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  Anno VIII numero 12 – dicembre 1999

  

 SATIRA E COSTUME

Ué, Valentino!

di FRANCESCO BARBONE

Mi capita tra le mani una vecchia edizione dei Canti di Castelvecchio, datata 1919. La sfoglio. Comprendo perché un grosso centro sportivo oggi esistente a Castelvecchio di Barga è stato chiamato «Il Ciocco»: tale è il titolo di un bellissimo poemetto che fa parte della raccolta. Lo sguardo mi cade su «Valentino». La notissima poesia mi torna incontro dai tempi della scuola. Eppur mi sembra di leggerla per la prima volta. Oh! Valentino vestito di nuovo… Ma… quell’Oh! non è vocativo! È un’esclamazione di sorpresa (l’Ué napoletano): sorpresa nel vedere con indosso un vestitino nuovo il bimbo che il poeta era solito incontrare scalzo e lacero. Ma guarda un po’: Valentino vestito di nuovo! (Da grande il bimbo, per rivincita esistenziale, sarebbe diventato un famoso stilista! Ahio, m’è scappata!). Come le brocche dei biancospini. La similitudine è bella, il modo di esprimerla non felicissimo. Il poeta paragona l’imbattersi nel fanciullino novovestito alla gradevole sorpresa che si prova nei confronti di un biancospino, fiorito dall’oggi al domani (almeno credo). C’è tutto Pascoli in questo paragone, e ancor più nel modo di raccontare la… scalzità del bimbo: le sue scarpe sono… la pelle dei piedini. Ma dimme te: Pascoli Giovanni, omone baffuto, professore emerito col cuore di fanciullo. D’altronde la sua Romagna solatìa non ne ha perso lo stampo: ci ha regalato poi Fellini e Pupi Avati.
I piedi scalzi sono gratis. Ma verso l’acquisto della stoffa per il vestitino è stato, con sofferta scelta, dirottato un inverno di povero reddito, costituito dalle uova del magro pollaio. Presume il poeta che il freddo invernale fosse nel bimbo lenito dal pensiero che le galline accumulavano giornalmente l’importo occorrente per l’acquisto del vestitino: il verso delle ovipare si trasforma, con onomatopeica dolcezza, in: «Un cocco per te!» Accipicchia! Più Pascoli di così si muore. Ma arriva marzo, le galline divengono chiocce e il  flusso di reddito si interrompe prima che sia possibile mettere insieme i soldi per le scarpe; così il bimbo resta vestito a metà. Come un uccellino, che ha penne addosso, ma zampette nude; pur tuttavia è felice, nel suo piccolo mondo fatto di sostentamento, canto e amore. Pascoli si ferma a considerare la presente felicità  del bimbo, risparmiandoci il futuro nero che attende (e te pareva!) il «garzoncello scherzoso» di Leopardi. Oggi la scenografia di variegata natura e duro lavoro contadino, dove Pascoli ambientò i suoi canti (Abetone) è cambiata: turismo, linde villette di montagna, alberghi… Probabilmente alla mamma di Valentino bastano oggi un paio di mance per vestire da capo a piedi il figliolo da «Memmo lo stracciarolo svuota-sconti fino al 90%». Il vestito costa meno; chissà, forse perché a tagliarlo e cucirlo è Val-en-tin, bimbo cinese al lavoro per tredici ore al giorno. Con il villaggio di oggi anche la miseria è… globale.

 

      Valentino
      
Oh! Valentino vestito di nuovo,
      come le brocche dei biancospini!
      Solo, ai piedini provati dal rovo
      porti la pelle de’ tuoi piedini;

      porti le scarpe che mamma ti fece,
      che non mutasti mai da quel dì,
      che non costarono un picciolo: in vece
      costa il vestito che ti cucì.

      Costa; ché mamma già tutto ci spese
      quel tintinnante salvadanaio:
      ora esso è vuoto; e cantò più d’un mese,
      per riempirlo, tutto il pollaio.

      Pensa, a gennaio, che il fuoco del ciocco
      non ti bastava, tremavi, ahimè!,
      e le galline cantavano, Un cocco!
      ecco ecco un cocco un cocco per te!

      Poi, le galline chiocciarono, e venne
      marzo, e tu, magro contadinello,
      restasti a mezzo, così con le penne,
      ma nudi i piedi, come un uccello:

      come l’uccello venuto dal mare,
      che tra il ciliegio salta, e non sa
      ch’oltre il beccare, il cantare, l’amare,
      ci sia qualch’altra felicità.
      Giovanni Pascoli


 

  

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