I mangiatori di carta
Cosa resterà di noi, di questo tempo che arde e si consuma come un fuoco di paglia? Cenere. Montagne stratosferiche di cenere che ci toglieranno pure la luce del sole. E quando la cellulosa sarà stata tutta utilizzata per fabbricare carta tramutata in libri – la maggior parte dei quali destinati ancor prima della nascita al macero – cosa resterà se non l’odore di bruciato e la vaga memoria dei tempi in cui ogni foglio di carta racchiudeva una goccia d’inchiostro convertita in conoscenza? Che ci è preso a tutti quanti, autori ed editori, si può sapere? Perché stiamo divorando tanta carta, perché non ci dormiamo la notte per l’affanno di dover a tutti i costi tirare fuori ogni giorno almeno un verso, una minima riflessione, l’incipit di un racconto da spalmare subito su carta prima che l’idea si dilegui, senza peraltro darle il tempo di formarsi, chiarirsi, consolidarsi, perfezionarsi? Perché siamo tutti presi in questa battaglia del dire, chi scrive e chi pubblica, in un mercato che solo sa di mercato, tra sfruttatori e sfruttati che si trattano in guanti bianchi nell’illusione di fare ognuno il proprio interesse, chi pagando chi riscuotendo, chi tirando le sue due o trecento copie pagate profumatamente in partenza dallo scrittore-poeta-illuso, chi regalando i suoi libri mai messi in distribuzione dai falsi editori che se le inventano tutte per restare a galla in uno stagno asciutto? Prendiamo un esempio a caso. Un nome accreditato della media editoria, evidentemente in crisi, che s’inventa? Prende accordi con uno stampatore qualunque e mette il suo nome e il suo marchio a disposizione per fare da specchietto per le allodole, gli autori “prescelti” si vedono arrivare a casa l’invito “personalizzato” per aderire alla realizzazione di un’antologia poetica che sarà inviata a critici e sindaci di mezza Italia e a varie presidenze e segreterie compresa quella vaticana, e insomma la cosa si presenta allettante. Così allettante che i poeti convocati rispondono in coro all’appello e l’antologia esce con una lunghissima serie di autori che hanno tutti sborsato una cifra sostanziosa per l’acquisto di alcune copie del libro che riporta un prezzo di copertina a dir poco scandaloso, ma a loro – privilegiati acquirenti – viene dato in “offerta speciale”. Facendo due conti, con quella sola antologia l’editore si è rinsanguato le casse con un guadagno netto di oltre diecimila euro e, visto il successo riscosso, a quella prima antologia ne fa seguire una vera raffica. E siccome di simili e anche peggiori espedienti pullula il mercato della carta stampata, non resta che prendere atto di quanto sia libero il boschivo mercato degli stampatori e della immunità di cui essi godono. La cosa grave è che ultimamente diversi pseudo-editori stanno puntando sui giovani con formule spudoratamente ingannevoli, ma che facilmente attaccano in un terreno propenso e per il desiderio di comunicare attraverso la parola scritta e per la totale mancanza di esperienza nel campo. E questo sì che è un vero reato, ma non è – a quanto sembra – perseguibile per legge. Quello che qui si raccomanda ai possibili autori di ogni età e condizione è di usare cautela nel dar credito ai maneggioni della carta stampata, e di valutare con estrema attenzione le varie proposte, prima di firmare un contratto editoriale. Viviamo un tempo così vuoto di comunicativa, che tutti siamo tentati di esprimere in qualche modo il nostro sentire, con i mezzi che più ci risultano congeniali. E ciò è buona cosa, purché doverosamente ci si guardi dalla speculazione senza regole e freni e spesso senza moralità.
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