I.U. Immaginazione Umana e i suoi scenari di pace e guerra

Ampliare i confini dell’umano (cultura pop)
E mentre il grano ti stava a sentire
Dentro alle mani stringevi il fucile
Dentro alla bocca stringevi parole
Troppo gelate per sciogliersi al sole
Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano
Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
Ma sono mille papaveri rossi F. De André
Immaginazione (intelligenza) umana, crea i suoi scenari immaginifici molto più che I.A. Intelligenza Artificiale che, per l’appunto è una macchina che elabora dati che le abbiamo fatto immagazzinare e che ‘la povera’ non potrà usare per diventare ‘meno macchina’ e liberarsi. Mentre gli immaginari umani tracciano confini più larghi rispetto a ciò che all’essere è dato occupare. Tracciare confini più ampi di ciò che si è costretti a vivere, consente di speculare su come sarebbe possibile cambiare le cose e attraverso questa speculazione l’umanità ha cambiato la propria condizione, seppure con fatica e lentezza: poiché costa molto imprimere alla dura realtà il confine d’una maggiore libertà, umanità, più diritti per tutti e diritto anche per gli altri regni che abitano il pianeta (poiché anche per il loro rispetto l’essere umano deve impegnarsi). Oltre le forme filosofiche speculative anche la cultura pop si impegna per tracciare immaginari umani più ampi, capaci di far respirare il cielo pur stando ancorati alla terra e spesso tali scritture, immagini, che non sono solo canzonette, le chiamiamo poesia:
Mio fratello che guardi il mondo Ivano Fossati – 1993
Mio fratello che guardi il mondo
E il mondo non somiglia a te
Mio fratello che guardi il cielo
E il cielo non ti guarda
Se c’è una strada sotto il mare
Prima o poi ci troverà
Se non c’è strada dentro il cuore degli altri
Prima o poi si traccerà
Sono nato e ho lavorato in ogni paese
E ho difeso con fatica la mia dignità
Sono nato e sono morto in ogni paese
E ho camminato in ogni strada del mondo che vedi
L’isola che non c’è Edoardo Bennato – 1980
E non è un’invenzione
E neanche un gioco di parole
Se ci credi ti basta, perché
Poi la strada la trovi da te
Son d’accordo con voi, niente ladri e gendarmi
Ma che razza di isola è ?
Niente odio né violenza, né soldati né armi
Forse è proprio l’isola che non c’è, che non c’è
Seconda stella a destra, questo è il cammino
E poi dritto fino al mattino
Non ti puoi sbagliare, perché
Quella è l’isola che non c’è
Il disertore, brano di Boris Vian del 1954, ancora interpretato, in una versione magistrale senza musica, da Ivano Fossati, utopia che ancora non si è inverata negli anni ’20 del 2000, per non parlare delle recenti cronache che ci obbligano a distinguere tra vittime e carnefici, ad assistere all’assalto della dignità dei perdenti, ma che portano alla nostra attenzione, spesso, individui di sesso maschile, che mandano ‘al fronte’ i figli degli altri ‘alla conquista di nuovi confini’, stavolta geografici, che hanno immaginato e quasi sempre descritto come ‘facili da scalzare’: spandono sangue non delle loro famiglie e quasi sempre dei più poveri costretti ad accettare di essere solo pedine, che defunti saranno ricordati dalla propria famiglia e poco più. C’è chi dice che la pace tout court non esista (l’argomento europeo è ‘dobbiamo difenderci se ci attaccano’) la guerra non è ancora tabù ma l’immaginario umano continua a lavorarci…
In piena facoltà
egregio presidente
le scrivo la presente
che spero leggerà
La cartolina qui
mi dice terra terra
di andare a far la guerra
quest’altro lunedì
Ma io non sono qui
egregio presidente
per ammazzar la gente
più o meno come me
Io non ce l’ho con lei
sia detto per inciso
ma sento che ho deciso
e che diserterò.
Ho avuto solo guai
da quando sono nato
i figli che ho allevato
han pianto insieme a me.
Mia mamma e mio papà
ormai son sotto terra
e a loro della guerra
non gliene fregherà
Quand’ero in prigionia
qualcuno mi ha rubato
mia moglie e il mio passato
la mia migliore età
Domani mi alzerò
e chiuderò la porta
sulla stagione morta
e mi incamminerò.
Vivrò di carità
sulle strade di Spagna
di Francia e di Bretagna
e a tutti griderò
Di non partire più
e di non obbedire
per andare a morire
per non importa chi.
Per cui se servirà
del sangue ad ogni costo
andate a dare il vostro
se vi divertirà
E dica pure ai suoi
se vengono a cercarmi
che possono spararmi
io armi non ne ho.
Anno 2024: la televisione di stato, ripropone sotto forma di serie La storia dall’omonimo romanzo di Elsa Morante. Esiste già il film di Luigi Comencini del 1986 con l’intensa Claudia Cardinale, la nuova versione, invece, è interpretata da Jasmine Trinca, attrice coraggiosa e capace, solida, che dà nuovo sguardo alla paura negli occhi della protagonista, al suo provare vergogna come donna abusata, che decide di crescere e amare più di se stessa i suoi figli, percorrendo sempre le strade della guerra, con paura e preoccupazione, ma senza abdicare mai all’intelligenza, alla tenerezza. Noi continuiamo a sperare che gli immaginari malati di persone senza scrupoli soccombano, poiché la guerra, quella vera, con bombe, missili, distruzione, vittime, non porta alcuna rivincita e ‘nuovi territori da abitare’ ma solo lutti e orrore: basta guardarla con gli occhi di donne degli anni 2000. La giovane Jasmine Trinca (Un giorno devi andare, La dea fortuna, Fortunata), interpretando la protagonista di un grande libro, sullo sfondo la II Guerra Mondiale, ha dovuto immaginare per il suo personaggio come ci si porta per strade di guerra, com’è lo sguardo di chi cerca di tutelarsi fin dove si può – e come diventa non essendoci riuscita -; lo sguardo di chi tenta di difendere i figli, di non morire di fame e di non approfittare mai degli altri, di disumanizzarsi a causa del troppo dolore, tentando di conservare dignità. Grazie anche all’immaginario della regista Francesca Archibugi, Jasmine Trinca esprime uno sguardo contemporaneo su un conflitto passato, su una guerra che rischia di tornare di stretta attualità. E non è che manchino immagini reali relative a conflitti vicini e lontani dall’Italia ma qui siamo alle prese non con il solo, ma con uno dei libri più importanti del ‘900 che ci racconta la guerra attraverso lo sguardo delle famiglie indifese, delle donne, ed in definitiva la guerra dei vinti, di coloro che non la decidono ma la subiscono e basta. Oltre la stretta attualità, le profonde pagine di un libro, di un lavoro che lo trasforma in immagini, aiutano ancora ad ampliare la gamma del sentire oltre la propria immaginazione, oltre quella dura realtà spesso solo sfiorata da immagini e reportage televisivi, se non in diari straordinari come quelli, fra gli altri, della giornalista Francesca Mannocchi, capace di riferire la condizione di dolore di intere comunità e di singoli individui mentre racconta l’insensatezza della guerra.
Ora che l’Europa invoca piazze e intanto programma già (ma da quanto ne cercava il pretesto?), armamenti per miliardi di euro; ora che la diplomazia va dicendo che ottant’anni di pace in Europa ‘sono stati straordinari’ (notare il verbo già al passato prossimo…).
Come se alle vite già complicate di tutti mancasse un po’ di guerra, magari ‘puntiforme’, per far funzionare i vari PIL nazionali rovinati dalla prevedibile resa d’un capitalismo che non ha saputo inventare altro se non il consumo e che ora vorrebbe instaurare il ‘consumo di vite umane’, subito dopo aver incrementato quello di armi, e poi quello di nuovi ‘territori spaziali’ – Marte – dove portare le nostre ‘rinnovate culture di morte’. Come se noi cittadini dovessimo pagare 800MLD di euro per ritrovarceli scaricati addosso sotto forma di missili e bombe, così da distruggere definitivamente centinaia di migliaia di esistenze, come abbiamo appena visto accadere nel conflitto israelo-palestinese, e rendere inutili gli sforzi compiuti ogni giorno in questi difficili 80 anni, per mantenere una pace difficile e complessa. Ma pace. (Serena Grizi)
Letture: Candido di Voltaire; Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams in quanto a ciò che il pensiero può produrre fra utopie e distopie; Anna di Niccolò Ammaniti, il viaggio ‘forzato’ verso una nuova civiltà;
Sguardi: Mondocane di Alessandro Celli, 2021, visioni di mondi post; L’uomo che verrà di Giorgio Diritti, 2009, se la guerra toglie la parola…
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