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“George Orwell. L’arte di uno scrittore politico” di Luca Fumagalli

“George Orwell. L’arte di uno scrittore politico” di Luca Fumagalli
Novembre 03
17:58 2025

George Orwell. L’arte di uno scrittore politico di Luca Fumagalli, Edizioni Ares, 2025 è un’aggiornata monografia elaborata da uno stimato cultore delle letterature anglofone impreziosita da un’interessante prefazione del medico e scrittore Paolo Gulisano. Con comprovata perizia nella scrittura, l’intreccio del racconto biografico con l’analisi delle opere apre inediti spiragli di significato nella critica letteraria. Il testo che potrebbe apparire appannaggio di una ristretta cerchia di esperti si rivolge, invece, a un pubblico ampio: grazie alla fluidità dell’esposizione e alla scelta azzeccata di posporre, in appendice, l’apparato critico. Il risultato è un volume piacevolmente leggibile e assai utile anche per chi volesse accostarsi, per la prima volta e senza alcuna faziosità, a questa figura eminente della letteratura novecentesca.

George Orwell (1903-1950), pseudonimo di Eric Blair, è stato soprattutto uno scettico amante della libertà. Nell’avvicendarsi di svariati lavori – poliziotto, insegnante, commesso, giornalista, saggista e romanziere – si dipana una vita avventurosa che, nella spiccata consapevolezza del potenziale menzognero dell’informazione, non ha accettato compromessi. Estraneo alla diffusa centralità del denaro, ha cercato, con radicale convinzione e ben lungi dal barattare la verità con la propaganda, di smarcarsi da qualsivoglia disciplina di partito. L’autore inglese non si lascia ingabbiare in facili etichette e va accolto, senza riduzionismi e con onestà intellettuale, nelle sue peculiari contraddizioni. Personalità tanto nota quanto soventemente fraintesa, nel consueto cherry picking da post-verità, si dimentica la sua avversione per l’aborto e più in generale per tutte le politiche di controllo delle nascite. Parimenti, pur non mancando di una visione critica del colonialismo, sono taciute le sue perplessità inerenti al metodo gandhiano. Egli, lontano dalla kiplinghiana missione civilizzatrice europea, era consapevole delle tante e complicate implicazioni sottese alla decolonizzazione; non ultimo: un ridimensionamento della superpotenza imperiale inglese che aveva mantenuto, a dispetto della sofferenza di svariati milioni di colonizzati, il suo stile di vita prospero e agiato.

Interprete particolare di un socialismo dal volto umano denunciò, a più riprese, i tormenti della fame sofferti da milioni di indiani e conobbe, in prima persona, la situazione birmana; arrivando a sperimentare, come reietto tra i reietti, la vita degli emarginati nei sobborghi parigini e londinesi. Sostrato esperienziale di una prima sequenza di scritti meno conosciuti – Senza un soldo a Parigi e Londra (1933) Giorni in Birmania (1934), La strada di Wigan Pier (1937) – che, nel solco della narrativa naturalista francese, presentano dei documenti di vita capaci di fornire dettagliati tranches de vie. La sua voce, principalmente dagli scenari distopici della sua proposta narrativa – La fattoria degli animali (1945) e 1984 (1948) – è andata successivamente levandosi contro le tante insidie dei totalitarismi. È, però, un errore pensare che il discorso s’arresti, sul piano storico, a quanto si è già manifestato nel corso del XX secolo. Viceversa, il lavoro di Orwell rivive una seconda giovinezza nella capacità di indagare quell’intransigenza che, ben mascherata dalle odierne tecnocrazie, appare buona, umanitaria, tollerante ecc. In fondo, tra i vecchi e i nuovi totalitarismi, persiste una volontà di potere, nella forma della sopraffazione, variamente interconnessa con diverse perversioni: sadismo, masochismo, culto della personalità, culto del successo ecc.

Tematiche che animarono anche il dibattito filosofico anglosassone. Più di qualcuno, già all’indomani della fine della Belle Epoque, aveva iniziato a interrogarsi, di fatto aprendo uno spazio di riflessione etica sulla tecnologia e il progresso, in merito ai diversi snodi problematici che avrebbero caratterizzato tanto il Novecento quanto, con estrema chiaroveggenza, i nostri giorni: implicazioni politiche delle scoperte scientifiche, rapporto scienza-potere, tecnologia come strumento di dominio, società industriale consumistica ecc. Esemplificativa, in tal senso, la querelle degli anni ’20 tra J.B.S. Haldane e B. Russell dove vengono approfondite, grazie all’intersezione di prospettive diverse, alcune delle questioni che, in chiave narrativa, erano state anticipate da R.H. Benson ne Il padrone del mondo, riprese da A. Huxley ne Il mondo nuovo e ulteriormente sviluppate in 1984 da Orwell: messianismo laico, controllo ideologico, tecnologia come sorveglianza, perdita della memoria storica, manipolazione del linguaggio ecc. Un insieme di derive in grado di fiaccare la sensibilità e la decenza morale degli uomini comuni e per estensione dei popoli. In questo richiamo alla decenza: tutta la preoccupazione orwelliana per gli esiti nefasti della scristianizzazione occidentale. Progressiva perdita di senso che, dalla sua controversa prospettiva di non credente, intravedeva quale ennesimo campanello d’allarme di una civiltà agonizzante.

Questi e altri importanti spunti di riflessione sono ottimamente sviluppati da Fumagalli che, nel ripercorrere vita e opere di Orwell, offre al lettore alcune chiavi d’interpretazione del presente. Criteri necessari per non restare impantanati nella contemporaneità liquida delle macchine intelligenti e per riscoprire il gusto della normalità: «[…] costituita dal buon senso e da quelle piccole cose private e quotidiane che danno sapore al vissuto, è il bene più prezioso che si possieda, una difesa contro le storture e i capricci delle varie epoche» (p. 169).

 

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