveremo mai a riconoscere una caratteristica fisica che colleghi la materia a questa dimensione di qualità?

F: Certamente! Solo se una persona ha già provato un’esperienza di risveglio può capire bene la descrizione di un altro, come spiegherò qui sotto.  
Quando comunichiamo, usiamo simboli condivisibili, ma questi possono comunicare solo una piccola parte del significato che proviamo. Per capire il significato dei simboli dobbiamo già possedere un significato simile. E questo significato può nascere solo dalla realtà dello spirito e viene prima dei simboli! Faccio notare che l’amore reciproco è una forza che porta in risonanza gli stati quantistici dei campi che comunicano tra di loro, portandoli allo stesso significato.

G: Questo mi fa pensare al progetto che il gruppo di Frascati dell’ENEA sviluppò negli anni ’90: l’Olocontrollo Emulativo. Un sistema cibernetico capace di imitare l’Ego in modo automatico, senza controllo esterno.
In quel modello, l’“emulatore” ricostruiva un’immagine tridimensionale della realtà, usando reti di sensori per ottenere una mappa coerente dell’ambiente operativo. Il sistema tendeva a mantenere la coincidenza fra la realtà percepita e quella simulata: se la realtà cambiava, l’emulatore, per ristabilire l’equilibrio, reagiva con gli attuatori di cui disponeva.
In fondo, non è così anche per noi? Il nostro “desiderio di quiete” si turba quando la realtà non coincide con la nostra immagine ideale, e le nostre azioni diventano tentativi di ripristinare l’equilibrio. Mi chiedo:

  • Le nostre azioni sono guidate da una differenza di “stati quantistici” interni, come se la coscienza funzionasse da emulatore cosmico?
  • Lo stesso universo segue questa regola, una ricerca interminabile di equilibrio, che si ripete all’infinito, dal macrocosmo al microcosmo?

F: Il controllo dell’informazione non genera coscienza. Un sistema cibernetico è solo simbolico e va benissimo per regolare macchine, ma non è sufficiente a regolare l’essere umano che è controllato principalmente dalla sua coscienza. La cibernetica può simulare, ma non provare desiderio, amore, dolore o gioia. La domanda fondamentale resta: perché c’è l’esperienza?
Per questo sostengo che ogni entità – ogni seity – possiede in sé coscienza e libero arbitrio. La materia, in realtà, è una rappresentazione condivisa tra unità di coscienza. Ogni campo ha un aspetto esteriore – gli stati eccitati del campo, come le particelle, che sono simboli o informazione condivisibile – e un aspetto interiore che rappresenta l’esperienza del campo e il suo significato.

G: Quindi la creatività umana, la capacità di immaginare scenari futuri, è un modo per generare nuovi stati di equilibrio che prima non esistevano.
Possiamo allora dire che la creatività è la forza che libera l’energia latente in noi?
Sono i nostri desideri, consci o inconsci, a determinare il corso delle nostre vite e persino della storia?

F: Esattamente. La coscienza è creativa, libera, non deterministica. Non si può calcolare.

G: Ma la scienza come può validare questa ipotesi? La scienza vive di verifiche sperimentali.

F: È necessario un cambiamento di paradigma. Dobbiamo ampliare il concetto di scienza per includere anche l’esperienza soggettiva come soggetto legittimo di indagine. Questo va oltre ciò che può essere descritto con la matematica che usiamo nella fisica corrente.

G: Quindi non proponi solo un cambiamento ontologico – sul “che cosa è la realtà” – ma anche epistemologico, sul modo stesso in cui conosciamo.

F: Sì. Per comprendere la natura della coscienza, del libero arbitrio, dei qualia e della comprensione che porta al significato dei qualia, bisogna considerare che il soggetto/campo, cioè la seity, è contemporaneamente osservatore, osservato e agente auto-cosciente con libero arbitrio. La seity è capace di esperire e conoscere se stessa, cioè il suo stato privato e soggettivo, “da dentro”. Il soggetto deve essere anche in grado di decodificare il significato degli stati eccitati del campo (simboli condivisibili) prodotti dal suo interlocutore, che è anch’esso osservato, osservatore e agente cosciente con libero arbitrio. L’asimmetria tra osservatore e osservato che esiste nella fisica classica, sparisce nelle interazioni della fisica quantistica.

Armando Guidoni e Antonio Di Gianantonio

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