Epopea dell’orsetta
Subito, appena
Ti ho vista,
Nella vetrina, composta,
Ho capito
Che eri tu quella giusta.
Ammiccavi con occhi
Furbetti e, sotto, un
Musino impunito.
Chiamavi in silenzio
Con forza,
Comprami, non perdere quanto
Potrebbe farci
Felici, ti pentirai forse
Tanto.
Non lasciarmi
Qui sola, a guardare
Da un vetro
La vita che scorre
Per strada, i passi di chi
Si allontana. Tutti hanno
Una meta, una casa dove
Andare e trovare
In cucina la cena,
Il sofà con la tele.
Io muoio, in questa
Vetrina, tra i libri
Le gomme, le penne.
E quando, la sera, si spegne
La luce, si chiude
La cassa, uscita anche
La sola commessa
Comincia la notte e un
Silenzio graffiato
Da tonfi, stridi
Lamenti
Meccanici di cassonetti,
Il camion della nettezza,
Frenate di auto che
Illuse, nella notte
Inseguono sogni,
Tristezze, voglie
Mai soddisfatte.
Comprami, portami
Altrove, in una casa
Mia! Ti farò gioia e compagnia.
E io sono entrata, stordita
Da tanta insistenza
Incantata da uno
Sguardo sincero
Profondo, profetico,
Allegro, unico tra
Tutti gli altri. Eri
Proprio tu che chiamavi.
Come fare a non ascoltarti,
Lasciarti lì sola, dimenticata?
Ti ho presa, senza busta,
Imbracciata, come si fa con
I bimbi, poggiata col tuo
Sederino nell’angolo
Chiuso del gomito, come
Un vero bambino.
E tutti i passanti
Ci guardavano innamorati
Che bella l’orsetta di
Quella signora. Proprio
Come facevano
Allora con un altro,
Vero bambino.
E subito è cominciata,
Nella mia mano, la tua
Magia. Eri tu, ero io,
E anche quel piccolino
Ormai grande che non tengo per mano e
Non porto nel passeggino.
Dormi con me
Nella stanza pensata
Per un altro, per due in
Una vita passata,
Con la forza e la gioia
Di una speranza infinita.
Dormi con me, hai la tua
Copertina, i guantini,
E, perfino, una lampada
A te dedicata. Si chiama
Amore, e non importa
Chi abbracci, chi tenga
Stretto a sé, chi non lasci
Andare nel dolore e
Nel pianto. Si chiama
Amore, e se l’hai
Conosciuto,
Anche alla fine
Te ne rimane
L’incanto.
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