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Anno IX numero 10 - ottobre 2000

 RACCONTO

In viaggio
Senza accorgermene, stavo usando me stesso come ignaro esorcista delle mie vicende personali di dieci anni prima

di Luca Nicotra

Di ritorno da Sirmione, ho ancora gli occhi abbagliati dalla solarità di quel luogo meraviglioso e il cuore gonfio delle emozioni regalatemi dalle reminiscenze catulliane. Quale gioia pacata, quale e quanta serenità allo spirito rende la vista di quei ruderi celeberrimi, care adorate pietre di romana memoria, testimonianza silenziosa e tenace di un’epoca armoniosa, in cui cultura e natura non si contrapponevano, bensì s’intrecciavano in un tutto pieno d’equilibrio e armonia.
Ero arrivato fino ad Innsbruck e da lì disceso a Colle Isarco, a pochi chilometri dal Brennero, un luogo bellissimo nella sua aggressiva morfologia alpina, ma opprimente per la mia natura solare e marina. Quel paesaggio duro e delimitato da vette altissime e incombenti, da ogni parte le guardassi, mi schiacciava l’anima, come una valanga di neve. La solitudine dei luoghi m’induceva alle più amare riflessioni sulla mia vita passata. Sono fuggito, in preda allo spasmodico desiderio di trovare luoghi che dessero pace alla mia anima tormentata. Avevo sete di luce, di calore, di spazi aperti ed ameni, di quel sole che senti posarti sulla pelle come le labbra morbide e dolci di una donna che ti ama. Avevo il desiderio di sentire il mio corpo abbracciato, avvolto da aria dolce e calda. Un abbraccio è molto più dell’atto amoroso. Un abbraccio vero è un avvolgere l’altrui anima con il mantello della nostra anima. Non è espressione di volontà di potenza, come l’atto amoroso. Il lago di Garda mi è sembrato il luogo più vicino che potesse rispondere alle mie smanie d’evasione. E così sono partito verso Riva del Garda. Che sollievo alla vista dell’acqua luccicante sotto i raggi del sole di mezzogiorno, racchiusa su due lati dalle pareti scoscese delle montagne limitrofe e sul davanti, verso Sirmione, aperta fino a non scorgere alcun limite. Ho percorso tutta la riva occidentale del lago, da Riva fino a Sirmione, con l’avidità di un assetato in cerca d’acqua di cui ristorarsi. Mi sono fermato a dormire in un paesino vicino Salò, in un alberghetto sul lago. Che allegria in tutti quei paesini del Garda! La gente in giro fino a tarda notte, a passeggio per le viuzze, rallegrate dalle luci dei negozi ancora aperti e dal vocio animato dei villeggianti. Tutta un’atmosfera ben diversa dalla monotonia montana e dal coprifuoco serale dei luoghi lasciati alle spalle! Due giorni sul Garda bellissimi, riparatori delle angosce inflitte dai paesaggi montani nordici, duri, netti, precisi e freddi. E poi ancora in giro per Verona, Venezia, Bologna, e Firenze. Infine il viaggio di ritorno a Roma. È stato nell’ultimo tratto dell’autostrada che ho sentito imperioso il desiderio di ricordare. Era ormai sera e quasi buio, quando, passata Chianciano, ho riconosciuto in lontananza la sagoma triste e anonima del Monte Amiata. Era quasi la stessa luce sotto cui mi era apparsa tante volte, anni addietro, durante le mie fughe settimanali dalla miniera verso casa, a Roma. È stato un improvviso risvegliarsi di ricordi, rivissuti con agghiacciante realismo e vivezza. Sono stato sommerso da un fiume di emozioni, di sensazioni, tutte negative. Nelle mie orecchie riecheggiavano parole antiche, negli occhi scorrevano veloci le immagini di scene tristi, il mio cuore era di nuovo in preda allo sconforto e all’amarezza. Istintivamente ho rallentato l’andatura della macchina, come se avessi bisogno di quei luoghi per ricordare, perché io volevo ricordare, per esorcizzare quel passato, per ripresentare a me stesso quelle pagine della mia vita passata che da anni avevo sepolto nel più profondo oblio. Ho ricordato tutto e ho cominciato a parlare a me stesso, rendendomi vittima di una mia improvvisa e introspettiva logorrea.
- Pochissime volte ho provato quel senso paradisiaco di serenità interiore, di pace con me stesso e con gli altri, quella gioia fatta di sicurezze e di compiacimenti che forse è la felicità. Tutto quello che ho avuto dalle persone che ho amato, non l’ho mai sentito come dovuto, bensì come un dono meraviglioso, che ho conservato nella mia galleria personale delle cose belle e buone che ho ricevuto nella vita. Ogni momento di felicità che la vita mi regala va ad arricchire quest’immaginaria galleria. E nei momenti di tristezza e di sconforto, io percorro la mia galleria segreta e guardo dall’esterno me stesso nei momenti passati più felici, traendo conforto e gioia, così come dalla vista di un quadro di un gran pittore. In fondo la parte veramente felice della nostra vita è proprio come una collezione di momenti ed ogni momento è una tavolozza di sensazioni, di odori particolari, di luci, di suoni, di musiche, di immagini, di gesti, di parole, che rimangono fissati nel nostro immaginario un po’ come un pittore fa con i colori sulla tela. L’amore è l’unica cosa che colma la solitudine, rianima l’uomo, così come un soffio vitale rigonfia un palloncino afflosciato. Quando si è innamorati, il mondo appare diverso, e un mare di sensazioni insospettate e inimmaginabili ci sommerge. Le cose più semplici, e che normalmente sono per noi prive d’importanza, acquistano improvvisamente una propria dimensione e diventano il centro della nostra attenzione. Tutto questo risvegliarsi d’interessi, di sensibilità sopita è segno di vitalità. Siamo più esposti ai malanni dell’animo umano, ai rapidi cambiamenti d’umore, alla vertiginosa altalena delle gioie e dei dolori, al rapido alternarsi di luci di vita e ombre di morte, d’improvvisi slanci e profonde depressioni, ma tutto questo in fondo è ciò che ci dà il senso di noi stessi. Come si fa a soffocare le illusioni? Come si fa a resistere alla tentazione di essere amati? Come si fa ad essere tanto forti da non credere alle lusinghe delle tenerezze, alle silenziose promesse dei baci, alla gioia profonda delle parole d’amore sfuggite nei momenti d’intimità, trattenute quasi da un inopportuno senso di pudore? Come si fa a pensare che tutto quel paradiso che ci piomba addosso all’improvviso è soltanto un regalo fortuito, una meteora sfuggita dallo spazio, non dell’universo, ma del cuore crudele di una persona meravigliosa che non potremo mai avere. –
Senza accorgermene, stavo usando me stesso come ignaro esorcista delle mie vicende personali di dieci anni prima. Ormai si era fatto buio e dalla vista del casello dell’autostrada, mi accorsi che ero quasi arrivato. Ora mi sentivo più leggero e diverso. Capii allora quanto importante sia riflettere su se stessi e parlarne, anche da soli.


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