LETTERATURA
La poesia rurale di Consonni
Tra poesia in lingua e grammelot
di NICOLA D'UGO
Vûs/Voci (Einaudi, Torino 1997, lire 18.000) di Giancarlo
Consonni è un libro di poesie scritte come tiene a precisare lautore in
«una delle innumerevoli versioni rurali del milanese». Non trattandosi di un milanese
letterario, ma giunto in forma orale, ha il vantaggio della corposità schietta di una
lingua tenuta viva nella necessità di dire, a differenza delle grandi lingue letterarie,
il cui lessico è per lo più ignoto ai parlanti delle stesse. È la lingua che parlano e
parlavano i nostri nonni, attraverso cui passano miriadi di leggende che non adergono allo
statuto di Storia: appartengono a quel mondo del «sentito dire» così minuziosamente
riportato da Hawthorne ne La lettera scarlatta.
Questo aspetto «orale» della scelta di Consonni gli dà modo di ricostruire un mondo
linguistico e tenere in vita le voci, altrimenti destinate alloblio, delle persone
del luogo.
La lingua adoperata, infatti, esorbita dallufficialità delle lingue letterarie,
poiché queste hanno una loro tradizione tramandata in una scrittura, e sono codificate in
una grammatica più controllata. Inoltre, esse hanno spesso un carattere istituzionale,
che aggiunge allelemento culturale di una lingua dei vivi la regolamentazione di un
pensiero ufficiale, una canonizzazione istituzionale, una normativa, quindi, sia
grammaticale che giuridica. Le lingue istituzionali tendono, in genere, più a imporre un
freno alle innovazioni che a essere creative e aperte ai nuovi stimoli. Non pare un caso a
nessuno che linglese non britannico (lamericano, lirlandese, il
gallese, il caraibico, il nigeriano ecc.) abbiano offerto il miglior contributo letterario
di questo secolo, con i loro neologismi e le numerose importazioni di parole indigene o
comunque contaminanti, a fronte di una compattezza espressiva che non ha indebolito
il carattere proprio di nessuna di quelle letterature.
Consonni recupera loralità di un milanese rurale e lo impiega nei contesti
contemporanei: il suo contesto si muta nelle città moderne, con i loro tram, i cinema, i
diesel e gli elettrodomestici. Egli non condivide però il rapido movimento della
contemporaneità, la luminosità affettata degli spot pubblicitari, il mito disamorato di
un progresso senza regia né umana autonomia, di una evoluzione fatta di più sotterranee
involuzioni, come vorrebbe invece la più smaccata filosofia della contemporaneità. Ma a
questo dispiacere, o se si vuole dissenso, con fa seguito con altrettanta evidenza
unidea delluomo che si affranchi, magari nel sogno, magari in scenari rurali
riabilitati, magari in una critica sarcastica della città. Queste poesie non ci fanno né
vedere con occhio critico e severo il presente in cui viviamo, né ci fanno sentire il
sapore di una civiltà che va scomparendo, qual è quella dei nostri nonni, fatta di
valori rapidamente superati.
Nella sezione dedicata alla città, la riflessione si inoltra in ambienti circostanziali:
la metropolitana, il cinema, le strade urbane, labitacolo di unautomobile.
Intatta dalle istanze che indirizzano la nostra società, la modernità di Consonni si
stringe in canti contenuti, in cantucci e temi prosodici che raramente sanno risuonare
nella pagina.
La possibilità catartica del dialetto viene meglio valorizzata quando il lessico
dellautore prende a bisticciare o convivere in polifonie più estese, per far
passare unidea scanzonata o maliziosa («Giraven», «Ascensûr»), o si restringe
nelle poche sillabe di «Vècc». In questo caso, si avverte qualcosa di poetico che
accomuna i suoi versi alle poesie autoironiche e malinconiche di Zavattini, al grammelot,
ai lazzi onomalinguistici di tanta letteratura Dada e allOrghast di Ted
Hughes e Peter Brooke, con il quel suo connubio di gesto e non-parola. Del resto, se la
poesia non suona, ha per metà fallito ogni sua funzionalità.
La ricercatezza delleffetto di alcuni componimenti li accomuna a tanta poesia
italiana dal secondo dopoguerra a oggi: e questo ne è un limite, se si considera
lenorme potenzialità espressiva delle scritture non in lingua, o non inglobate in
una tradizione letteraria canonizzata (la Comedia dantesca, i drammi shakespeariani
e di Ruzante ne sono il più convincente risultato). Inoltre, far impegnare troppo il
lettore per fargli assaporare poesie di pochi versi è pratica dei poeti più noti e meno
meritevoli del nostro secolo, contro i grandi esempi dellOtto Novecento: si pensi
anzitutto a Emily Dickinson, a «In a Station of the Metro» di Ezra Pound e alle liriche
di Giuseppe Ungaretti.
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