Il sesto senso
Io percepisco l’arrivo delle catastrofi naturali. Mi chiamo Cassandra. Un giorno ucciderò i miei parenti più stretti per avermi chiamato così.
Ho visto arrivare la tromba d’aria. I rami si spezzavano e volavano in mille schegge nell’aria turbolenta, i tronchi crocchiavano aggrappandosi con le radici al suolo che tremava. I colori erano scomparsi dalla terra, che era diventata grigia come la pelle di un cadavere.
Tutto era circoscritto in una zona di pece inondata di silenzio.
Ho visto un bambino saltellare sulle traverse della ferrovia, solitario e felice, e l’angoscia mi ha colta.
Le finestre e le porte erano chiuse, le case cieche e mute.
“Scappa!”, urlo al bambino che continua a saltellare festoso, ma lui non mi sente e non mi vede.
Provo a fuggire ma i piedi affondano nella melma. Resto immobile, mi guardo intorno. Poco lontano vedo un sentiero di roccia. Devo raggiungerlo.
Forse venti passi. Trattengo il fiato e li percorro. Sono più di venti.
Affondo nella melma fino alle ginocchia e ancora non raggiungo il sentiero.
Devo procedere piano, molto piano. La fatica per districarmi da quella fanghiglia collosa è inumana ma anch’io sono inumana. Ogni cosa, lo è. Il bambino continua a saltellare sulle traverse.
E se arriva un treno? No, non sento vibrazioni di sorta.
Appena mi metto in salvo, salvo anche lui, penso.
Affondo nel fango fino alla vita. Sabbie mobili in pieno centro abitato a ridosso di una ferrovia: da non credersi.
La distanza che mi separa dal sentiero è pari ora alla lunghezza delle mie braccia. Devo fare la mossa giusta. Saldata al suolo che smotta mi butto in avanti tenendo alta la testa, tese le braccia, uncinate le mani.
Gratto con le unghie la roccia e scivolo all’indietro.
“Aiuto!”, grido rivolta all’ignaro bambino che continua a giocare, solitario e felice.
Lui si gira a guardarmi. Nello stesso momento sento arrivare il treno. Viaggia ad alta velocità.
“Avanti, figlio di buona donna, vieni via da lì!”, gli grido. E penso che ormai non c’è più scampo per nessuno.
Chiudo gli occhi e smetto di respirare. Forse morire non è poi così difficile.
Qualcosa mi sferza la faccia.
Il bambino è qui, sul sentiero, davanti a me, e agita un arbusto spinoso. Non l’ho visto scendere dalla scarpata: ad occhi chiusi mi preparavo al trapasso.
Sento il sangue colarmi dalla faccia che gocciando si mischia al fango.
Il ragazzino continua a frustare l’aria. Ride. Figlio di buona donna, è tutto quello che riesco a pensare. Lui mi volta le spalle e si allontana. Sparisce alla mia vista.
Ormai è questione di attimi, non sento più la roccia sotto le dita. Affonderò nella palude. Tuffo la testa sotto e accelero la fine, penso; ma la melma ha un odore così nauseabondo che desisto.
Nemmeno un cane mi assisterà nella morte. Che brutta fine.
E invece ecco il marmocchio, che mi tende un lungo ramo. Lo afferro e tento la risalita ma il ramo si spezza e sprofondo ancora.
Il bambino resta pensoso, poi si butta prono a terra e striscia verso di me. Mi allunga il ramo – corto e robusto – fissandomi negli occhi. In quel momento si sente arrivare il treno.
“Avanti, figlia di buona donna”, mi sussurra lui quasi dolcemente.
Stringo con le mani il bastone con mani d’acciaio. Il ragazzino si butta all’indietro e con uno scatto di belva mi trascina fuori dalla palude. Rotoliamo insieme per un tratto scorticandoci sugli puntoni di roccia poi restiamo immobili, spalle a terra, a fissare il cielo che passa.
“Sei forte”, gli dico.
“Anche tu”, lui mi risponde.
…
Tutto è passato in un lampo nella mia mente profetica.
E subito arriva la tromba d’aria. I rami si spezzano e volano in mille schegge nell’aria…
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