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Nel fortino delle illusioni

Gennaio 27
09:13 2010

Tanti anni sono trascorsi dal mio arrivo nella Comunità Casa del Giovane, ho conosciuto tanti ragazzi, nei sorrisi nascondevano il dolore delle assenze, delle rinunce, delle illusioni già morte, ragazzi e ragazze che pur nel silenzio della sofferenza mantengono una loro dignità, nonostante ciò che li colpisce a tradimento, gettandoli impreparati nella devastazione dell’assunzione delle sostanze, tutte le droghe, nessuna esclusa. Ragazze violentate, ragazzi perduti, giovani dentro una guerra che non è mai stata loro, né lo sarà mai, giovani inascoltati, mal accolti, persino da Dio troppe volte inteso così lontano e remoto, una storia che ci portiamo appresso come un peso quotidiano, adolescenti che drammaticamente stramazzano davanti a noi, eppure rimaniamo incollati alla nostra vocazione di cattivi maestri, di educatori presuntuosamente inventati, obbligandoli alle nostre spalle, senza possibilità di vedere il grande bluff.
Pensiamo a questi ragazzi come plotoni allineati in un perimetro tutto loro, non riusciamo neppure a impegnare tempo a sufficienza per comprendere la loro capacità di sentirsi parte di qualcosa, di qualcuno: più noi rimarremo alla finestra a guardare, più loro si sentiranno parte di una fortezza a loro misura, a tal punto da ritenersi l’unica guarnigione preparata affinché il “fortino delle illusioni” non abbia a cadere in mani nemiche. Occorre parlare ai più giovani, con i loro mondi provocatoriamente chiusi in scatole cinesi, nei miti e nei simboli che tramandano desideri tribali, e uccidono le stesse emozioni, travisando il bisogno di non subordinare mai le passioni alle regole, truccando lo scontro culturale e intimo della trasgressione, per andare rovinosamente a sbattere nella “cultura” dei rischi più estremi. E’ sempre utile stare ad ascoltare quelli che guardano alla vita con occhi smarriti nel tentativo di viverla, e con quegli altri che nella follia lucida tentano di dominarla, inconsapevoli di esserne diventati miseramente schiavi.
C’è anche il rischio di insegnare dal pulpito, dalla cattedra, di dire agli altri quel che non siamo capaci di ascoltare di noi stessi, possiamo travestirci da duri o da vittime, passare sopra a qualche rimorso, trucidare le speranze e i sogni di quanti più deboli e indifesi, ma è un errore non pensare ai dazi da pagare dopo, perché dopo, i dazi si dovranno pagare fino all’ultima notte più buia, dove non ci saranno mani tese né pacche sulle spalle ad attenderci. Adolescenti indiani bianchi, riuniti in tribù, e sbrigativamente licenziamo una diversità che è importante, vite differenti, stili esistenziali diversi, ruoli sociali definiti e da declinare con qualche probabilità. Può significare un’evoluzione che porta a riconoscersi nell’altro, non nella somma banale altro-io (dato fisico), bensì come attrazione e amore per l’unità ontologica originaria umana, che è vita insieme, quel noi (dato sostanziale ) non semplicemente interrelazione tra persone, ma percezione della similarità umana, condivisione, accettazione, solidarietà. E’ necessario afferrare quel filo di Arianna che è la memoria, e ricordare le cadute per raccontare ciò che si è imparato, come ha saputo fare padre David Maria Turoldo: la guerra è appena il male in superficie; il grande male è prima, il grande male è l’amore per il nulla.

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